SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

martedì 26 gennaio 2010

Mi gioco un autogol - le lettere esistono ancora, anche buttate

Ad A.

Come dirti che ora ogni volta che passa quella canzone di Guccini mi vieni in mente tu come se un'adolescenza sfrontata non l'avessi abbandonata a battaglie già vinte?
Non ti ho scritto mai niente di diretto, forse su questo hai ragione un po' tu.
E' tutto vero: gli addii; le comparsate per capire se ci sei; i ricordi che sanno di frasi che mi hai detto senza accorgertene quand'eri mezzo ubriaco e solo così sei riuscito a metterti in gioco.
E' vera pure qualche mia titubanza fragile nel farti arrivare il messaggio che mi dispiace. E poi te lo mando senza alcun senso perchè non hai elementi per capirlo e io lo so.
Vorrei chiuderla qua, ma poi c'è Guccini che non mi dà suggerimenti ma messaggi cifrati che sono in fondo miei e ce li infilo tra le note perchè vivo delle mie immaginazioni molto più di quanto credi tu.
Me lo ripeto, certo, che sono errori ed incidenti di un percorso che non porta alla destinazione che vorrei raggiungere, ma il fatto è che delle mie mete m'è sempre piaciuto più il viaggio che il soggiorno e non per delusione. Sempre i miei dannati codici, messi apposta come combinazioni di fortezze che sono lasciate quasi sempre aperte
Da te vorrei risposte chiare che non sovraccarichino intuiti sbagliati, segnali confusi nè pettegolezzi. Pure il tuo tempo vorrei e ormai dovresti averla imparata la mia presunzione. Ti raccomando di combattere per cause che ti vedo solo io negli occhi e di sicuro le tue sono altre.
Se ti domandi un senso, è ovvio non ci sia.
Solo un'altra pagina scritta a casaccio, senza un destinatario messo del tutto in chiaro, senza commenti scritti con parole che non han capito, senza.
Da questa lettera ho tolto, non ho messo.
Ho tolto i filtri da the con cui convivo di mattina e pomeriggio e ho tolto la voglia di continuare a credere che quello che mi dici abbia un valore vero che centra con te. Ho tolto le assenze che mi fanno male, soprattutto di discorsi e sguardi convinti. Ho tolto le musiche che devono completare le mie immagini che sono nella mia testa e passo solo quando scrivo film senza costruzioni sceniche.
Ho tolto anche il bisogno di condividere pezzi di puzzle, che non era poi un bisogno, era voglia di te un po' diversa dal sesso, ma nemmeno poi troppo.
Questa è sempre però la mia mente bucata che filtra significanti e gesti come teatri di pupazzi che per capire che dicono devi averli costruiti. Di pezza, ovviamente. E che i fili ce li hanno sotto i piedi e non tra le mani.
In mano tengono solo carta, matite colorate e disegni fatti e finiti. E buttati come collane rotte, scaraventate su un tappeto che ne nasconde qualche perla a meno che non controlli bene. E se non ti serve un legame, ma t'accontenti di un braccialetto, pazienza.
L'importante è che non lo scambi per uno di quei rosari che ho appeso alle orecchie del mio coniglio con la convinzione di regalartelo come sberleffo in uno di quei nostri incontri negati.
Sono poche parole sceme da non farci caso, scritte davanti al campanile dell'orologio mentre ascolto il nostro disco non solo nostro.

lunedì 25 gennaio 2010

14.01.10 - Sotto coperta

Metto in tavola la macchina foto che s'aggiunge ai preparativi per una nuova giornata a partire dalla colazione. Mi preparo anche per te. Sono passate da una dozzina di minuti le grida del gallo, meccaniche, che escono dalla mia sveglia e neanche la tazza sulla tovaglietta arancione che già sei qui. Non il tempo di chiedermi se ti terrai distante per dispetto per ricambiarmi della stessa assenza di ieri, se non sei passato neanche tu invece o sei comprensivo e non ci dai peso o se non t'importava affatto. O se saresti arrivato con foga, di fretta, per scoprire se ci fossi, un po' prima del solito. Ci giochiamo la nostra moneta di tempo. La tua coda rossa sui fili curvati e vuoti di gocce e di panni e di reggiseni azzurri. Mi regali il tempo di portarti nei miei album di carta che nasceranno prima o poi e giro in cucina cambiando prospettiva al tuo ritratto immedesimandomi in una regista assistente perchè in realtà decidi molto tu. Poi saltelli, ma leggero, nell'aria e scatti a volare verso l'alto, forse il tetto. Se rimanessi sopra la mia testa per tutto il giorno non potrei saperlo. Ci siamo dati appuntamento tra un'ora con questa moneta? Giochi anche tu a sfidarmi nella battaglia al pretendere. Egocentrico un poco. Là fuori c'è un freddo freddo stamattina.
Io non ci riesco a non prendere quei treni, sai Sapia? I treni verso ciò che vorrei li prendo tutti almeno pensandoci tanto e mi chiedo perchè anche negli amori ci siano sempre treni da cogliere al volo. Come non s'ammettano ritardi del caso. Ti somiglio quando vengo a bussarti alla porta col gancio di vetro che fa rumore sul legno insieme al mio pugno ch'è abbraccio a ogni incontro. Non te lo dico perchè io, poi, non somiglio a nessuna.
Confido a te che lui ha voluto raccogliere un mio regalo spedito in ritardo e un attimo prima che gli dicessi che amo la sua capacità di reinterpretarsi sempre, l'ha aperto.

Sono le 10 e 7 minuti e il pettirosso mi arriva in picchiata, io sapevo che era lui anche se non ero sicura ci fosse stato qualcosa o qualcuno in balcone. Mi sono affacciata per controllare non si fosse fatto male: c'era. Ha saltellato in alto, un secondo solo, un secondo volo. L'ho seguito fin sul comignolo fumoso due tetti più in là. Magari abita lì dove non posso scoprire s'è in casa o, eterno migrante, viaggia. Neanche un'ora per tornare da me e giocare a farsi prendere dai miei occhi che di fulmineo non hanno proprio niente.

Non trasferire le mie passioni nei campi seri dove dovrei è una scelta dovuta a mancanza di voglie e d'inviti: una prostituzione che ha il suo prezzo sciupato. Passioni che vivo a metà. Non si fa. Delle volte non ho la forza per uscire da queste gabbie d'intuizioni efficaci, come scatole cinesi a forma di dadi di Rubik e io gioco con dadi di numeri e colori scambiati al bianco e nero sfocato per il mio, numero, da clown.
Delle volte terrei il cappello in testa e alla mia barchetta di carta non strapperei il poster del cielo solo perchè possa vedere le stelle anche lei con tutti i suoi marinai durante la notte. Potrebbe essercene un altro e un altro e userei la mia vita per straccio col whisky che cade dalle cassette di legno mentre la barca ondeggia troppo e punta i suoi remi nell'inchiostro. Metodica diventerebbe monotona e se ho già qualche dubbio sulla monogamia per sposarmi ad una causa soltanto, figuriamoci se rischio di perdermi tutto. Le onde di questa mia realtà non finiranno prima di me, è inutile che io insista a classificarle senza neanche definizioni scientifiche in mano o in testa.
Noi liceali abbiamo ognuno le sue conseguenze che siano gonnelle a scacchi di una Lolita giocatrice o strani discorsi a cui t'impegni a togliere ciò che non è essenziale. Sintentizzami se ci riesci: sarò il tuo sintetismo scordato.

Ti rimanderei come appuntamento non preso, come scolaro non buono, come hit su una radio commerciale, come maledizione o insulto con su ricamata la rabbia, come lettera senza destinatario e scopo, come groppo, giù, in gola. Come invito, come invito a settembre a tornare, come minaccia di niente. Ti rimanderei come fiore d'ogni mattina per colorarti la scrivania in ufficio o messaggio la sera per chiedere notizie della tua cena al corriere. Ti rimanderei come assunto. Inizieresti sempre domani. Non ho voglia di una nuova carta bianca per avere a che fare con il tuo patetico contornarmi di epiteti piccoli per cui ci giro intorno. E' la mia spirale. Come gli stormi che si mettono le matite nelle ali e disegnano tutt'insieme nell'aria che chiamiamo cielo troppo poco e gli dedichiamo tante speranze vane tenendo segrete quelle vive. Solitudini che s'incontrano senza dirsi 'buongiorno' e per piacere.

(sirianni - neve)

Volto lo sguardo... e il pettirosso diverrà bianco? fuori nevica.
M'immedesimo in te mentre scrivi, non nelle tue storie. Scrivo allo specchio, chiedo un nuovo rossetto per lasciare messaggi in occasione d'omicidi che commetterò amando.
Vorrei uscire dalla mia mente, egoista e smettere pericolosamente di pensare: mi succede quando non reggo neanche io i miei voltaggi o ritmi. Di nuovo. Indietro. Ad altro. Via. Rimandami.
Ditemi. Di stitico, statico, sintetico, ditemi qualcosa. Inventerò una frase di cioccolata ogni volta che vengo qui ad espellere bisogni e pensare di dire stupidaggini? Lei ne ha pianto, non è facile per tutti, non è facile per niente.

Giro lo sguardo all'angolo e nevica. Ancora coriandoli bianchi o dio che costruisce una statua di gesso di se stesso ammettendosi finalmente egocentrico. O i soliti fans della Vergine in prima fila che ride consolatoria e le ridipingono il tempio, ma non han strizzato i rulli sulle grate di ferro. O forfora di Pietro, da lanciare come a far cadere giù pietre mentre balla e scuote la testa. O è gracile ghiaia che indica percorsi da far cancellare allo stregatto stavolta sgomento. Grano di qualche paese straniero dall'altro lato del mondo, come ruotare la palla di vetro all'ingiù e rimanerci sotto a godere lo spettacolo. Oppure è solo un effetto speciale del film e telefonerà lei a ribellarsi e dirci di svegliarci.

Io sto appallottolandomi sotto la coperta indiana prestatami da un navajo americano, gioco la mia partita a carte col sonno. Eppure continua a piovere bianco.
In Paradiso mia nonna spazza pavimenti di nuvole, sbatte tappeti di polvere. Finalmente qualcosa di utile lassù a parte rifocillarsi di caffè per mantenere un po' di calore in quel freddo infernale che deve fare dentro agli sguardi di chi si sente innocente. Un caffè per non addormentarsi di noie.
Andiamo, sono addobbi di carta ritagliati da noi che danzano nell'aria suicidatisi dai balconi.
Se tieni fermo un braccio o gli affondi troppo peso s'intorpidisce con i Santi.
Eri tu, ci scommetto, t'ho riconosciuto dai saltelli in aria e fino al tuo tetto. Io, mano appoggiata al vetro e insieme alla fronte, attenta a capire se ha smesso la neve. Hai fatto per venire. Lei non ha imbiancato nulla, ma ha rallentato il suo fingere che sotto di lei non ci sia niente e il cercare di recitarsi morbida indiana.

Io getto sale, non per sciogliere ghiaccio invisibile che sceglie la parte dell'illusione che ci fa innamorare, ma in pentola a bollire. Incerta tra il tuo esserci o no, so che con un po' di tempo farai sentire il tuo peso come morte che non amiamo mai. E l'accusiamo d'ingiustizia. La morte è nostra vittima.

Il pettirosso nero non è in palinsesto, non si può addomesticare eppur'è amore o la solita frustrazione in poesia che continuerebbe con lui che sbatte le ali e vola via. Ho un pensiero che saltella come fa il pettirosso nero e non si fa appuntare. Tempero matite per farne ali al libero partecipare anche lui a questa messa, in onda.
Mensa sul litorale da cui guardo la neve invisibile se renderà blu i prati come polvere di Peter.
Artemisia non è maga nè donna distratta. Se t'avesse avuta davanti avrebbe detto certo qualcosa. Fabbrica borse da spesa: ci infilerei dentro biglietti con poesie variopinte da far girare un po' ovunque tra ciò che diventa acquisito, ma diverrebbe nella mia testa lo stesso quesito.
Un foglio per volta preso da una cartellina rossa con etichetta e scritta in nero. Scrivo in nero anche sul bianco dei quadretti in cui m'appendo e incornicio. Ali nere e coda rossa nella neve il pettirosso che adotto. C'è sangue: non è morto.
h.n.

(griechi - la coperta indiana)

giovedì 21 gennaio 2010

13.01.10 - Chiamate il mozzo a tirar su dal pozzo una birra

Tito&Tarantula - After Dark

L'analcolico come aperitivo è un insulto alla Fortezza livornese. Tra i ricordi ho scelto un mistico da sorseggiare come drink precedentemente ordinato di fronte a facce attonite e due barman che non sanno più di che stupirsi perchè si stupiscono sempre. La Madonna che ride stasera recita e non come madre, come si può scioccamente immaginare, ma clown da uno scherzo al giorno a vittime improvvisate o di scelte programmate.
Il prato che costeggiava l'auto mentre venivo qui sembrava un mare perchè la sera era calante e c'era brina di neve a far da corolla ai fili d'erba. La strada verso la risposta proseguiva e se fosse stata negativa mi sarei schiantata o avrei sciupato un'altra manciata d'ore. Non m'interesserebbe più di te.
Pilastri danno stabilità alla mia cattedrale piena di colonne, che poi siano sonore è altro. Fossi con te non parlerei molto e mi domanderesti cose e continuerei a guardare fuori e disegnare palline in bilico sul mio pentagramma. Penserai che son malinconica o penso a chissà cosa mentre io ti incollo tra le figurine dei miei uomini che non han capito ancora niente.
Stanotte ho fatto un passo al bar dei ladri e ho cercato bigiotteria rubata per scriverne romanzi. Ho trovato il tuo anello e un drago d'argento, che pareva rame tant'era sporco, ci si arrampicava su.
La marea ha deciso una serata di spirito e risa mediocri da far seguire al prato blu di stamattina in quella colazione rimandata. E il pettirosso nero chissà se è rimasto deluso, se è tornato tre volte, se si è fermato un istante e non un minuto in più, se non ci rivedremo ancora.
Un bicchiere per pub da spaccare, far cadere a terra e fingersi inopportuni. E nemmeno si può dire moda del nuovo anno prolungata di un po' perchè hai cominciato un mese fa.
Una scarpa sì e una no, t'insegno a fare il clown. Una mano che si fa pugno per passare a stropicciarsi sugli occhi come cartacrespa.
Ti chiedo di recitare con me ego al punto che se non ci guarda nessuno stiamo meglio. Ego scambiato con debolezze al tavolo da gioco.
Boccacce mentre con la mano ti tiri fuori la lingua, io ti rido in faccia; faccia poco dopo di stupore curiosa. Faccia di meraviglia, non t'incontro che nelle aspirazioni di questa mezza serata che finirò in casa. Avrei dovuto venir qui da sola, sarei stata più Madonna; qui da sola, sarei stata mistica attratta da te e avrei ordinato altro; da sola non avevo voglia. Senza di te. Sono senza di te. Senza di te, qui sola, mentre ti guardo e guardi uno schermo dietro me e m'oltrepassi. Siamo fantasmi, mentre scrivo su lenzuola bianche, fogli troppo grandi. E quest'orologio sul tavolo a non dire niente. Ho questo libro sul tavolo, orologio accanto, orologi a parte, ma nessuno mi viene a parlare di lui. Ho sbagliato bar, via, tavolo. Qui non ci sono ladri, forse tutto è cambiato. Forse nessuno qui lo ha conosciuto davvero. Eppure son Scritture preziose, le mie.
Pornografia e malinconie sulla parete bianca del bar con bordi neri. Un processo sul tuo: in processo le malinconie a farti da memoria e altare.
E direzioni solo di bussola sull'orologio poggiato in mezzo alle venature del legno piene di piccoli oggetti semplici che giocano a non farsi riconoscere. Fate salpare la nave.
Trame con venature nel tuo libro che non leggo qui. Alle mie spalle voci s'invitano per un sabato sera uguale agli altri. Io so già cosa fare e la ragazza da un saluto ha già presentato il suo sorriso in cassa e sbircia con l'ennesimo sguardo.
Vi vedo e non m'incuriosite per niente. Fermi. Statue, manichini, poster; non amanti di certo. Un'amante, per dio! è una cosa seria. E questa è serata d'allegrezza media. Il poeta beve una birra e mi ha detto che non ha scritto. Io tutti i giorni, gli dico. Mi fa strano parlare del mio bottino sotto coperta con occhi che capiscono e sono ladri attenti. E' un rapporto anche quello: ci stanno tenacia, costanza e pause di riflessione negli occhi e nelle Scritture. E un po' le conosco ste cose come vanno a finire.
Vorrei scoprire l'America! gli faccio. Ci credo e so che non arriverò alla meta. Così in un sorriso ti ho detto la mia disillusione di oggi, per fortuna ch'era autoironia.
Con gin. La birra sarebbe stata meglio del mio succo d'arance spietate a dar suono allo shaker chè da solo, Federico, non si muove. Sono le cose che ci metti dentro che danno quel sottofondo che sai e ami nelle tue serate.

mercoledì 20 gennaio 2010

12.01.10 - Ti aspetto

Come d'incanto - Giuliodorme

Ti presenti alla mia finestra alle 9.23. Non c'è dubbio, hai cambiato giro o magari hai acquisito più passaggi. Sei di nuovo impettito sui fili. Ti ho scattato una fotografia piena di sole, poi non ti vedevo più e sono corsa alla finestra della cucina dove magari avrei potuto scorgerti sul pavimento senza farti ombra e invece devi essere volato via.
Se un giorno starai male non ne saprò niente.
Magari vuoi solo finire prima perchè tutta questa luce fa venire sonno anche a te ed ecco il tuo arrivo in anticipo spiegato. Sto continuando a guardarti con i miei occhi e sarebbe presunzione pensare di fare diversamente. O rispetto e impegno?
Se butto ora questa sceneggiatura in parti non se ne accorge nessuno ed io invece avrò perso l'equilibrio del tutto o ritrovatolo d'un tratto. Butto giorni passati a crederci e ricicleranno la carta, ma non il mio tempo. Però avrò smesso di usarne. Prima voragine dell'anno, bisogna che si festeggi?
Con la stessa facilità con cui tolgo gli occhiali, mi passo le mani sugli occhi. Stanca? no. Abbasso la tapparella per riprendere il mio lavoro.
Un'ora dopo sei ritornato, mancava un minuto, identica trafila.
Non ho tempo di leggere, non posso, sto lavorando. Sto lavorando per poter avere tempo per leggere. E perdo il mio tra uccelli mentre fuori accadono cose e io non me ne accorgo, non lo so. Ero qui che riordinavo i ricordi. E' tutto inutile.
Ci ho pensato a sera: oggi sei passato due volte perchè domani non sono in casa.
Vieni come messaggio di qualcuno dei miei invisibili che mi pensa e non me lo sa dire? Digli tu che lo aspetto al mio parcheggio cambiato.

martedì 19 gennaio 2010

11.01.10 - Addestramento

Alle 9.27. Arrivi presto, prima e silenzioso, impettito. Magari è stato così anche ieri.
Ripasserai?
Sono andata a prendere a scuola la signorina Speranza stanotte. Poi ho detto tutto in faccia ai parenti. Uno sfogo nella stessa oscurità: serenità diverse. Mi sono ricordata che ho imparato come la tensione permanente significhi non cadere nella provocazione inutile e nell'urlare in linguaggi che il destinatario non può comprendere o com'è altrettanto inutile gettare addosso a qualcuno la merda in cui è.
Mi sforzo ad un addestramento di fronte ai miei lettori invisibili. L'addestramento consiste nel non forzare eventi nè sentire. Mi domando allora come questa partita di scala possa esser congrua con un protagonismo responsabile ed un destino costruito da sè. Non trovo più incoerenze quando ci ripenso la seconda volta.
Dare senso a ciò che si vive e a come lo si sceglie di fare ha un rischio: l'illudersi che sia verità. Altra bella battaglia coerente. I piccioni non vengono perchè hai superato le tue paure guardandoli bene; non vengono perchè arrivavano per via della pioggia; non vengono perchè il tetto di fronte è più caldo e perchè ho spazzato il balcone e non trovano più attrazione fatta di profumo e tentazione che supera il proprio timore.
Invento persone senz'esserne padrona, senz'esserne amante, senz'esserne madre o genitrice soltanto. Invento. Sono idee o idealizzazioni, ma che m'importa. E' scorretto, è illusione e di nuovo una mosca sul mio balcone.
Io dico che lei non è fedele, mi viene da pregiudicare. Non devo. E oggi voglio presumerla invece innocente. E' una colpa innamorarsi, mi chiede?
Sì, voi studiate tutti le conseguenze di questi amori che capitano, ma causati da incontri? causati da ciò che mancava o stanchezze e incapacità di vivere le proprie solitudini e voglia di stramazzarsi in un'illlusoria condivisione da capo? basta domandarsi perchè le risposte non si cercano mai tra di loro. S'intuiscono d'esser trovate. Si scambiano baci. La voglia di sapere che distingue fughe e scelte.
Un amante è qualcuno di vivo. Un compagno sa di unione e solidale. Un amore sa di banale e impossibile da spiegare. Tu sai di quelle gocce sul mio filo della biancheria vuoto che cadono a casaccio, quando decidono loro.
Sai, quelle gocce non le tocco, le guardo spesso, non mi sono bagnata le dita sulle tue labbra, non ti ho detto di tacere per baciarti, non ho preso posizione neanch'io.
So che voglio quelle gocce, come fossero su rami di rose rosse, un mazzo di quindici.
E' un percorso a cui si aggiungono pezzi, è un puzzle che non puoi completare.. Ci si scambiano giocatori e partite e si stupisce l'empatia con una punta di pregiudizio e mancanza di rispetto. E l'attenzione? ed il senso d'appartenenza? Troppo presumi e dai fiducia e non sai di che dici. Fidandoti di te e delle tue proprie sensazioni, magari sbagliate. Devi cogliere l'attimo, perchè magari c'è solo quello per noi.
Mantenere saldo cosa nella precarietà? una casa? un luogo dove appoggiare i propri bottini e vederli perdersi nelle macchie dei propri limiti o una sensazione soltanto che dà protezione e gestisce ritmi e frangenti.
Valori. Le etichette le cambiamo in base all'inflazione.. in base alla politica di negozio... in base all'interesse, al nome. Valori da mantenere. I colombi sono i miei gabbiani in questo mare azzurro dove hanno imparato a volare sbattendo le braccia, annaspando ogni tanto. Se annegano gli mancherà l'aria.
I miei gabbiani che sono le mie paure che faccio passare sull'acqua con le dita a dar spinta alla penna.
La mosca bussa e mi vien voglia di cacciarla o ucciderla. Morte alla mosca. Ci aveva già pensato qualcuno.
Morte piuttosto che lasciarla svolazzare ancora qui presso i miei spazi e confini muovendo magari la mia ricerca di te. M'invade. Ma come può una mosca invadere il pensiero di te così grande nel mio? come può una mosca così piccola? la lascio stare.
Ti cerco ancora anzichè esser contenta del fatto che sei passato presto. Non ci accontentiamo mai.
Chiedere piuttosto che pretendere o pensar di presumere presuntuosamente merita una razionalità: quella di non agitarsi per ciò ch'è inutile e d'impulso muoversi invece per le utili, se si ha reale esigenza. Puoi rincorrere ciò che vuoi, sarebbe un peccato in ogni caso. Non hai diritto di far male agli altri, non hai diritto di cambiare identità?
Magari passi quando sono al solito in ritardo. Magari scegli così e hai i tuoi motivi importanti. Se mi dessi più tempo!
Se mi dessi più tempo potrei guardarti le ali e imparare nel tempo a fotografarle davvero. Se mi dessi più tempo potrei esser responsabile. Di me e di te. Se mi dessi più tempo saprei meravigliarmi.
Eppure guardo fuori dalla cucina chè magari t'affacci e mentre lavo le verdure faccio ancora più tardi. Di notte dove vai?


La morte della mosca - Lolli

martedì 12 gennaio 2010

10.01.10 - Presunzione d'innocenza

Gite ne organizziamo spesso. Eravamo in un prato, poco fa. Un prato grande, verde. Io ero dentro la macchina non so bene perchè.. sì, stavo ascoltando musica e l'unico mezzo mi era rimasto l'autoradio perchè il piccolo stereo portatile che ho comprato per queste occasioni è sempre senza pile. Non riesco che a completare l'immagine dello stare su di un prato se non con la musica che accompagna. Ero nel sedile posteriore che è il mio posto, anche se l'auto era vuota. Mi sono prostrata dalla posizione centrale verso il cruscotto e toccavo in giro con le mani cercando i tasti della radio.
E' stato qui che ho interrotto perchè è entrata mia sorella in auto. Prima era anche lei con... quel bambino... non so come si chiami, era lì, non so se figlio di amici, no... lo abbiamo trovato lì e i bambini fanno così: non conoscono grandi formalità per fare nuove conoscenze. Tutti e due si appoggiavano sul vetro laterale dell'auto e poggiando sui finestrini disegnavano contorni come se, un foglio ciascuno, fossero pezzi di carta da lucido, aiutati dal sole. Contorni, linee, forse le gocce della pioggia del giorno prima... l'erba però non era bagnata più, neanche l'auto; l'auto precedentemente l'avevamo portata all'autolavaggio. Prima dell'addentrarla su un prato; beh non si formalizzano neanche gli adulti certe volte, per fortuna. Gli adulti erano sul prato, più in là; scherzavano, ridevano.
Si è avvicinato all'auto quest'uomo. Non ho guardato da dove arrivasse, non lo aspettavamo. Aveva un cappotto marrone un po' lungo con tasche capienti. Ha sparato, con un giocattolo, una ventosa arancione sul vetro con un foglietto attaccato, come un volantino.
Mio fratello ha tenuto sotto controllo tutta la scena, evidentemente e mentre correva qui e là si è ad un certo punto fermato: l'ho guardato e non guardava il nulla ridendo e neppure me, guardava con una faccia infastidita il signore dal cappotto marrone. Forse voleva essere l'unico artefice del disturbo ai due artisti di strada... come chiamarli altrimenti, impegnati a disegnare sui vetri di un'auto... Infatti il suo gioco era quello di piccoli dispettucci a loro carico che ne rendessero precaria la situazione creata, appoggiati sui vetri a cercare precisi contorni, forse di gocce. E fragile pure la loro eventuale ricerca di concentrazione nel disegno. Oppure mio fratello s'è infastidito per via dell'atteggiamento protettivo verso di noi e per esteso anche per il ragazzino che non sapevamo chi fosse. Neanche mia sorella, pur disegnandoci insieme, gli aveva chiesto il nome. Mia sorella è timida e piccola. Io poi non stavo giocando nè colorando, stavo in auto, ripeto, per montare su l'autoradio e un po' di musica, quindi non so proprio.
Mia sorella credo abbia aperto lo sportello mentre mio fratello...o il probabile padre del bambino, magari era il padre e non mio fratello, no, mio fratello... s'è avvicinato a quell'uomo strano col cappotto un po' lungo e ha staccato la ventosa senza quasi accorgersi nè significativamente interessarsi del pezzo di carta che teneva su e ha buttato a terra tutto. Non so se è finita, la ventosa, nel fiume. L'auto era parcheggiata al fondo o inizio che fosse del prato, trovando il suo parcheggio senza strisce di fiori, ma con quella, dal lato destro, di un torrentello di quelli che ci sono in campagna. Se guardi bene e se non ci fai caso potresti caderci dentro per via del fatto che questi fiumiciattoli sono spesso nascosti dall'erba e quasi non ci si accorge che ci sono se non si fa attenzione al flebile, spesso flebile, fruscio dell'acqua che tocca qualche foglia, lava qualche ramo a strapiombo gettato dentro il bicchiere, solo un bicchiere, che ne contengono di solito. Dentr'a un torrente simile, ma più famigliare, mia mamma mi raccomandò spesso di fare attenzione a non cadere e con i cugini e fratelli, invece, dal ponticello ci eravamo più d'una volta calati giù tanta poca era l'acqua.
Credo sia stato per l'arrivo di mio fratello impegnato in quell'istintivo gesto di staccar via la ventosa quasi in senso di sfida che mia sorella piccola è entrata in auto. E scherzava con me magari per nascondere l'emozione, non partecipare alla tensione, istintivamente anche lei, piccola e timida. Abbiamo visto tutto. Il signore era strano col cappotto in quel sole pieno, ma non sembrò adirarsi per il gesto di mio fratello nè raccogliere la sfida o la ventosa col foglietto di carta che entrambi se finiti nel fiumiciattolo avran visto la loro fine. Ho pensato a una manovra pubblicitaria un po' fantasiosa, lo dico.
Il tipo s'è messo una mano nella tasca enorme del cappotto un po' lungo e tutto marrone a sostegno dei tronchi visto che col sole già non centrava. Ha tirato fuori una pistola e questa volta s'è capito pure da ignoranti che non fosse un giocattolo. Una pistola vera. Ha messo dei bussolotti dentro e si sono sentiti rumori meccanici. Poi non ha più degnato d'uno sguardo nessuno di noi e si è fiondato sulla strada oltre il torrente... veloce.. come l'avesse aspettato tutto il tempo un fedele levriero dall'altra parte. Ci sembrava tutta un po' una favola in effetti, eppure stonava con la nostra sensazione davanti a quell'arma, di quelle mai viste e sentite prima come invece sì dentro a storie e film.
Interessati sicuramente per il protrarsi della vicinanza di uno sconosciuto presso noi bambini, si sono avvicinati presto, ma troppo tardi e lentamente, i nostri genitori a chiederci cose. Non hanno visto niente. Non sapevamo far capire tutti insieme parlando sottovoce, ma con enfasi, molto di quanto a cui avevamo assistito, eppure hanno capito. Mio padre ha lanciato solo una breve occhiata profonda verso il bosco oltre la strada e io seguendo il suo sguardo non ho visto niente. Eppure era come se fosse ancora lì, nei pressi, il criminale. Non ci ha fatto del male, ma aveva una pistola.
Ero uscita dall'auto per aggiungermi ai commenti enfatici, ma un attimo prima noi tutti, bambini testimoni, eravamo tra noi rimasti zitti. Siamo rientrati velocemente a prender posto nei sedili al cenno dei nostri genitori. Mia madre era molto allarmata, lo vedevo anche se voleva mantenere la calma. Il bambino che era con noi, ma non era con noi, non so più che fine abbia fatto, nè con chi fosse, ma mio padre non credo lo avrebbe lasciato lì da solo. Si è messo alla guida papà che di solito fa il passeggero. Io parlavo ancora con mio fratello che era mio fratello di certo ed era in auto anche lui, adesso. Siamo volati come in un film, più che in una favola: abbastanza in fretta e non sapevo dove stessimo andando e neanche gli adulti quasi certamente. Mi sembrava sempre viaggiassimo troppo lenti eppure contemporaneamente, guardandomi intorno in cerca di pallottole rotanti che dessero inizio a sparatorie, mi pareva che andando via così rapidi da quel prato da dove lui era già, a ben pensarci, scappato via, eppur visto come minato, non sarei riuscita a scorgere il criminale neanche voltandomi da tutte le parti con lo sguardo attento perchè le immagini sui finestrini scorrevano come una pellicola mandata avanti veloce. Mi sembrava che l'uomo col cappotto che fino a poco prima era effettivamente vicino a noi nella tranquillità di tutti, eccetto che del fastidio di mio fratello, fosse nei paraggi.
Insistevo: volevo chiamare la polizia. Nessuno telefonava e quando provai a farlo io mi dissero di posizionare il telefono in modo che non fosse visibile e avevo oggettive difficoltà ad avvicinarlo all'orecchio, così. Seduta in centro, dietro, non si trova neanche spazio per abbassarsi rannicchiati. Avevo già composto il numero, ma trovandomi nell'impossibilità di sentire e dunque rispondere e conoscendo già l'innumerevole serie di domande che fanno quelli della polizia per telefono, ho messo giù la chiamata. Proprio allora abbiamo visto le luci blu che roteavano e m'è sembrato per un momento di vedere anche il criminale a cavallo, preso. Invece me l'ero solo immaginato, ma il posto di blocco no. Tutta la confusione delle auto non avrebbe comunque fatto passare agevolmente neanche la nostra anche se non fossi stata proprio io a dire ai miei che potevamo cogliere l'occasione e fermarci a testimoniare. Mi sono domandata fugacemente come mai tutta quella gente, chi avesse potuto chiamare, se le macchine delle forze dell'ordine non fossero ferme lì per altri motivi, persino. Forse il bambino, nei miei pensieri abbandonato sul prato minato e sicuramente più tranquillo di qui, forse lui era riuscito a far la cosa giusta, da solo come l'avevo lasciato nei miei pensieri. O forse uno dei suoi genitori a cui sicuramente mio padre lo aveva riconsegnato, come un mazzo di chiavi o qualcos'altro di prezioso, altrimenti l'avrebbe portato con noi pure avesse significato essere in quattro nei sedili posteriori e voi poliziotti non ve ne sareste accorti perchè non ci sareste, ora, qui, perchè quando accadono i fatti non ci siete mai, come non ci siete davanti alle uscite delle scuole a vigilare sui criminali che corrono in auto e loro sì, ci sono sempre e ogni tanto tirano sotto qualcuno. In auto avremmo corso lo stesso e il bambino sarebbe stato zitto perchè si sarebbe trovato con estranei e non avrebbe avuto confidenza abbastanza, se fosse venuto in mente a lui come a me, neanche per disobbedire e chiamarvi dalla macchina senza troppe complicazioni. E voi poliziotti al massimo ci avreste fermati per una multa che non ci avrebbe tolto nessuno neppure raccontando questa storia piena di paura e adrenalina accentuata qui, poco fa, mentre cercavo di parlare con la Comandante a cui mi sono presentata un po' di soppiatto. E' ancora nei paraggi da come lo sento vicino: nessuna empatia con un killer, solo paura. Ma voi l'avete trovato? A giudicare dalle radio finalmente ad alto volume che spernacchiano ogni poco direi di no.
Ci sono volanti ovunque e non trovate un killer a cavallo, da solo, scomparso nel bosco con una pistola. Sparerà.
La Comandante stava andando via, cercava di avvicinarsi alla sua auto e salirvi se non fosse stata fermata prima ancora che da me. E' da qualche frase di quella conversazione rimandata che ho scoperto esserla Comandante e mi sono rivolta allora a lei. Con me non ha rimandato, non mi ha dato numeri del suo ufficio a cui richiamare in un 'presto' successivo almeno di un po' visto che lei era per strada e stava per salire in auto e non tornando nel suo ufficio, spero.
Mi ha portata a voi, ma prima di là ho visto... chi erano quelle persone che urlavano dentro al capannone? Cosa c'è là dentro? Urlano in coro, un sacco di voci, urlano e sbattono come delle ciotole o posate su dei ferri. E' un carcere? Qui? Protestano sbattendo sulle sbarre; sembra un tifo per un compagno criminale, mai sentito veramente fratello. Veramente tutti si sentono innocenti per un motivo o per un altro? Condannate, sempre, le pene altrui; eppur io, che non ho mai fatto niente di male, nei miei pensieri li metterei tutti in croce e poi ne assolverei qualcuno, non perchè pentito, ma forse a istinto, sbagliando molto. E riderei sotto le croci.
Non sono mica Comandante, nè giudice, infatti, io. Sì, voi vi giudico, signori poliziotti, voi vi pago per mantenere l'ordine e guardate che casino qui e il killer chissà se ha già sparato.

E' a questo punto che mi sono svegliata, penso.
Signori poliziotti, scusatemi, era solo un sogno. Me ne sono accorta adesso. Già nella denuncia in effetti avevo incontrato dubbi e saltuarie difficoltà e le avevo imputate ad innocenti confusioni dovute ad inesistenti shock. Anche voi poliziotti siete prodotti della mia mente.

Lei ora mi dirà di stare tranquilla e cercherà di impasticcarmi con qualcuno dei vostri tranquillanti che non mi lasciano per nulla serena e che non m'hanno guarito la testa. Lei, in questo posto pieno di bianco e senza purezza, mi dirà che sono pazza.

Si alzerà e andrà in bagno e poi porterà il pc dal comodino al tavolo e scriverà tutto. Ieri sera solo un bicchiere di the freddo, stamani caldo. Studia anche lei, a suo modo psicologie; è una scrittrice e il suo killer col cappotto è solo un'invenzione della sua testa. Come i poliziotti a cui denunciare un sogno o lo psichiatra a cui svelare che non esistono forze dell'ordine. La mia protagonista ha una vita felice con un uomo e una bambina piccola e la fantasia per trasformare i sogni delle sue notti, persino, in racconto. Sarà un best-seller.
La mia protagonista ha la concentrazione per lavorarci anche di mattina tra le mille incombenze a cui è richiamata, tra gli sbuffi del suo convivente e le richieste di attenzioni di sua figlia che non prevedono e capiscono che ora lei sta rincorrendo di fretta un'urgenza e la pensano ferma a non fare niente.

Io invece, io mi sono ricordata che prima avevo pure sognato mia nonna che voleva dirmi qualcosa e non me lo diceva mai e poi mio nonno, distratto, non si accorse del suo cambio di direzione e mi rivelò che dovevano tagliarle la faccia per un'operazione. A pensare mia nonna sfigurata avevo pianto sbattendomi per terra. Avevo paura. L'avrei riconosciuta sempre, sapevo e lei era già invece irriconoscibile perchè non aveva alcun timore dell'ospedale. Piangevo perchè non mi aveva voluto dire niente, piangevo pure ora che ormai sapevo ugualmente. Piangevo e mi sono svegliata davvero con una tachicardia che conosco e tre lacrime a colare dagli occhi che credo fossero vere. S'è svegliato pure il mio compagno di letto e potenzialmente finora di vita e mi ha abbracciata. Mia figlia no, non s'è svegliata.
Eppure il killer non m'ha poi dato da sveglia nessuna reazione che non fosse, con la fretta e la fantasia di trasformare il sogno in uno scritto mio, il rincorrere la memoria insieme alle palline dell'albero di natale spogliato e smontato che rotolavano per terra.
E l'incubo vero della tua assenza, nonna, non riesco a trasformarlo del tutto mai. Pure se ci metto un amore naturalmente diverso da quello improvvisato con un getto d'inchiostro e di passione per un killer a cui ora potrei vestire addosso mille storie e cento volantini nelle tasche da sparare a ventosa in ogni prato di bambini. Messaggi di fantasia.
Nel letto, nel buio, prima ancora di immaginarlo e dargli una parte in una storia notturna, prima ancora di conoscerlo nel suo cappotto marrone intonato al bosco e non al sole, mi sono chiesta, ad occhi aperti, se non fossi tu lì, nonna, in quella stanza buia, senza aloni di luce a toglierti colore e darti niente di più divino di ciò che già hai nei miei ricordi col tuo sorriso stampato e le tue parole posate. Penso che potresti sbatterle sulle sbarre della mia gabbia da cui non posso raggiungerti e farne una musica per le mie notti insonni. Fatti sentire di meno. Fatti sentire di più.

Mi sono alzata alle 11 e sono in ritardo; il pettirosso nero non so ancora se è già passato a trovarmi. Non m'ha lasciato alcun messaggio scritto nè segni di zampe a ventosa sul vetro. Mi affaccio dalle tapparelle abbassate per evitare il sole sullo schermo del pc e in faccia, mi abbasso per scorger il pettirosso se arriva, ma la coda rossa non spunta ancora e il sole ha dimenticato le gocce sui fili della biancheria. Le porterà con sè più tardi.
Solo un piccolo insetto nascosto dall'aria, mentre cercavo il pettirosso. Una mosca. Che mi ronza senza che possa sentirla e in testa mi fa rigirare un pensiero che un po' si posa e un po' si rialza e cambia posizione: nel volantino sparato dal criminale incappottato e tutt'ora, per quanto ne so, innocente e magari provvisto di porto d'armi e attento più dei poliziotti a salvare i bambini e gli adulti dalle malefatte dei criminali veri, c'è sicuramente scritta uguale uguale questa storia. Con tutte le virgole e i punti al punto stesso. E adesso è nel fiume.

lunedì 11 gennaio 2010

09.01.10 - Redenzione

Pettirosso nero che con la coda rossa ti presenti alle 11.12 a far quattro saltelli sul mio balcone e poi veloce, senza farti fotografare, sei già sul tetto davanti e nonostante la pioggia incessante. Oggi dal vicino qui accanto che entra in casa da un altro portone solo colombi. Ne sono arrivati due anche sui nostri fili della biancheria: uno da un lato, uno dall'altro; come guardiani.
Mi viene in mente che, senza motivo, anch'io non ho fatto mai conoscenza con i vicini di casa o di balcone.
Mi accorgo di quando arrivi anche se sei piccolo e non mi bussi sul vetro. I colombi sono più grandi eppure di loro non sempre. Mi accorgo delle gocce appese che sono piccole e tutte uguali a vedersi. Mi accorgo di te ogni mattino e ti aspetto pure se non sto ferma davanti al vetro tutto il tempo. Ieri pensavo che comunque vada non ti cercherò d'ingabbiare mai se non nelle mie fotografie, ricordi, pensieri, aspettative, speranze, leggende metropolitane. Si può dire, questa, libertà solo perchè puoi andare dove vuoi? Per cibarti sta a te, non dipendi da un padrone sperando nella sua memoria, attenzione, magnanimità da scambiare con brevi soddisfazioni di un farti guardare obbligato.
Non voglio confondere diritti e privilegi e regali. La Contessa degli aquiloni è una donna riservata o forse solitaria, ma umile. Non voglio trasformarla in aguzzina e far di te un aquilone. No, non sbattere le ali in risposta. Se deciderai di non passare più sarò libera di vivermi tutta la malinconia dei tuoi silenzi di non passaggi. Deluderai le mie aspettative e speranze, perchè negarlo? Non so se t'aspetterò poi per sempre, per sette anni o un giorno. Nè posso dire se rivedendoti tra tanto tempo mi stupirai come oggi o non ti sentirò più così importante nelle mie mattine, ma questo in ogni caso. Sono Contessa e le magie le costruisco con gli aquiloni, mica con previsioni. Guardo il clima dalla finestra e lo faccio mio in tempi rapidi, autodeterminarsi non vuol dire per forza decidere gli eventi o forzare sentimenti.
Investirsi di vita, cambiando scarpe da ginnastica ogni tanto. Non confondere più semplicità e piccole bellezze come un Volo fin qui.
Pettirosso nero, forse dovrei farmi una tinta rossa e tenere i capelli legati per somigliarti del tutto. Ma piove.

Redemption Song - Bob Marley

08.01.10 - Sinteticità

Oggi nevica: il pettirosso nero arriverà sul balcone? Verrà a maggior ragione in cerca di riparo da un cielo freddo dentro e sperando in chicchi o briciole accantonate in un angolo o si risparmierà il viaggio e lascerà stare? E' giunto un piccione. Loro rimbalzano dai tetti, anche da quello sopra di me. Quando partono fanno ombra sul mio tavolo e sembrano più grandi, invece sono solo vicini eppur fanno paura. E con le ali aperte sembrano ancora di più. Oppure sono altri pennuti che io confondo e non so.
Mi è passato il sonno, non l'annacquamento di sensazioni miste e rimestate, senza sguardi mesti, nella neve di fuori e poi pioggia.
Il mio uomo componeva uno spartito nella mia mente subliminado il desiderio di noi. Io ho la punta del mignolo in bocca. Mi cercava le labbra che gli concedevo e ritraevo apposta così che mi baciasse di baci tutto dov'è carne e pelle e voglia di lui, ora dietro di me, a rincorrere la possibilità di vedermi vivere ciò ch'è mio. Ridere tra le labbra. E poi psichedelia.
Ha preso a piovere più forte: il pettirosso nero forse oggi non passerà a salutarmi dai fili della biancheria che in questa mattinata sono pieni di gocce come quei colori sfumati di stanotte, in bilico. E sembrano non cadere mai. Eppure poi viene giorno di nuovo e chissà, magari il sole. Per intanto piove. Sui tetti imbiancati a metà che si cancellano o colorano di rosso; sui tetti e sul campanile della mia cattedrale, piove. E tu che ora sai che devi lasciarmi sola perchè sono chi sono, non vedi questa carrellata di gocce come titoli di coda, come schiuma di birra in un boccale riempito in un pub. Scuro. Scura anche lei, forse arrabbiata e stufa di non essere mai contenuta. Oppure contenta.
Dove si sono nascosti i colombi con questa pioggia più forte? Dalla mia finestra in fronte al tavolo, sulle tegole, vicino i camini, non se ne vedono più. Solo gocce che cancellano o colorano a seconda di come la vuoi guardare questa pioggia che neanche James Taylor, forse Van Morrison.
La difficoltà sarà fare una sintesi di me. Lì avrò bisogno del tuo aiuto. Sintetizzami.
Sei arrivato alle 13.58, pettirosso nero con la coda mezzo rossa. Sei passato anche dal balcone del vicino. Le gocce sono ancora tutte appese ai fili della biancheria senza mollette. Oggi ti sei fatto due passi sul pavimento vicino al secchio giallo dove raccogliamo i vetri. Chissà domani.
Forse siete una famiglia di pettirossi e vi date il turno per questo giro? Forse siete due gemelli e vi differenzia solo una piccola macchiolina sulla coda rossa che io non vedrò mai. Forse prima era la tua compagna che è venuta a vedere dove caz zo vai ogni mattina. O viceversa eri tu geloso o curioso di lei.
Può essere che passi da me in realtà un sacco di volte mentre io non ti degno di sguardi perchè sto scrivendo o cambiando cd nello stereo e ti guardo una volta sola, oppure il pomeriggio mentre sono sul divano e ho rimandato il pensiero del tuo arrivo a domattina.

James Taylor - Fire and rain

domenica 10 gennaio 2010

Enrico Nascimbeni mi ha letta....

Piccoli crogiolamenti personali

Reazione di Enrico Nascimbeni alla lettura di una decina di miei scritti:

"SEI PIU' BELLA DI PARIGI....". HO LETTO TUTTE LE TUE POESIE. FRESCHE, GENIALI, ARROGANTI, INFANTILI, PASSIONALI, AGGRESSIVE, ROMANTICHE, PUTTANE, DISPERATE, FELICI. BELLISSIME. MA LE HAI PUBBLICATE? SE NON LO HAI ANCORA FATTO FALLO, NE VALE LA PENA.
UN ABBRACCIO
ENRICO

venerdì 8 gennaio 2010

07.01.10 - Putto ribelle

E se l'illusione fossero questi fogli? diresti tu, senza vedere la mia espressione. L'illusione è di questo capire e adesso son qui al bivio dove devo scegliere il mio fallimento e mentre da una parte arriverò a finire come eterna giovane con le rughe che s'ostina a non accettarle e dall'altra divento uno scontato cartello in mezzo ai disillusi, io scelgo di essere stregatto.
Ho bevuto a canna la prima Peroni dell'anno mentre dicevo che devo stare con un artista; mi dici che lo dico perchè fa figo eppure com'è che a me fa figo invece annotare sull'agenda il giorno in cui passerà a casa l'idraulico?
Non potrai mai essere felice nè innamorarti davvero, penso e poi so che m'innamoro un sacco di volte al giorno e non solo davanti allo specchio e che sono felice pure da malinconica o da triste. Solo che in quest'anno nuovo mi piaccio ancor di più: son problemi.
E come si fa a rimanere coerenti se si è contraddittori?
Vieni dietro la mia porta per sentire che musica ascolto. Ti metti gli occhiali scuri e a me piacciono i tuoi occhi castani. Tanto. Quando sei emozionato diventano più piccoli.
Per un'egocentrica è ovviamente difficile sopportare indifferenze.
Il pettirosso è arrivato sul balcone alle 13.38.
h.n.

Putto ribelle - Stefano Tessadri

06.01.10 - Non sprecare

Guardavo fuori dal finestrino all'erta con lo sguardo in cerca della volpe rossa che sbucasse d'improvviso dalla strada, uccelli strani o qualche altro animaletto del bosco come il tasso di quella volta o un nuovo riccio John. Non si affacciava nessuno e i pensieri hanno cominciato a dondolarsi nella musica dell'autoradio e hanno ritrovato il ricordo di nonna. Immediata mi ha raggiunta la consapevolezza inaccettabile che forse davvero ognuno ha un suo percorso ed il suo lei l'aveva portato a compimento. Ho cambiato stato d'animo. Ho pensato allora a quante volte avevo percorso in quel posto passeggero quel tragitto e quante volte con quella canzone di sottofondo e avrei voluto comporre un clip con Truman che alla regia ritrovasse ogni passaggio e c'infilasse l'immagine sulla musica e mi comparisse negli occhi al posto della curva di adesso. Forse sprecare la vita è una scelta che articoliamo quando il senso del percorso non lo capiamo nel quotidiano. Forse la vita sta sì in quella serie di fatterelli di ogni giorno che ci riempiono le giornate, ma bisognerebbe tenere il filo rosso del proprio sentiero in mano. Io il mio l'ho poggiato sulla scacchiera con i personaggi che passeggiano sul pavimento a quadri in ordine sparso, magari casuale. Ho pensato che vivere tutto sommato è la migliore illusione e ricondotto i miei incubi a una barzelletta: anni trascorsi a mangiare tardi, magari in quei notturni di cui mi cibo come fossero alcool, che uno psichiatra avrebbe eluso dalla sua diagnosi a mio carico di poca serenità che magari pure faceva parte della mia vita, ma nulla aveva a che fare con le mie notti difficili ripetute come si ripetono le mattine a riflettere sui sogni che, si sa, al chiaro assumone forme diverse comunque. Diagnosi illusorie. Io i miei mostri li ho sempre guardati in faccia.
h.n.

Tu che prima o poi cadrai - Baccio

giovedì 7 gennaio 2010

05.01.10 - Monnalisa

Ci sono momenti che poso il cellulare e mi sale addosso tutta la malinconia; ci sono momenti in cui perl'adrenalina di sentire dopo qualche istante presumibilmente la tua voce, non riesco neanche a tenere il mio battito costante mentre cerco il numero nella rubrica. Ci sono diffidenze a cui siamo troppo abituati e che invece si rivelano di quelle sorprese a cui cedevamo di doverci disabituare. Avevamo perso la capacità di sognare e ci domandavamo se gli altri ne capivano l'importanza.
Così sono entrata a teatro senza più cercarti nella platea nè sul palco. Mi sono vissuta egocentricamente il tutto, compresa la comparsa sulla scena dell'artista ed il bellissimo concerto. Come non m'emozionavano da un po'. Nonostante che ci sono note che mi richiamano sulle travi di legno che mantengono il sipario e ci sono accordi che ascolto e patteggio col mio stato d'animo perchè li so parlare di me.
Sono entrata in teatro e mancavano alcune decine di minuti affinchè i visi si voltassero e gli sguardi si accostassero tutti sull'orizzonte e forse è guardarlo insieme che ci fa sentire quella comune sintonia ed innamorare gli uni degli altri. No, troppo buonismo. Io quello seduto dietro di me non lo sopportavo più con la sua radiolina accesa durante tutta la serata.
E poi sono volati gli occhi dentro alla coscienza di impulsi svegli tutt'ora che inspiegabilmente mi collegavano a reminiscenze e a passione, pura e vivida in me. Mi sono immaginata sai cosa? il teatro... sì, mi ha sempre affascinata, non parliamo di quando ci ho recitato su.. E dietro. Però il teatro... un teatro...vuoto... o anche non vuoto, almeno c'è musica o le voci impostate di dizioni che sembra debbano decantar poesie, però girarci intorno...dietro il tendone... esplorare tutte le stanze dell'edificio di un teatro: di questo avrei voglia più ancora che essere qui, in platea, ad ascoltare un concerto emozionante.
E mi sono ricordata quando una perlustrazione buia simile la feci nella mia scuola superiore, di notte, senza che ci fosse altro che noi... e negli scantinati la mia festa d'un compleanno che mi dava la maggiore età. Gli invitati li lasciammo di sotto e la scuola fu nostra. Mano per mano, correvamo a tratti, ti sfuggivo e riprendevo per mano. Mano a mano ci siamo fermati, baciati, banalmente baciati, davanti a una parete vetrata ch'era ovvio ci fosse anche l'indomani dopo le lezioni e risultasse testimone clandestina.
Mi sono fermata a pensare a com'è imprescindibile che vi innamoriate di me, un po' tutti, rimanete affascinati, attratti, in special modo sconvolti, poi, quando mi potete effettivamente restare vicino per un po' e l'unica è stare con me per farvi passare quell'amore.
Ma io ho bisogno di condividere questa passione. Ho bisogno forse di una persona simile per poter star bene. Tu, mi dici 'tu non staresti bene con una persona simile, tu e lui non avreste quel che vi serve'. Tu, tu mi pare che hai ragione o almeno le tue ragioni per dirlo e cosa ci serve? un pubblico? Inerte come mi dà fastidio ogni indifferenza. Di applausi che non mi soddisfano, non m'interessano più. Un pubblico di sguardi ignoti che non sanno di me ce l'ho già. E' costituito di tutti gli uomini che ho avuto.

Alessandro Bellati - Monnalisa

04.01.10 - Non è più tempo di Boheme

Dovrei trasformarmi in orefice e artificiere per dare valore ad ogni passo distinguendo passi e abbagli, ma mi rendo conto che ne avrei esigenza.
Sei tornato perchè ti ho ricercato altrimenti ti saresti addobbato a festa per un Natale senza di me. Ti ho voluto di nuovo vicino per augurarti stupidamente belle cose o forse augurare a me l'immagine di un uomo di quelli a cui voglio bene pure da lontano, da tempo, che speravo felice e invece no. Ti ho ritrovato come mi hai lasciata e questo già dice. Non ho voglia di dire, però, ho voglia di sapere cosa non va. Non ti dico che in fatti che allora avevo ragione e non faccio ragionamenti presuntuosi e pretestuosi per farti riflettere lasciando il tuo regalo irricambiato, come sempre. Avere vicino qualcuno che ti fa capire dove potresti star sbagliando e ti porta a crescere è una delle preziosità a cui non voglio togliere neanche un po' di quel valore che troppo abituata ad elargire a dettagli finisco troppo spesso per conferire in maniera eccessiva a fattori effettivamente poco sostanziali perdendo tempo ed energie. Scegliere, abbassare non i miei ritmi e voltaggi, ma i consumi. Rispettare i tempi altrui e non fare la prima anche in secondo piano. Bisogna che io mi decida ad imparare ad interpretare, forse, anche l'attrice non protagonista. Bisogna che non pretenda io di trasformare per forza la trama di un film che non appartiene solo a me, bisogna che reciti senza consigliare al regista, ogni tanto, ma come la mettiamo con l'autodeterminazione?
Bisogna che la smetta di usare il mio estro per trasformare il contorno in piatto principale di quest'ultima cena inutile e solo perchè in quel contorno ci sono io. Ho fatto una di quelle partite a pugni che chiamo comprensione e confinato il mio senso egotico nell'angolino dove sbatto la scopa, per un attimo. Bisogna che in questa vita che vivo di rincorsa da quando son nata, mi fermi a vivere il potenziale che troppo spesso lascio inespresso perchè sono andata già altrove.
Dovrei, bisogna, esigenze,.... e non che io non sappia, conosca e capisca che l'unica mia profonda necessità è sempre quella dannata libertà.
Mimì sarà ancora a cercare le sue chiavi sul tappeto senza trovarne che nelle tue mani al buio della soffitta che ho riempito di fiori secchi, per dare respiro al cordiale con cui brindiamo.

h.n.

viene e da
poi lo sai che se ne andrà
come il tempo come un sogno poi...
ci mette nostalgia
eravamo noi
come moschettieri che
difendono qualcosa che non c'era
e che forse ancor non c'è
ma tutto questo è per noi
basta allungare una mano e sai
che fuori il mondo è pazzo
ma chissà chissà poi chi ce la farà
questo caravanserraglio è stato
passione o abbaglio
ma il tempo vola
ed in mano ha una pistola
nostalgia questa è la sorte
che ha la voce di un pianoforte
danzano finito tutto danzano
strappano al mattino un po' di buio
anche stanotte
la sera in cui il barista si incendiò
e vic coi giapponesi
noi tutti troppo tesi e stanchi
vai a fanculo tu e il cavallo che cavalchi
ma è qui tutto per noi
basta allungare una mano e sai
forse siam noi i pazzi
è che qui niente va tutto se ne va e noi
restiamo ancora ad aspettare il giorno
che non arriva mai
ma il tempo vola
ed in mano ha una pistola
nostalgia questa è la sorte
che ha la voce di un pianoforte
ma perchè
stanotte lei non è con me
fuori dalla 'casa' china urla
che vuole la boheme!
già lo sai
come siamo fatti ormai
anche il fallimento per quelli come noi
poi diventerà rimpianto
ma il tempo vola
ed in mano ha una pistola
nostalgia questa è la sorte
che ha la voce di un pianoforte
vanno via
tutti se ne vanno via
non ci son più giacche sulle sedie
ma noi restiamo ancora....

(stefano tessadri - non è più tempo di boheme)

martedì 5 gennaio 2010

03.01.10 - Termometri

Ci sono termometri che misurano la temperatura del corpo. Ci sono quelli che misurano quella dell'animo? Entrambi se non li butti giù ripartono più o meno da dove li hai lasciati e aumentano fino a farti sentire male. E magari è illusione, magari è un numero da un copione. A me capita di frequente di vivere a voltaggio eccessivo pure per me, di sbandare senza comprendere a fondo neanch'io la direzione che prendo, di essere impulsiva in termini più profondi di quelli che possono mantenermi stabile un equilibrio di razionale consapevolezza dei miei rapporti. Sono emozioni che scelgo di vivere comunque anche quando provocano sbandamenti che mi rendo conto che fatico a reggere e saper regolare, regolamentare. Non mi do regole al sentire, non mi do regole al punto che le tentazioni diventano un problema. E forse è un errore. Vivere d'impulsi oltre ad essere un modo per portare avanti con passione il proprio percorso, indica anche debolezza. Di carattere forse, di maturità tale da comprendere ciò che si vuole o più semplicemente della razionalità necessaria ad una serietà sostanziale di cui impregnare il proprio andare.
Ci sono termometri che misurano.... e ci sono sentimenti e alchimie che non si riescono a misurare, a capire, che sono così come vengono e ti assorbono e consumano vita, prelevano sangue e creano dipendenze da cui sarebbe più furbo magari sfuggire. Non sono mai fuggita nella mia strada, solo alcune volte andata via.0

domenica 3 gennaio 2010

02.01.10 - Gli incastri giusti

Dopo ho la testa piena di sonno annacquato dentro a sensazioni sfumate miste e mi vengono quasi sempre in mente la pittura e i dipinti. O la vodka che sguazza dentro alla lemon soda, stamattina. Suggestioni.
Stanotte invece ho pensato anche agli incastri giusti. A trovare il pezzo di puzzle giusto ci vogliono coraggio e fortuna, ma anche costanza, tenacia. C'è un'urgenza che prescinde dalle metodiche e dagli appuntamenti, è un bisogno abissale che si deve colmare andandogli incontro.
Certo, avrei anch'io una mezza dozzina di uomini con cui 'forse sarebbe', ma ultimamente rimango poi sempre appesa a una speranza asfissiante che sa di autocondanna o semplice proclama di libertà voluta in un luogo preciso, in una scelta di condivisione non apparente. E' un brutale senso di abbandono quello che si prova pensando alle porte che si lasciano chiudere senza intervenire, senza dire la propria, senza almeno provare ad urlare 'no! basta! fermi tutti. la farsa è finita. adesso la regia la dirigo io'. Non và sempre come vuoi solo perchè lo hai scelto. Solo perchè hai investito lì le tue libertà e i tuoi sogni da concretizzare.
Gli incastri giusti stanotte erano tra le nostre ossa e il nostro sangue che ribolliva a tempo senza una musica diversa da noi, ma ogni mattina quando ti svegli e mi domando se stasera quando tornerai sarai contento o solo soddisfatto di una vita quotidiana tranquilla, penso che gli incastri giusti si vedono anche dalle mattine sprecate anzichè correre altrove. Quanti viaggi su ferrovie sconosciute ho avuto coraggio di affrontare, negli anni, e adesso che il nostro percorso di dinamiche di reazioni concatenate delle nostre personalità che si sono conosciute e forse oggi riconosciute lo potrei scrivere a memoria, credo che andare avanti consapevolmente sarà ancora una volta la nostra forza.

sabato 2 gennaio 2010

01.01.10 - Ci sono responsabilità

E' banale, è una data curiosa. Non tanto perchè la prima del nuovo anno, ma per le cifre che si ripetono e interscambiano.
Si gioca in tante occasioni come questa a trovare come un senso di superstizione o retro-significante in tutto...persino nei numeri che combinano una data.
Beh io non credo a queste cose, ma un po' mi diverto a prenderle in giro e giocare ad affibbiare senso a minimalismi pare essere mio hobby da tempo.
Ci sono responsabilità come quelle della scelta del primo film dell'anno da guardare al cinema alle quali se facessimo far parte di quelle combinazioni che ti daranno intuizione del proseguio dell'anno, morettianamente, per me significherebbero 365 giorni di malinconia, nostalgia degli affetti persi, testardaggine per ciò in cui si crede portata al limite del farsi male e i patetismi che vedono accanto e in sè più individualismo che mai. Amore, amore non scontato, amore costruito nel tempo condiviso, amore raccolto, avviluppato e tenuto nel cuore per viverlo caldo giorno dopo giorno. 365 giorni che significherebbero parecchie cose che io già 'sono'. E forse è proprio questo il trucco-chiave di tutto: il senso alle cose glielo diamo noi in base a quanto per quella che è la nostra esperienza, il nostro sentire, il nostro 'essere', riusciamo a percepire del mondo che ci circonda, ma anche delle persone, degli affetti, delle condizioni.
Ci sono alcuni fattori peculiari di ogni cosa che vediamo che ci saltano agli occhi perchè ci sembra di riconoscerli simili e forse la magia dell'interscambio tra sogno illusorio e vita reale è proprio il fatto che non sapremo mai se quella nostra impressione esprime a pieno l'essere d' 'altro'.
E' tutto un gioco di scambio di percezioni, sensazioni, sentire. E' per questo che tanto mi preme la condivisione con alcune persone che sento simili o semplicemnete potenzialmente interessanti nel mio percorso.
Al cinema il 01-01-10 sera ho visto Hatchico (o qualcosa del genere... non ricordo come si scrive). Non è stata, la mia, una reazione morettiana (come nel film Aprile in cui Nanni si dispera per aver sbagliato scelta del primo film da far vedere al figlioletto ancora nella pancia della mamma), nè la pellicola mi ha poi estremamente ammaliata. Mi ha fatto pensare banalmente soprattutto a Libero, il cagnone della nostra famiglia, quando ancora c'era lui e quando ancora c'era quella famiglia.
Al cinema eravamo mia sorella e il suo convivente (che hanno tre cani e un gatto... di cui un cagnetto e un gatto presi di recente), mia mamma (che rimpiange tanto il nostro Libero eppure era l'unica della famiglia che non lo voleva tenere all'inizio) e il suo compagno, Andrea ed io (che non abbiamo cani, ma io accarezzo quasi tutti quelli che incontro).
Nadine è rimasta un paio d'ore a tenere compagnia al suo nonno bis nel frattempo.
E poi tutti a nanna per una notte, la mia, piena di sogni sbocconcellati che non ricordo.