SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

domenica 19 giugno 2011

La lettera che non scriverò mai

(19-8-08 18.25)


Ad H.
Mi rivestivo solerte... 
Non ho visto la faccia dell'uomo che mi aveva violentata; 
non l'ho vista: era strappata. 
Voi avete creduto sempre che, andando, 
vi fosse scappata via la verità, 
ma non sapevo neanche io perchè e quando 
e come era potuto entrare. 
C'erano troppe gocce per guardare! 
Non piovono lacrime di rabbia 
quando mi arrestano i pensieri nei ricordi; 
mi assesto e ascolto in mezzo all'acqua 
che compone con gli spruzzi di pennelli. 
Bombole spray ossigenate con profumi di versi 
che confondono (ri)tratti sagomati nelle cose, 
come cera che lecca la candela sciogliendola, 
come c'era stato lui in mezzo alle sue gambe nelle mie. 
L'ho aspettato poi anch'io; 
pensavo assurdamente di vedermelo tornare indietro: 
stupito, forse arrabbiato, stupido, 
non pentito nè cambiato. 
Sapevo che era successo con un'altra, 
forse altre mille... come se avesse poi importanza. 
Lui aveva rubato qualcosa ad ognuna in ogni stanza, 
ma non tornava mai a dirci cosa 
mentre lo riattendeva ciascuna alla sua casa. 
Preferiva dunque una solitaria confidenza, 
una pura coincidenza, 
una totale convenienza. 
Ho scritto una lettera che non scriverò mai, 
una lettera in cui incontro i tuoi dubbi 
e ci faccio amicizia 
e ne faccio un unico sesso 
per raggiungerti non più di riflesso. 
Incontro i tuoi dubbi e ci diamo del tu... 
è solo l'impazienza 
a dettarne corrispondenza 
di segni, 
ma non la scriverò. 
Rimarrà cera lacca che stacca i suoi bordi 
senza più contorni tra il vestirsi, 
senza più essersi visti, 
senza più risposte 
nè quesiti da riporre 
su quei siti in cui mi porti nei ricordi. 
Ho scritto una lettera senza francobollo, 
l'ho scritta di getto 
quando mi baciava il collo. 
Non la scriverò mai - ti dissi; 
al contrario tuo 
che in tempo non capisti. 
E' difficile dirsi e scriversi sotto la doccia, 
ma quando esco lo rimetto 
addosso adesso il braccialetto 
che mi regalò uno zingaro cubano in maglietta gialla 
e troppa fantasia, 
scarpe da ginnastica per correre 
a destra e sinistra dell'andar via. 
Sei stato uno zingaro felice di violentarsi, 
non so niente di te... dico solo che può darsi. 



una lettera che non scriverò mai non è una lettera, 
son guai. 



(La lettera che non scriverò mai - Fiorella Mannoia)

venerdì 17 giugno 2011

Alla. Fonte. Andiamo.

(venerdì, 27 giugno 2008 alle 19:42)
E' afa che ci assapora
con sguardi caldi
che ci mangia
come se fossi qui a guardarla
e ne venissi coinvolto
come noia e nulla.

E' giorno che ci conduce
in cerca di una via
che definirla retta è sempre eufemismo
sbagliato.

E' notte che ci racconta
come se fosse possibile
una filastrocca diversa. 
E' sonno che ci violenta
e nella notte ci sveglia
convinzione che mai
possa ricongiungersi a te.
E' sogno che ti rimane banale
nel cervello come nelle ossa:
quelle che abbiamo ricomposto insieme
finchè persero senso
e rimase l'afa.

giovedì 16 giugno 2011

Schiamazziamo i nomi degli angeli

(6.43 27-7-08)
Matita rossa
- non è mai troppo presto per tornare a essere se stessi -

Mi rivestirei pure
se non ci pensassero loro.

Dita.
Dite qualsiasi parola
che non possa rubarmi le mie.
E' un sesso insicuro quello della poesia.
E' lì che mi viene addosso proprio quando
il sole si rigira nel letto,
è azzurro
e prende luce la notte.

Riaffronto il respiro, scrivo.
"ah, ma così?",
sorridi sfuggendo.
Sì, così
sorrido ridendo.
Mi rivesto pure
intanto che ci pensano
i passeri.
Mai e del tutto.

Scalo le mie rapide,
vacillo mentre fremono graniti
e gomiti.
Si spezzano i tronchi,
mi appendo ai cespugli,
ma porta via l'acqua
i miei piedi.

Rivestiti,
pure se ci sono gli uccelli.
Ogni milione, uno vola anche nel buio
senza dirlo a nessuno.
Dietro la montagna
io troverò sempre qualcuna
di quelle domande
a cui non so che dire.
Nessun Mosè ad illustrarmele davvero
se non d'io.

Grida al tradimento
nel finto silenzio
mentre sono di qua
e tu ci sei
vicino.
Riderò, tu ne pure.
Schiamazziamo i nomi degli angeli
quando non ci sono che propri demoni da seguire.
Bada bene, scrissi seguire.

Ti ho lasciato sulla scrivania
il rossetto aperto:
puoi assaggiare s'è dolce di vendetta
o prepararti a scappare
senza pagarmi il riscatto.
Un'altra firma su un orario
che dà l'alba
alle dita screpolate,
stanchi occhi,
anche laddove non si conduce,
non s'approva,
non si capisce niente.

Ch'è presto tornare
a sentirsi se stessi
se solo passano,
volano, si voltano,
cantano e gracchiano
ancora
i risvolti dei nostri lenzuoli banali
posati
su rami inassenti. 

mercoledì 15 giugno 2011

non sense - mon sense

(sabato, 28 giugno 2008 alle 12:15)
Se fossi un pochino più fragile, un battito di ciglia e tutti i semafori sarebbero rossi insieme.
Forse piangerei ogni notte anzichè buttarle dentro lacrime d'inchiostro soltanto.
Se fossi meno io non vi accorgereste della differenza perchè allora trovereste quotidiano il mio chiudere gli occhi e fermarmi ad ogni incrocio. Sarebbe isteria concentrata negli attimi sbagliati, quelli di quello sbattere che oggi è d'ali. Anche senza averle.

Dipingerei la linea della strada dritta contro i muri che ergi tu, anzichè costruire casa mia, nostra che sia.

Invece resti una pagina di appunti in un quaderno buttato più in là. Non ti permetterò di scrivere, starai incantato a leggere per il tempo che dureranno quei semafori, poi andrò via con le ali che non ho, nella casa che costruisco con le righe e che tu non sai.

Rimani una luce sul mio guardrail sbilenco.
Incrocerò gli occhi per guardarti solo per quel secondo prima di oltrepassarti e sarà ubriachezza della stessa vita che mi ha portato a volerti.

Un solo lancio del dado e tu sei già qui senza che ti abbia immaginato. Non c'è stato sogno, se non dopo, scrivevo fuori dalle righe e un po' a casaccio. I cartelli mi suggerivano messaggi d'amore.
Non ti ho creduto e mi avevi già spianato il sentiero.
Quelle pietre di anni fa rimaste lì, il crocicchio dove ha origine il blues. Altro che pancia! Cespugli ai lati di musica in divenire mentre avanza sterrata l'entrata nel tuo campo di carte male appoggiate.
Sono sempre con lo sguardo in alto ed il mento sopra il pugno, quello che riservo allo stregatto mentre rincorro le ombre e ci gioco alla corda.
Gli equilibristi giocano con le parole ed i toni di voce. Tu puoi conoscerli solo quando mi sentirai piangere e inizierai a scoprirmi.
Sempre più.
E allora sì che sarò meno fragile ancora, ma non avrò battuto la testa come te nel cercare seduzione e deduzione sedata alla mia calligrafia storta. Ho appoggiato il cappello.

Buongiorno.

martedì 14 giugno 2011

Follia a colazione

(venerdì, 20 giugno 2008 alle 00:07)
Sapeva fin troppo di caffè.
Giocando all'avvocato li avevo beccati: il barista, ma solo quello coi baffi sotto gli occhiali, decideva le percentuali come ad abbinare un vestito alla mia faccia di ogni mattina. Mi vedeva entrare nuda di prospettive senza la capacità di mutare la stanchezza dell'ennesima notte sbandata.
Un tavolino di legno quadrato, il mio cappuccino senza schiuma e brioche vuota: la mia colazione come un rito mentre altrettanto rigorosi si alternavano i toni dei buongiorno, le voci, insieme ad ogni scricchiolio della porta. Una spinta sola e potevi entrare o uscire da quel mondo parallelo che è qualsiasi bar.

L'uomo, perchè uno che lavora qui deve innanzi tutto poter essere questo, sorrideva nel pizzetto ogni volta che, sbirciandomi di sfuggita mentre scrivevo, capiva di aver centrato il suo esperimento vedendomi accelerare sveglia la penna, che, da parte mia, intingevo qui e poi là: un po' nel caffè, un po' nei pensieri, un po' nella provetta di un testo a metà.

Guardavo il mio uomo diretta, come improvvisandomi davvero in quel vecchio avvocato che mi ero immaginata d'essere poco più sopra nell'escalation di corse di ogni mattina, che si ferma comunque e per tutti quando spingi la porta d'ingresso di qualsiasi bar.
Si guardava attorno nei baffi mentre batteva gli scontrini distratto e, allora per forza, ho dovuto trovare in lui il mio complice. Il mio prezzo non l'aveva ancora mai pagato, lui.
Giocavo a sedurre ogni lettera stampata sui tovagliolini impilati come lo era il mazzo di carte solo qualche ora prima su un tavolo di legno, non rammento se quadrato.
Ne ripiegavo uno baciato dal caffè nel movimento d'un prete che ha finito di celebrare e lo appoggia sul calice.

Janis e Rino mi rincorrevano in quelle ore di inizio giornata ed io sapevo che li avrei forse facilmente reincontrati più tardi.
In realtà ero io come sempre a cedere davanti alla carta bianca come dietro gli occhiali o gli auricolari che una volta uscita dal bar mi riportavano per la terza volta di quel mattino intonato, ad una canzone di Vasco diversa da quella che mi aveva appena ricordato il mio scrivere.
Spinta.

(Vasco Rossi - Liberi liberi)

lunedì 13 giugno 2011

La galleria dei 7 aquiloni

(lunedì, 19 maggio 2008 alle 03:42)
La corriera scorreva sulle rotaie un po' dismesse finchè non si è fermata a quella stazione insicura fin dal marciapiede eroso da qualche incidente d'auto. Magari di una corriera. 

Sono scesa e ho camminato come mi piace fare quando devo riflettere in santa pace su qualcosa che vivo e che non riesco a razionalizzare facilmente in uno schema di logiche e conseguenze. Ti sei avvicinato in quel giardino di sassi e colori come fossi bambino venuto a trovarmi quando piccola lo ero anche io. Hai sorriso in un modo scemo e mi ha incuriosita il tuo modo così strano di guardare la pioggia che cadeva tra le pietre per storto.. 
Non mi hai detto niente lì per lì. Mi guardavi come si fa con un'opera d'arte un po' estemporanea in una galleria sconosciuta di un autore che sta per diventare un moschtro sacro di prima categoria. 
Ho ricambiato il sorriso, allora. 
Già pensavo con l'istinto di proteggere i miei dipinti che la regina degli aquiloni poteva averne dimenticato uno in giardino e che tu l'avessi rubato per portarmelo di soppiatto e farmi fare bella figura in mezzo alle gocce, alla galleria dismessa e ai sassi. 
Ti ho fregato l'anticamera dell'Hotel California appena in tempo perchè potessi comprenderne il senso rimanendo tra le due poltrone nuove, piazzate nella hall nei loro tessuti blu. 
Ho chiesto alla tua tartaruga di insegnarti a giocare a poker perchè mi interessava batterti. 
Mi hai sorriso e mi sono sentita un po' vinta di nuovo. 

Un sorriso è un gesto semplice, istintivo, poco esaustivo. Non è un'opera d'arte nè un sasso. Non sta che in gallerie di denti digrignati da cui esce fuori ogni tanto cambiandogli sapore. 
Come la pioggia fa con l'aria quando ci fa l'amore. 
Come io faccio con te quando ti guardo crearmi domande. E rispondervi.

sabato 11 giugno 2011

La storia insegna...

(domenica, 4 maggio 2008 alle 03:24)

(L'Italia di Piero - Simone Cristicchi)

Rosicchio i secondi all'orologio e poi spio dal vetro della doccia ciò che ti scivola addosso cambiando velocità e direzioni.
Gocce d'amore, che vanno via.

- Non ce la farai mai, Robert! Non puoi portare qui tutto quel che hai vissuto! - questa sensazione che è come bere un caffè con due mani, è ancora qua ad occuparsi della mia povertà.
- Sono povero di contenuti per dirti che t'amo. Sono povero di cuore per costringermi a non provarlo - 
Infantilmente geloso di tutti gli sguardi che ti si posano sui vestiti e poi insieme indipendente, com'è sempre stato.

E' la prima pioggia di primavera dell'anno, qui diluvia che neanche i fulmini bastano a spaventarmi. Mi ha sempre tranquillizzato guardare l'acqua che scorre e poi insieme elettrizzato.
Gioco ancora a rincorrere il tuono prima di vederlo, gioco ancora a nascondermi dalla tempesta affannandomi a trovare coperte e quant'altro possa servire per proteggere. E mi rinchiudo nella favola che ho dentro facendo finta che non esista un resto, perchè tutto quel che mi rimane è proprio questo. Cammino nelle pozzanghere e non me ne accorgo. Ascolto il ciak ciak dei piedi sull'asfalto e non ti riconosco perchè mi guardo i piedi e mi passi di lato sorridendo senza che ti veda.
Suono il portone con il freddo dentro e i pantaloni disegnati di gocce. Solo quando chiudo la porta sento l'umidità che c'è addosso. Allora mi cambio con qualcosa di uguale, solo di un colore diverso e mi tolgo le scarpe e cammino scalzo per i pavimenti di casa.
Mi preparo sempre qualcosa di caldo quando fuori c'è il temporale e lo chiamo sempre diluvio universale mentre lo guardo dai vetri appannati.

Qualche ora dopo sembra tutto passato ed ho anche smesso di giocare alla tormenta, tutta quell'elettricità è passata con l'entusiasmo che mette sempre la paura: il rischio di qualcosa di bello.

Esco di nuovo tra i marciapiedi bagnati ad annusare l'ultima aria di malinconia e a rincorrere le nuvole per scoprire se ci sarà dietro un arcobaleno pronto a spuntare ed illuminare gli sguardi di nuovo come il fulmine prima del tuono.

Sembro di nuovo bambino perchè saltello ancora, allungando i passi quando c'è un torrente che esce dai tubi delle grondaie di qualche casa e quando questi diventano affluenti dei miei pensieri, allora finisco nell'acqua con le caviglie e le scarpe. Riprende il ciak ciak. Mi sento un po' Chaplin e un po' mancare il frack, ma ho già freddo così.
Quando poi c'è il vento ad invadere dentro è tutta una sfida di intenti. Lui che vuole spingermi avanti ed io che permango in tensione. E mi piace.

L'altro giorno mi sono raccontato una fiaba prima di andare a letto. Parlava di quando tutto sarà diverso, di come il sole non brucerà gli occhi se lo guardi, del fatto che gli occhi potrebbero non bruciare più anche dopo che esci dall'acqua piena di cloro. Allora ho pensato che ci sarebbe stata una differenza in meno tra la piscina e il mare, mi sono addormentato triste.
Come quando da piccolo la fiaba non mi piaceva perchè non avevo ancora voglia di appoggiare la testa al cuscino e poi chiudevo gli occhi sognando di essere altrove alla faccia di mamma.

La cosa più bella dei dati di fatto è che sono così come sono e non puoi cancellarli, come i temporali quando ancora estate non è.

Forse è davvero tutta solo un'illusione anche un po' infantile, forse giocare a fare i bambini è solo un ricordo di qualcosa che non riusciamo a superare e non siamo capaci di vivere, forse il bambino è quello che farebbe i capricci per giocare nella pioggia perchè non si spaventerebbe davvero dei tuoni, forse bisogna essere grandi per capire.
Forse è capire che ci frega le carte di mano.
Oppure non ci rimarrà che immaginare il passato per ricordarci che un temporale ha qualcosa di magico e sacro, io comunque quando piove sorrido.

Mitraglio ogni volta che penso, che scrivo. Comincio a domandarmi se sono davvero pacifico.
Se non è tutto sbagliato e mi sto perdendo la partita con la convinzione di un bluff sbagliato.
Sono uno scrittore fallito perchè non pubblico le mie emozioni con semplice onestà e ci monto sopra ogni volta una pellicola di un colore diverso? Mangia la pillola rossa - Mangia la pillola rossa. Non ce l'ho fatta mica, poi. E insieme ad un'improvvisata comparsa mi sono tramutato in un mentitore tenendomela in tasca. Non l'ho restituita, sono stato a guardare che accadeva e com'era fatta attraverso il vetro della doccia, lo specchio di un bagno appannato d'aria fumante. Fumo una sigaretta,... no, non è vero. E' solo tutta colpa di Piero.

giovedì 9 giugno 2011

Sere d'estate a'vvenire

(18-4-08  9.15 am) 
Dannata incoerenza che mi fai abbandonare propositi d'abbandono e abbandonare alle conseguenze. 
Beata dimestichezza che mi riproponi dubbi con cui giocare a scacchi. 
Fottuta paura fottuta che mi dai adrenalina e mi togli il copione di mano. 
Ticchetta lo scatto della biro sul cartoncino e guardo crescere il nuovo ago per le mattine regalate a me stessa. 
Nelle sere d'estate il tg è a volume alto e il profumo del sugo rientra cotto dalla veranda lasciata aperta all'ultimo sole; insieme al caldo e ad un filo di brezza vera; insieme alla musica di un disco d'atmosfera. 
Il mare è nella pioggia appena passata dalla finestra, pozzanghere di serenità per la nottata a venire, trascorsa con un film d'altri tempi a basso volume e la serranda accostata all'ultima parvenza d'apertura. 
Noi sul divano a credere che ne valga la pena e a non chiedere niente, più niente, alla sera

mercoledì 8 giugno 2011

Astinenza

Il mio pensiero vagava per mari, per monti... e per gli spazi della tua capacità di essere. 
Ma non si può essere perfettamente uguali con stimoli così e così distinti. Se no non si è.
E allora è inutile vantare coerenza.
Ti ho scrutato: questa tela non sai come domarla. E allora rimane senza risposta.
Come noi; come me, quando penso ad ogni mio bivio che non vorrei esistesse.
Ma non ho nulla da scontare e
le avventure vanno vissute anche difficili o non si crescerà mai.
Hai ragione a dire certe cose, però poi.... vedi che non rispondi?....

Si può viaggiare senza risposte
e capendo che oggi è il momento,
avremmo potuto non temere almeno il sole.

Perchè se no, adesso come fai senza vedermi tutta una giornata?
(lunedì, 14 aprile 2008 alle 12:57)

martedì 7 giugno 2011

Scena 1/b

(Buio. Luce.)
Fabrizio De Andrè - Sally (il volume va a salire progressivamente, la luce a scemare diventando penombra, la scena inizia a prepararsi...viene portato un tavolo, qualche sedia, entra Paco e si siede, gli viene portata una birra, tira fuori da una cartelletta qualche foglio e lo poggia sul tavolo anche se non lo guarda più di tanto... arriva Esther di punto in bianco, quando finisce la canzone).

Io ci credo. Credo che a questo tavolo ci siano risorse valide per quella nostra rivoluzione. Ci sono gli strumenti e ci sono gli armamenti. Ci sono le capacità. Non è nemmeno l'organizzazione a mancare o lo spirito di servizio, ma voi non ci credete. E non ci mettete la stessa sincerità del mio venire qui a dirvi in faccia tutto questo. E adesso vi lascio, che vado ad un concerto. 
- Il concerto di chi è? - mi chiese, sarcastico, per dirmi che potevo anche andare. Ed evitare di perder tempo a dargli del voi. 
- Perchè: meditavi di venire? :) 

Tacque, continuando a guardarmi. 
Aggiunsi: - Comunque è vero che non perdi mai la tua vera identità.
Sai che della credibilità di ciò che dici me ne accorgo tardi, ma prima o poi me ne rendo conto.
Gli bastò questo per riprendere il suo sorriso:
- Lo so. Chissà che prima o poi non ti convinca anche di altro, allora... e ci ritroveremo a questo tavolo. 
- Sicuramente non possiamo ambire a che accada il contrario, come minimo per un fatto d'età. 
- Cioè, mi stai dando del vecchio? 
- Avevano ragione quelli che ti dissero che sei un ingenuo... ora avrai di che raccontare alla tua prossima cena. 
- Bimba, lo sai che mi ecciti quando fai così? 
- Non è una novità.
 

Esther si mise in macchina e partì. (scena in video, proiettata - buio in sala)
Una gazza si buttò sulla strada innanzi a lei cercando di prendere una briciola o qualcosa. Lei cercò di sviare sperando di farle paura con l'avvicinarsi del rumore del motore dell'auto, ma quella insisteva. 
In pochi istanti, di uccelli ne arrivarono ancora e ancora, rischiando di farsi ammazzare e a me rimase un'oggettiva difficoltà a non tirarne sotto qualcuno. 
- Non è l'ambiente per voi! - esclamai. 
- Devi imparare a guidare. - Disse lui, dal sedile accanto. 
- O a volare 

Ti ho sognata piccola, fragile. Io avevo solo voglia di stare un attimo con te. Domani parto, piccola. Scaccia quei pensieri tristi, goffi, sordi e sorridi. Il vuoto si colma e l'anima si calma. Ti chiederò i tuoi se e i tuoi come prima o poi. Ricordati che l'arrivo significa sempre che c'è stata una partenza. 

_____________________________________ 

Suonò il campanello e fin dal citofono mi disse che era lui. Che era venuto a casa mia per portarmi un pacchetto di sigarette visto che con la scusa d'andarsene di tutti i miei banali precedenti dovevo esser rimasta indubbiamente senza. Gli aprii il cancello, in effetti. 

Dopo che - Massimo Volume 

lunedì 6 giugno 2011

Scena 1

Buio. Luce.
Fabrizio De Andrè - Sally (il volume va a salire progressivamente, la luce a scemare diventando penombra, la scena inizia a prepararsi...viene portato un tavolo, qualche sedia, entra Paco e si siede, gli viene portata una birra, tira fuori da una cartelletta qualche foglio e lo poggia sul tavolo anche se non lo guarda più di tanto... arriva Esther di punto in bianco, quando finisce la canzone).

- Io ci credo. Credo che a questo tavolo ci siano risorse valide per quella nostra rivoluzione. Ci sono gli strumenti e ci sono gli armamenti. Ci sono le capacità. Non è nemmeno l'organizzazione a mancare o lo spirito di servizio, ma voi non ci credete. E non ci mettete la stessa sincerità del mio venire qui a dirvi in faccia tutto questo. E adesso vi lascio, che vado ad un concerto. 
- Il concerto di chi è? - mi chiese, sarcastico, per dirmi che potevo anche andare. Ed evitare di perder tempo a dargli del voi. 
- Perchè: meditavi di venire? :) 

Tacque, continuando a guardarmi. 
Aggiunsi: - Comunque è vero che non perdi mai la tua vera identità.
Sai che della credibilità di ciò che dici me ne accorgo tardi, ma prima o poi me ne rendo conto.
Gli bastò questo per riprendere il suo sorriso:
- Lo so. Chissà che prima o poi non ti convinca anche di altro, allora... e ci ritroveremo a questo tavolo. 
- Sicuramente non possiamo ambire a che accada il contrario, come minimo per un fatto d'età. 
- Cioè, mi stai dando del vecchio? 
- Avevano ragione quelli che ti dissero che sei un ingenuo... ora avrai di che raccontare alla tua prossima cena. 
- Bimba, lo sai che mi ecciti quando fai così? 
- Non è una novità.
 

Esther si mise in macchina e partì. (scena in video, proiettata - buio in sala)
Una gazza si buttò sulla strada innanzi a lei cercando di prendere una briciola o qualcosa. Lei cercò di sviare sperando di farle paura con l'avvicinarsi del rumore del motore dell'auto, ma quella insisteva. 
In pochi istanti, di uccelli ne arrivarono ancora e ancora, rischiando di farsi ammazzare e a me rimase un'oggettiva difficoltà a non tirarne sotto qualcuno. 
- Non è l'ambiente per voi! - esclamai. 
- Devi imparare a guidare. - Disse lui, dal sedile accanto. 
- O a volare 

Ti ho sognata piccola, fragile. Io avevo solo voglia di stare un attimo con te. Domani parto, piccola. Scaccia quei pensieri tristi, goffi, sordi e sorridi. Il vuoto si colma e l'anima si calma. Ti chiederò i tuoi se e i tuoi come prima o poi. Ricordati che l'arrivo significa sempre che c'è stata una partenza. 

_____________________________________ 

Suonò il campanello e fin dal citofono mi disse che era lui. Che era venuto a casa mia per portarmi un pacchetto di sigarette visto che con la scusa d'andarsene di tutti i miei banali precedenti dovevo esser rimasta indubbiamente senza. Gli aprii il cancello, in effetti. 

Dopo che - Massimo Volume 

domenica 5 giugno 2011

(la mia vita di) Venere oggi

(23.19 14/3/08)
Appesi gli occhi al grande faro della notte che per me non è la luna, litigiosa, quanto orgoglio nella sua luce anche quando non ne concede che la metà. No, il faro è la mia venere storta e nascosta nello scuro blu, ma protagonista come la vera bellezza.
Appesi gli occhi a guardare in alto prima che indietro e la strada a distrarmi, come sempre assapora le sue emozioni da sè e poi me le cede sparandomele in vena ai 415. La mia vita è questa: quella stella ed una canzone che già sai. E' lì e puoi conoscerla facilmente.
Appesi gli occhi al vento che non c'è, ma sento come fosse ieri, come sarà domani all'ombra della prossima stazione a guardare lo specchio retrovisore per trovare quella vita che ti racconto, che macino più dei chilometri spappolandola dentro a quattro immagini che mi dici sfocate e per me sono perfette come le voglio.
Appesi gli occhi all'emozione già solo di pensarci e tu ricordi il primo giorno che ti ho costretto ad amarmi, io rido se ci penso perchè è come sempre un calcolo sbagliato questa vita dispiaciuta solo quando la lasci passare. Si sminuzzano i ricordi mescolandoli e ricuocendoli in dieci lettere che non avrò forse più ad un certo punto il coraggio di spedire. Raggiungere il tuo orgoglio è affare di pochi eppure l'ho fatto con la grazia del nascondiglio sulla capanna che abbiamo sognato di costruire da bimbi. Ora un bimbo a cui regalare quei sogni è qui con me a scriverti cose blasfeme che leggerai con l'incoscienza di non fermarti ad odorarne le pagine. Capiresti che pur non ci ho spruzzato nessun profumo di rosa, ma è venere che ci si posa.
Fogli dorati dai cavalli da spezzare, ritagliare per farli correre in una di quelle fantasie che farai restare tali.
Appesi gli occhi ad un motto da divulgare, un riassunto da strappare, quella foto staccata come calendario scaduto, una bottiglia da stappare ad un capodanno involuto, incompiuto.
Appesi gli occhi alla mia vita che corre in quest'auto inseguendo le frasi che cancello subito dalla memoria, le più belle. Veneree.
Taroccano la scena questi neon imbarazzati: lampioni che dovrebbero dirsi lanterne.
Ho appeso la vita a un chiodo: guardo il quadro e scrivo il sapore che dà in bocca toccarne i colori. L'importante poi alla fine è che l'abbia dipinto io.
E pure quando è un circo o il posteggiatore è di spalle e non guarda arrivare i suoi ospiti da alloggiare prima che escano dalle loro vite che non sanno guidare.
Appesi a un filo come cadessimo da un momento all'altro nell'oblio, non ci rendiamo conto che oblio siamo e appesi gli occhi a quella curva, non ti sorprenderò distrarti dalla canzone che canti, sarai così bella immersa nei tuoi perchè che sarà la strada a seguirli, così per una volta l'arancione non sbanderà e sarà venere oggi ad occuparsi di te. 

venerdì 3 giugno 2011

P.M. (Post Mortem)

(2.10 6/4/08) 
Erano razzi, ma volavano lenti.
Erano stanchi, ma guidavano attenti?
Erano pazzi e vivevan di stento.
Ero delusa, ma non mi pento.
Non sono bastati cento giorni per buttare fuori ciò che ho dentro.
Non ho mai smesso di riavvolgere il nastro, di guardarmi allo specchio, di cercare l'origine dei tuoi strappi, come rebus della tua incolumità. E della mia a cui non ho fatto troppo caso, come sempre.
Mi è rimasto il mio anatema da decifrare.
Tu anzichè giocare, hai deciso di andare.
Non posso dar torto agli sbagli se conoscono la loro identità, non posso conoscerli se non sono consapevole di una qualche realtà.

Continuerò a raggiungerti mentre dormi, ma mi cacci dai pensieri come zanzara dal naso, grillo dall'orecchio, ape dal girasole sbagliato, smarrito, sbocciato.
Come catena.
Mentre il legame è già spezzato e il respiro già sgozzato.
Ti ho regalato fiducia come pastore su un carro di buoi; tu sei andato solo avanti facendo i fatti tuoi.
Ti ho inviato mille valigie chiedendoti di raggiungermi, ma nel bigliettino non trovavi mai lo stimolo giusto per questa destinazione deviata, distante, scampata.
Ho odiato la nostra fotografia dal giorno che l'hai stampata, ho capito allora che la nostra bellezza era passata.

Potrei rifiutare cento volte il momento, l'attimo, la circostanza; posso confondere ciò che avanza, negare che sia abbastanza, darti l'alibi di credere che si possa farne senza, ma non potrò mai far finta che non fossi tu. 

e non ci credere

(mercoledì, 19 dicembre 2007 alle 04:06)
D'improvviso ho capito tutto.
Sono stata io a vederci qualcosa di speciale.
Tu dormi. Tu ti emozioni sempre. Non è anomalia.
Sono io che l'ho vista con i miei occhi: ogni singolo starnuto della vita è una magia. Invece no. Invece tu sei capace di emozionarti sempre. Il che non mi permetterei di dire che significhi con poco.
Ho visto la terra come fosse un miracolo appena scesa sul marciapiedi.
Ho visto il tuo sorriso e m'è sembrata una fantasia realizzata fin da subito.
Ho visto che mi guardavi e ti toglievi l'auricolare e anch'io e ho capito che saremmo stati complici.
Ho visto che saliti in macchina non siamo partiti subito e ho pensato che stessimo lì tutta la notte e potevo ripartire il mattino dopo e sarei stata contenta.
Ho visto i tuoi occhi e ho scelto un cd dopo il tuo Ligabue.
Che poi quel cd l'ho vissuto tre anni.

Ho messo su i mercanti di liquore e so che ne parlavi con lei già da prima di allora. Allora non ci ho pensato e ho captato ogni accordo con l'armonia dell'insieme, dell'aria di agosto inoltrato, delle spighe di grano... quelle che fanno la storia di tutti.

Ho raccolto i ricordi nell'album delle fotografie che non ho, ti ho raccontato qualche cazzata mentre andavamo ed era tutto lì. In una prospettiva sbagliata. In un bicchiere da cui non abbiamo forse mai bevuto. Troppo intenti a tracannarci fiumi di birra e inconscio di non sense senza pregressi da digerire pian piano, come se ci fosse qualcosa di meglio. Come se ci fosse stato già qualcosa di peggio e qualche bacio non potesse farci del male.
Infatti.

Siamo tornati alla stazione che non so se era lunedì. Non ho capito subito che era stata un'emozione da poco perchè il mio vederti emozionato con i miei occhietti sberluccicosi a prenderci per mano e sederci su un muretto a cazzeggiare tra sofismi e poesia non è stato che un aggancio. Ci ho trainato ogni parola in mille ricostruzioni inesistenti di un quadro che dice tutto come una fotografia che non ho se non nei ricordi.

Come mio padre che a natale mi penserà senz'altro. Ma sarò io ad aver messo le ragioni in tasca e ad aver imparato a vivere da colui che ora rinnega i suoi principi. E forse il contrappasso lo subisco anch'io nel considerare così importante nella mia di vita il non farlo. Chissà.
E poi il bicchiere è sempre stato vuoto perchè mi sono sempre scolata ogni contenuto dopo averlo guardato con gli stessi occhi da gatta in pensiero.
Ammutolita dalla banalità, logorroica nell'ilarità di ogni coincidenza di un treno perso e di uno partito.

http://it.youtube.com/watch?v=Zh4n1bZi4d8&... (John Mayer & Eric Clapton - Crossroads)
Ti raggiungerei per dirtelo in faccia, lo sai.
Se te lo dico da qui è perchè ho capito.
Non c'entravano niente i chilometri: per te non hanno poi mai significato. Quando ti dicevo che ti mancava il chilometraggio, ma pensavo il contrario, tu ridevi comunque.
E' tutto il mio cinismo ad averti creduto distratto ogni volta che non era menefreghismo, ma disinteresse il tuo non leggere le didascalie a bordo pagina. E' tutto il mio cinismo a non aver capito che forse era tutto più bello, una fantasia da costruire giorno per giorno, racconto pieno di disappunti che crescono per poi rimanere nell'aria e respirare alternative sane allo scempio di energie e disfunzioni di lingua, di cuore, di sangue.
Sangue e lacrime, passioni che conosci bene anche se non ne vuoi parlare mai. Hai ricominciato a lasciar scorrere e hai iniziato a correre per le città e le stazioni, senza fermarti nella mia un solo giorno.
Ci sarà un perchè.
E l'ho trovato in te. Oggi. Sapendoti emozionato.
E distante, addormentato.

giovedì 2 giugno 2011

MiseRIcordiA

(13.3.08 - h 13.10)
Intenti a commuovere,
mi associo al tuo dolore,
mi tenti ad accoglierlo
ed è ancora qua.
Riassumo. Riassumo. Riassumo.
Sei amore che pesa
quanto lo togli, è già lì,
ti tenta di nuovo,
rimane ancora,
si assume ora
responsabilità d'assenza,
rivalità d'emergenza
tra il vivere a pieno la fine
che è tutt'ora qua.
Condanna, è consolazione,
l'amore.
Rimane oltre tutto,
riassume, distrutto,
si amplia, dà sè.
Ed è gomitolo
che ricreo con la cera.
E' carta
che increspo nei fiori.
E' penna
che ti tengo chiusa sulla scrivania
come servisse
a riassumere.
Come fosse finzione.
Non ci sei nei miei ricordi,
voglio confonderli nel sorriso sfocato
di quell'unica foto che vedo ora.
Sbaglio contesto,
mi arresto,
riassumo un testo già scritto
e perfetto.
E' creato,
è finito,
è buttato.
E' svuotato.
Nelle polveri che diventerai,
che ricopriranno la penna
sulla scrivania disfatta,
come se accadesse.
Come potesse restare
tutto intatto.
Come se ci fosse tatto.
Non riesco a sfiorarti
che con lo sguardo
cercando di non farci più male.
Mi rimani tra i capelli,
come carezza ancora da dare,
come farfalla intenta a posare.
Tutte armi per amarti,
tutte armi per perderti
e distrarmi,
tutte arti per fermarmi
ed averti,
raggiungerti,
senza spaventarmi. 

mercoledì 1 giugno 2011

Termini di riferimento Fase B - 4 in essere

(lunedì, 12 novembre 2007 alle 01:27)
http://it.youtube.com/watch?v=QiZJcq5whrk (Io scriverò - Rino Gaetano)
Brucio le tue lettere e mi accendo una sigaretta dal fuoco che si crea.... dentro di me. Il fuoco che scalda il freddo.
Non mi vedi: con i capelli davanti agli occhi come sempre. Io mi rinchiudo là tra quattro mura e un poster. Una chitarra che non c'è.
L'ambiguità è un alibi? mi domandi. Mi domando.
Apro un libro.
Da che parte sto? Sposa o puttana?
Prendo un treno e lo sguardo si inizia ad appoggiare su di te, sul mio sorriso davanti a ciò che racconterò: gelosa di immagini, gelosa di te.
Muoio dal ridere appena scopro che c'è un incompreso in più.
Lo comprendo.
E mi appiccico alla colla impiastricciata nelle note, nelle parole, nel senso che gli dò.
Tu mi devi guardare così almeno lo capisci ciò che faccio da una vita. E chi sono.
Senza bisogno di parti, quelle dammele tu insieme a ciò che vuoi sentirti dire.
Lo stravolgerò come sempre.