Matita gialla
fucile di espedienti per dirti
che sono
nella mia stanza come mia destinazione:
nuova, ogni giorni.
Le mie cartoline di cui hai fatto calendari
riportate via dal vento
che mi segue ovunque;
mi si appende alle vesti;
apprende i miei gesti,
gioca a memoria
affinché io mi sposti.
Ancora.
E butto giù l'ancora d'altraparte.
Per poco più di ora.
Provo a provare paura:
ogni sirena mi pare sorella.
Sento di sentire stupore
e non è poi sempre meraviglia.
M'impaurisce ogni rumore.
E scuoto e mi scuote
le tende: tutto;
per saperne la fattura,
le straccio, disegno, me le porto via.
Racconterà di me, lui
alla polizia o agli ospiti
nelle poltrone scomode della hall
dove si dice quanto accade,
di avventure mai avvenute tra i seduti,
delle tende che ha ricomprato. Nuove
per questo suo hotel
che stasera avrò sfitto di me.
Ne verranno altri 100, credimi
e tra 100 anni tornerò anche io.
Tireranno via le coperte:
avvolgeranno il mio corpo, quelle.
D'altronde non ci saranno più tende per me.
Quelle che sarò riuscito a rubare,
scritte o strappate,
le avrò lasciate appese
in una stanza d'albergo
per far asciugare le righe.
Sotto coperta finirò così, finalmente.
Senza più occhi
per riempirli di bello
e di nuovo.
Senza più mani
per stringere
mani,
a creare e strappare.
Nemmeno più assi da giocare,
da stirare,
o perdere.
Non un abito da riporre
nel mio bagaglio
che, pure, sarà colmo questo mio!
Ed a lui,
al mio albergatore,
che non ha avuto mai viaggio,
che ho conosciuto
in tutte le sue facce,
un giorno per volta,
a lui dedicherò le mie emozioni
poichè non ha potuto.
Lo trovavo sempre ad attender la mia porta,
mi capisci,
a raccontare le mie gesta e vesti,
gesti e oggi resti.
Resta,
restava in una portineria di pettegoli
a guardarmi passare.
Io, vita, a guardarlo appena
prima d'andare, ripartire, scappare
e lui arricchito quel poco
che non basta mai
a mangiarsi le dita,
a mangiarsi la vita,
alla finestra
senza colori da tirare
per parare la pioggia, pareggiare,
chiudere gli occhi al mare, il naso
otturato dal tanto influenzare
i viandanti.
Al mio albergatore,
a tutti i suoi volti che
di volta in volta
d'uno sguardo
m'han avvolta la faccia,
le smorfie
e la borsa,
dono cento primi sguardi ad una sua stanza nuova
(nuova di mia vita),
quelle che mi ha prestato lui
e affitterà ancora:
che siano nei suoi occhi
almeno per un'ora.
h.n. 17.0629-7-11