SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

sabato 12 gennaio 2013

A-(b)braccia


Ragni nel vento 
i tuoi rami non mi toccano 
il cappotto. 
Passo sotto e restano 
come grucce inermi 
che reggono 
il pesante rapido incessante scorrere di veggenti 
persi, spinti, spiriti perduti, nulli. 
Farciti di noia, 
infagottati nell'abituarsi 
a non saper guardare. 
Di che candore ti sei mascherata, anima mia? 
Con quale feroce pulizia? 
Di che colore hai le piume, questa sera? Dimmi 
Quanto brutta sei, così svestita e straniera! 
Sbilenca, che nemmeno sai d'esser zoppa! 
Le tue rotaie cigolanti fanno il verso 
ai passeri lenti con zampette tremanti. 
Tu hai freddo. 
Non ti darò tregua, 
nemmeno morta 
quando Faccia di Tigre 
ti racchiuderà 
che sarai colle ossa a pezzi
sgranocchiate dal solito topo. 
Queste poche foglie marroni 
non sono spugne, ma ventose, pupille, 
per sturare dagli occhi 
frammenti di sogni secondi 
a fare i vermi 
dirsi presenti in ritardo 
e non rispondere 
all'appello, 
sparpagliarsi in fuga 
odor di tartaruga. 
Nido o guscio fa lo stesso, 
tanto in questo ghiaccio spesso non c'è posto. 
"Rapidi! Che c'è da sbrinare ancora i vetri!" 
Lo dicevano mamma e papà, 
nelle mattine d'inverno 
in cui la scuola si faceva tana, 
tardi, 
col riscaldamento acceso a giorni. 
Portavano giù per le scale 
le bottiglie d'acqua col fumo 
che usciva dai tappi, 
che usciva dalle bocche stappate 
solo per quei richiami strilli 
che neppure i rami allarmati di questi tronchi 
spelacchiati e comunque muti 
oggi 
riescono a replicare. 
Io cammino con le mani
e volo ancora 
senza ancora saperlo fare 
e non mi so fermare. 
Hai gambe nude, gelate; 
labbra enormi, 
labbra stanche, 
labbra come occhi 
per assaggiare ciò che incontri; 
occhi unti. Occhi, molti. 
Usali tutti! 
Per chiuderli in casa, 
addormentarli 
e poi immaginarti ogni cosa 
pregandola di esistere, 
facendo della mente la tua fede
Lei non finge mai 
se srotoli i sensi 
e non ci pensi. 
Tienimi addosso come il tuo profumo migliore,
come lingua parla quella della mia pelle, scivola e lascia il segno,
mi faccio acerba come sfortunato acino d'uva a gennaio
e ti incrocio incerta come donna mai uscita di chiesa,
colpevole di non esser sbocciata, di sentirsi spaventata da vecchia.
Ti regalo tre bracciali di colori diversi
e ti guardo correre sul posto
intanto che aspetti fine marzo.



12-1-2013 
18.03 
h.n.

lunedì 19 novembre 2012

Eden


Piano forte
dita di birra scorrono
tasti in chiaroscuro;
pelle in lacrime sul letto
spogliano.
Gocciola vernice al soffitto
sudato, caldo, affresco
pitturato appena.
Pelle lucida, calpestata
da occhi assonnati,
assonanti
l'inverno affacciato.
Foglia, io.
Mi soffi via.
Sbattuta, portata, appoggiata,
in abbandono,
di schiena a una colonna della mia cattedrale
di carte, sabbia, fumo.
Fumo, io.
Svanisco nel sospiro suo
come intento di sorriso sfumato.
Me lo dia,
su piano
scordato a metà;
scolpito a dividere corpo e anima
e rimescolarli in fretta.
Ladra, io,
di scatti senza flash,
gesti immediati,
cartoline invendute,
giorni minuti.
Chiudo il becco e
m'arricchisco.
Arrischio: rubo, arriccio la coda
e a balzelli mi trovo
in pezzi
sulla Terra illimitata
che finisce, sfinisce,
sta esaurendo.
Il trattore gira lento
nel proprio prato bagnato.
I treni, narcisi,
sfilano.
E ragazzi di dentro
appena viene buio
si spingono, urlando.
Quando
sbuca la locomotiva
dal guscio,
smettono, alla luce
prestano occhiate
l'un l'altro
s'intendono.


h 9.44
19/11/12


giovedì 8 novembre 2012

Partire


(‎6.42)
Fiamme pupille,
blu e gialle,
febbre freme
e bolle.
Partire,
l'ho deciso in due ore.
Odore di petardi sulla via
scivolosa.
La valigia a rotelle
rumoreggia
scheggia, sul lastricato che
bagnato, chiede pietà.
La pioggia di ieri
gli dorme addosso
e al cielo muore
e sale: fosse fumo di treno a vapore.
Ha dato eco a scoppi
di risa in notturno
ancora non è turno del giorno,
scappo, immergendomi a-fondo
in questa vasca di voglia
di toccare,
folle, frenesia che muove
le molle nel mio camminare
e nasconde auto,
persone, maniere,
mi mantiene in piedi,
mi spintona avanti.
Oltre è tutto zitto
in questa finestra d'alba buia.
Passi mi solleticano, son sveglia:
tic tac; tic tutti
gli artifici tuoi
di ieri sera
hanno riempito l'aria
fino a qui
e domando s'è giustizia
e voce di vita
amarti così
per come sei. E sono,
sono lancette come spade
ad aver donato pace
al correre
e alla luce
ch'attendesse ancora un po',
ché non c'è fretta
e non c'è tregua che senta
se non nel tuo prendermi
quando saltellando per regioni,
scavalcando le altrui ragioni,
vengo a stare un po' di fronte
ai limiti d'infiniti sorrisi
da guardare in faccia - sempre!
coi miei occhi sui tuoi, specchi,
che son già qui che ridono
felici,
un po' più vecchi.

13.20 h.n.
27/10/2012


giovedì 25 ottobre 2012

Senza far rumore

A Sylvia e Dom
Fosse
anche sciogliermi in cera,
sdoppiarmi senza specchi,
voce tua agli orecchi.
E soffi e tocchi
poi giocano all'eco e sono
mio campanile e suoi rintocchi.
Mano accasciata su questa
che scrive,
ma noi accasiamo le labbra sul corpo,
ci parliamo addosso.
Condurci il desiderio pretendesse
dentro le scartoffie a scardinare casa
o tra i colori di cui dita imbrattano bottiglie
di birra svuotate,
di vetro.
E troveresti come resti di versi
i ricordi fitti:
nostri segreti da poco
che si contano in vizi
e sacchi
a pelo di lupi
a coprire distacchi
riempiendo di pacchi regalo
le strade.
Lo ignoro
il ristoro del giorno
se di luce di luna mi vesti la vista
facendomi scoprire tutto vero,
tutto buono,
il bello del vivo nel costruire.
E' l'ardire di credere;
l'usanza ad opprimere che se ne va.
Afferra il mio braccio,
mago dalle carte gettate,
facciamo ogni ora gettone senza copione
senza copiare
senza spiare
il fine e la fine
a farsi promesse, 
d'amore.
Giostra di ferro non ferma la corsa,
scesi correndo
fuori dal coro di viti e di vite 
che girano il collo
montando la rabbia alla gola,
facendoci parte e ruggine
nel raccapricciante voltare
le schiene, ripetere il cerchio, sedere su barche
asciugate di sale e prenderci addosso
bambini
senza sapere tenerne gli occhi.
Mi stai portando via, magia o mano tua che sia
ha poesia sulla bocca dolce
e l'ho mangiata piena di briciole di sonno
abbandonate come lanterne agli angoli
a lavorare a turno.
Sogni se ne sono scappati dai cassetti,
gambe giù dai letti
dirette saltate in immagini di fumo
che volano dai tetti di casa.
I vermi alle loro antenne,
ma al vino, biglia che scorre il suo viaggio nel sangue,
siano date renne e doni
quali i pensieri e i pacieri
mossi dal vento di oggi
per ogni appartenuto ieri.


h.n.
13.00
24-10-2012



domenica 10 giugno 2012

Le mie matite colorate


Oggi dormo nuda.
Mi ritiro adesso
perchè ci pensano i passeri.
Ho bisogno di confusione,
devo sentirla per raccontarla.
Ogni tanto vi metto al bivio.
Lo so che non lo sai,
ma basta una parola
a dirmi di te
dove l'esitazione è già condanna.
Non devo riconoscere i ricordi
che hai nello zaino;
non voglio sapere le idee
che metti avanti.
Serve che mi parli al bivio.
Sorrido e stai lì a guardarmi
scettico come un giunco.
Io ti ho perso.
Di andartene l'hai deciso tu.
Troppo inconsapevole
perchè potessi amarti.
Rido ancora e mi hai già lasciato.
Ti arrabbi perchè non capisci
e allora mi si allarga quell'emozione,
sorrido di più,
e non mi comprendi,
e allora rido,
ma non diventa schiamazzo.
Ti ammazzo.
Un colpo solo
e non sai da dove.
Quando, te lo dico io.
Non puoi morire
senza sapere quando:
sarei io ad averti lasciato
ed avrei scritto per niente.
Ridevi tu,
schiamazzi la riempivano
tutta la notte,
la luna controllava
imbarazzata il tuo bicchiere
e tu eri troppo sobrio
per accorgerti.
E' stato mentre ero lì
ed eri lì,
lasciarsi sarebbe stato più facile
altrimenti.
Mi hai guardata voltarti le spalle
e non ti avevo tradito,
ma non hai mai saputo creare
note a margine di quell'attimo, vero?
in cui mi hai lasciata.
Ed io che ti stavo dando il buongiorno!
come una scema quella notte,
era chiaro lì
chè giocavo a toccare il bordo
del mio cappello
così uguale al tuo da uscirne pazzi
insieme. con una birra, o con
un'amica per quella notte.
In quell'alba che non arrivava mai,
con quella luna imbarazzata,
travestiti da grandi.
Bloccati nel fermo-immagine
in cui eravamo più noi.
Vi ho pensato tutti,
non è vero che rido, mi viene.
Ti ho trovato al bivio,
tra le matite colorate,
la luna sporca,
in un'alba finta.
Mi chiedi sempre come sto
e non sai mai dove sono, dove sei.
Era ancora buio giù, in quel bar.
Era ancora buono quel vino rosso.
Noi davanti a noi
in quel tavolino spazioso.
Ti ho chiesto dove andavi
ed è stato il tuo addio.
Ricordati che l'hai deciso tu
e che sono come mi dipingi.
La porta è lì, la spingi,
non so mai bene cosa scrivo,
ma non mi hai mai tradito.
Ed eravamo di fronte a noi,
di fronte a tutto senza che lo sapessi.
Tra noi solo un piattino
bianco. Ne avrei spaccati tanti
più avanti. Ne avrai.
E quella foglia di menta rimasta.
Nell'aria e nel piatto,
che ha detto poi tutto.
La risposta allora era nelle venature.
Di quella foglia come di questi.
In quelle vene come nelle nostre.
E rido.           

(6.35 - 24/3/07)

Odio, Madame. Servitevi dell'odio.


Ti chiedevo una lettera... non è mai arrivata.
P. M.

"Chiedermi di scriverti una lettera non è previsto. Le lettere chiedono loro di essere scritte quando è tempo. Visto che però tu e questo foglio mi avete posto la stessa richiesta in coincidenza e che mi sei simpatico vedrò di accontentare un po' tutti. Primo il mio bisogno.."(da: "Sogni a metà", H. N. - 2/7/2010)


Quelle vostre cartelline da regista; i fidanzati che limonano tutto il pomeriggio sulle panchine della primavera, li odio e mi fanno tenerezza. Odio e amo questo perenne effluvio d'inadeguatezza. Per me, che con le illusioni ci gioco fino a farne ossessione e non scorgo differenza tra quelle e il presente e occasione, la febbre è cartello di divieto che brucia.

Sono venuta per i diavoli.
Appese, decine di cordoncini fanno allegro il cappello. Ho scelto da tanto, bimbo: il desiderio che trascina piuttosto che la cedevolezza; il desiderio e più nessun suicidio dentro ad una convenienza. Se ancora ti sono fantasma a spaventarti in casa senza esserci, è solo per l'inganno di questo tempo matto che trattiene le età e le incastra, rimanendo sgomento. Ho scelto, piccolo. Io non mi mento. Io non ti sento. Ho scelto il mio vento e non me ne pento; non c'è 900 che ci abbia redento, è un muoversi lento, ma a stento l'ho spento. Attento, io tento e spavento, dissento e argomento, rallento, rammento e riascolto l'accento che ho
nascosto da qualche parte, che vien fuori giusto quando m'infurio.
Senso d'impotenza, un cazzo. Io la odio. A lei rinuncio, la rifiuto, m'imbarazza, cambi faccia, cambi veste, si converta. 
Piccolo, non posso rimanere a cullarmi di te. Dentro c'ho un mondo. 

Sì, Paco sto scappando. Non meno ottusa degli angoli in cui sbatto - sbam; non meno di queste mura che rifuggo. Pareti di scritte enormi che domandano senso e non se ne capisce il verso. Smetto così di chiedere se siamo sulla stessa barca: ognuno è solo e libero dentro la sua e com'è bene sia ci si è semplicemente incontrati come tutti
quei forestieri che s'agganciano per svista passandosi testimone di staffetta uno sguardo soltanto e poi si aspetta. Si aspetta che accada qualcosa. Ti dono le ore che ho qui, spendile per immaginare o come ti pare.
Io ci pago la sensazione di vivere vite parallele, migliori della mia. Distanti dalla mia. D'istanti, nella mia. Più vicine alla mia, della mia. Ma non è mica facile, sai? tener l'equilibrio prendendosi tutti gli aliti demoni cui vuoi andar incontro fedele all'istinto, fedele a te stesso. No e poi cadere, tuffarsi a mare, non sapere nuotare, tornare su con l'onda che sale e aggrapparsi da sé alla zattera di legni legati da corde e da gambe di pianta, tant'è.

 La bambina dalle lunghe trecce ha calzette a righe e scrive coi piedi. Vagheggiando, l'ho sognata andare ed ho sperato, proprio adesso ho sperato, che stesse correndo da te.
Parcheggia. Attendi ancora un secondo, Malinconia, mordicchialo piano l'orecchio e fai scorrere questo barlume di emozione rimasto lì. Portatelo via, manda via le scintille che hai negli occhi, falle addormentare, abbassa le saracinesche. Ma sì, magari dormi, mettiti a dormire. Per poi poterti dire che era giusto allucinazione da collezionare, da mantenersi caldo il mattino, da far scivolare dentro il fischio di uno zufolo che in questo pomeriggio incredibile chissà perché non smette di suonare e proviene da lontano, lontano che non lo puoi decriptare, lontano che non gli puoi sfuggire, lontano che lo puoi solo sentire come prove di scena che non son più da toccare. Buone per uno spettacolo unico, che non riuscirò a vedere. Che poi non so... alla fine ce le hai le tende in casa o no? Ora le provo a tirare.

Sta nevicando. Sta nevicando polline e non sono allergica. Tra poco, come sempre, mi rincorreranno tutte le richieste, ma prima mi hai pettinato la testa per un'ora piena tanto che i campanili di qui se lo ricordano ancora.
La bambina dalle lunghe trecce, sul balcone, di fronte l'ho guardata. Tenace e burattino con un filo di paura ed uno di profumo ripeteva sempre lo stesso giro
di note rievocate forse per il saggio di scuola, forse per non sfigurare, forse per languore, che muove nello stomaco ma non è mica fame. 

(20.04   15-5-12)


Silenzio.


 non m'importa se mi scrivi se scrivi cose su di me se scrivi per me.... mi importa che scrivi (P. M.)

Silenzio.
Beato te
che in testa hai tutto.
A me scappano per le stanze tutti i pensieri
come folletti impazziti
e ridono
e gracchiano
mentre schiamazzano e corrono,
s'investono
tra loro, giocano.
Nanetti dispettosi.
Sfottono, se ne fregano
del mio dir loro di non fare
rumore. Qui ci sono soltanto troppe
parole.


(10.19 - 18-5-2012)

Rossetto


Intervista.
- "Lei quando scrive di solito? In quali momenti?"
- "In bagno. [pausa] 
Allo specchio, mi capita davvero spesso. Magari mi sto truccando e scrivo col rossetto o la matita sul riflesso. Poi m'incazzo. 
Perché il mascara va via a gran fatica e perdo un mucchio di tempo per riavere il foglio bianco. Un mucchio di tempo a strofinare via i pensieri. 
Lo so, basterebbe andare in cucina dove ho sempre un notes pronto. E invece no perché rimanere con il trucco solo a un occhio mi destabilizza, sa? Provo allora a ipotizzare e memorizzare parole d'ordine. Sì, per ricordare: poco dopo, di là. Provo a numerare dei punti. Lo faccio per accertarmi di non dimenticarne indietro nessuno e sto a scervellarmi affinché ritorni la parola, qualora i conti non tornino. Però poi [crisi di rabbia], scompaiono! Loro scompaiono lo stesso dalla mente! E dire: basterebbe un istante, ma loro capiscono... pss [sottovoce] capiscono che la penna è un retino che pesca parole nell'aria e si tramutano, mi ha capito? evanescenti, sfuggono, gridano, ululano nascondendosi nel vento [crisi di panico] e io, torno in bagno, ma non vedo. Qualche volta prendo anche lo specchietto più piccino, dalla trousse sul lavandino, e lo uso a mò di lente, ma davvero... Niente. [Quasi piange, si dispera] Ripercorro il sentiero della mente costellato di idee-cespuglio, ma più nulla è in mio pugno. 
No, non posso. Non si può giocare in continuo all'acchiappa-fantasmi. Perdo tempo, mi capisce? tempo. [Fuori di sé] E magari sono lì che mi trucco da troia per un film in costume e... eccolo... se ne arriva il pensiero, quieto, mite bussa tutto ingenuo chiedendo solo un posto caldo dove esser appuntato. Subito! Mi capisce? non posso. [Mite, dispiaciuta] Con gli occhi viola e neri non posso parcheggiarlo sul mio foglio giallo, sul mio specchio giallo. 
Se ne arrivano sempre così, insieme, demoni in branco, in fila o per mano, anche ballando a girotondo, mi fanno capolino nella testa e io, io con le mie lune, è come vivessi - si figuri - perennemente dentro a quel momento - lei lo sa - in cui l'attore lascia il suo personaggio e fa l'inchino, di solito tira un sospiro poco dopo. Ma lo vedi, lo vedi che gli esce dagli occhi qualcosa! Quel suo bel fantasma. 
Allora io di solito che faccio? Mi prendo una coperta dal divano, me la butto sulle spalle, mi ci avvolgo tutta, tutta. Lascio fuori solo gli occhi. Mi acquieto, mi siedo. E prego. 
Prego la luna buffona di darmi pace, almeno un'ora.


(Dedicato a P.M.)

Puff


Infatti... il mio problema che smetto di crederci... ci credo solo per un attimo e se non colgo quell'attimo per realizzare ciò che ho scritto non lo faccio più, mai più (31dic11 - P.M.).

E tutti morirono felici e contenti. "D'altra parte, un finale è l'inizio, può essere un inizio...": lui pensò girando le spalle al grande specchio che dominava la parete davanti la sua scrivania. Scriveva e si guardava, si guardava e scriveva. In fondo tutti scrivono lo stesso romanzo, in fondo tutti parlano sempre di se stessi.
E tutti morirono felici e contenti. Pensava lei mentre andava a recuperare quella bottiglia di Chardonnay rimasta sul tavolo del soggiorno con il cavatappi arreso, a braccia in su. Era un inizio. Sembrava buono, pensava. Erano anni che non aveva un inizio così buono. 
Lui non era uno scrittore di quelli che progettano le storie, fanno schemi e riempiono caselle. Lui era un istintivo, buttava giù una frase e costruiva la storia. Lei erano anni che non aveva una storia. Erano anni che non aveva qualcuno a cui raccontarla. Però buttava giù un bicchiere di Chardonnay nei pomeriggi di cielo azzurro da far schifo. Poi scriveva lettere d'amore a uomini che non poteva incontrare.
C'era appena stato il buio, dopo il botto. Brandelli di camicia e di pelle e di specchio spalmati sul balcone. E tutti morirono felici e contenti. Tutti i suoi pensieri squieti e assurdi come assurdo era morire tutti, felici e contenti. C'era stato da poco il buio, ma sul balcone di lei non se n'era accorto nessuno. E nemmeno lui, per telefono, se n'era reso conto. L'aveva sentita ridere, per la prima volta. Figurarsi.
Ma invece c'era stato il buio da poco, dopo il botto e tutti erano caduti. Tutti i tasti, veloci veloci erano scesi d'un passo, uno dopo l'altro, al Piano Terra, pronti a raccontare il disastro, talmente veloci che qualche volta persino lei, di solito tutta attenta, quella sera sbagliava a digitare la sua lettera d'amore. Così gli aveva detto tutto, così il botto. Poi il buio, quel limbo odiato, in cui bisogna che ritorni tutto a posto, in cui sì, insomma, si è soltanto esagerato, tutto qui. Il limbo di ombre in quel cielo azzurro stronzo. Azzurro terso.

Sorridi, bimba. Diventi grande. E' un mondo pieno di tutto quel che non hai ancora capito, pieno di risposte e di dubbi, pieno di vita già vissuta, è un mondo che ancora non conosci e a te che dai l'anima per ogni novità, piacerà. Corri bimba. Spogliati di quella tenera malinconia dagli occhi e vesti il sorriso buono per stasera che ti passo a prendere e ti porto in una chiacchierata interessante di quelle di cui abbiamo già parlato o non ancora. C'è il giardino, potrai riposare. Ma attenta al gradino o dovrà tutto davvero finire. 

Ma dove te ne vai? ritorna a casa, bimbetta mia scemotta, ritorna che t'aspetto. Ritorna se no vado. Rientra che fa freddo. Riaccasa, che c'è il letto. Pronto. E se t'addormenti e sogni un'altra volta, raccontami tutto. Ma in silenzio. E i tuoi personaggi non nasconderli mai, non nasconderli nemmeno stavolta, sott'al materasso. Piuttosto fanne un sasso. Lo butti dentro al Lago de Maracaibo - puff - e stai a guardare i cerchi che fa. Ma tu quando guardi, vedi? Devo farti il mimo? Puff. Perché sei bellissima così, ma sì, sei bella così, sulla tua barca già al naufragio in cui non ho nessuna idea di sederti accanto. Però tu, bimba, nel tuo viaggio, credici sempre, prima che diventi grande.


208


Una botta in testa ed ho creduto ad un furto.  Ho perso i documenti o me li han ritirati quando m’han fatta accostare. E' difficile fermarsi quando si viaggia ai 416, non ne ho la forza e non posso chiedertela.  A quelle facce di vigili senza divisa, nei cinque minuti concessi, avrei detto così:  

Raccontami di quell'alba che non rimanda mai il suo arrivare, un bicchiere di caffè i colori che cambiavano, la polvere di terra che sporca i polmoni. Raccontami di quella notte in cui avevi voglia di fare l'amore e la luna non ti ha corrisposto. Di sguardi incontrarsi senza divieto di sosta. Attimi che non sapevamo. La legge non ammette ignoranza e allora raccontami dell’andarcene ubriachi giù per la campagna finta che non finiva mai. Raccontami dei nostri capelli a letto come polipi e seppie intrecciati, l’indulto di un treno in partenza. Com'è vigile. 
Raccontami le mie dita di estranea messa al muro inchiodata ad ogni fotografia. Chi intende immettersi nella circolazione deve assicurarsi di non creare pericolo. Raccontami del ridere scansando il vino. E' vietato guidare in stato di ebbrezza. Raccontami di quando eri già uno dei miei Jack di fiori in un gioco d'azzardo. Del gatto, delle unghie, dei baci, degli occhi, tra istinto e raziocinio, tra accendino e mani. Occorre tenere una distanza di sicurezza tale che… Raccontami dei trucchi da clown triste in prestito nel sentirmi darkbaby davanti al tuo campari&gin. I conducenti devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti. Degli schiamazzi alle finestre della festa. Durante la circolazione si devono evitare rumori molesti. Del sarcasmo e dello scoprirci quasi uguali. Di quanto siamo fatti di versi e musica e sguardi sulla piazza. 
Ed anche dei capelli bagnati prima del primo fiasco, dopo che ho vinto la sfida e hai pagato con la tua maglietta bianca. I bambini devono essere assicurati al sedile con un sistema di ritenuta adeguato. Raccontami del tetto su cui volevo restare e della platea a sedere. Raccontami di cosa c'è stato, ma raccontami che non è passato. 
Raccontami di quando mi hai presa in braccio o in giro e del braccio, raccontami del braccio affianco a un braccio, mentre scrivevamo ed il tuo strappare il foglio ed il mio farti leggere dal tuo palco che lo avevi buttato e battuto. Ti racconto: voglio il contenuto del foglio stracciato o i miagolii sul tetto e te, emozionato. La circolazione per file parallele e' ammessa con due corsie per senso...  
Non raccontarmi del biliardo lasciato lì, ma dei tuoi palleggi con tutto ciò che t'è capitato a tiro, del tuo vestirmi di un giubbotto nero e di quanto ogni tocco mentre ti ero addosso su quella sedia è stato vero. Della strada che credi abbia perso o che credo tu creda. Anzi, raccontala a te stesso. Per sosta di emergenza si intende l'interruzione della marcia nel caso in cui.. Raccontami di quanto ti sono vicino. Raccontami com'è bere un bicchiere d'acqua come fosse vino. Raccontami se vorresti tornare in ognuna di queste situazioni. Raccontami le opzioni, le alternative che mi hai concesso. Io ti racconterò allora della faccia su quel cesso. Raccontami della volta che smontavamo da cavallo, ognuno un po' più solo. Annullato. Del nulla mi hai già raccontato, raccontami del trovarsi. Che effetto fa dopo? si annulla? E di quando hai bucato. Racconto dei miei buchi, di quando Kay è stata lì, ma tu non mi rispondi e fai finta di non aver letto o vai a letto senza chiederti cosa ho scritto. 
C’era quell'aria che per noi condannati era l’ultima sigaretta. Una fa bene ed una male, ma raccontami tu quale, quale fotografia vuoi ricordare? Nel pronunciare sentenza per un delitto commesso con violazione delle norme… Raccontami di te che non so se ne vuoi parlare e poi raccontami di quei pantaloni bianchi in casa tua, colori di gonna di donna nell’orto, del tirarsi dietro le foglie, i cuscini. Del punto fino al quale ti sei esposto, del posto: erano quelle le distese di grano? Raccontami se sono stata un appoggio o un seggio dove votare in segreto la prova di una tre giorni banale. Se nell’azzardo abbiamo bluffato bene. 
Ti racconterò di quando ti ho spiato sentirti indifeso. Difenditi. Raccontami di quel tramonto in cui ci hanno chiamato i tuoi. Dei silenzi con cui dirsi. Delle relazioni così facili così difficili così facili. Del vedermi tra i pupazzi della tua camera mentre diviene teatro. Ché ci sono volute 24 ore e labbra sulle facce. Respirarci vicini. Un"vieni qui" addormentato, di tutti gli attimi in cui hai intuìto. Dell'intuito in illusioni vissute. Raccontami di due ad un finestrino a dare numeri e farci matti. Siamo stati in libertà non vigilata. Stavi facendo un servizio allo stato?

(23/8/07 ore 22.58)