SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

venerdì 26 novembre 2010

Vidi il fiume scorrere (prima parte)

La prima volta che vidi il fiume scorrere era da poco passato di lì il tramonto e nell'acqua aveva lasciato i suoi resti di luce arrossata da sembrare un fiotto di sangue, più che di parole. Non pensavo già allora di conoscerti bene e mi limitavo a saperti inconsistente quanto le linee che tracciavano i sassolini lanciati nell'acqua, come presunzioni senza diritti di fatto.

L'autunno aveva ceduto alle rigidità di un inverno ladro di fogli e foglie che non aveva avuto cura del tempo investito in attese; quindi siccità e poi invece piogge come coriandoli di carte andate perdute senza aver saputo come giocarsele ed ogni tanto una vodka per riscaldarsi l'animo.

Qualche notte successiva avrei avuto bisogno di un dignitoso sonno ristoratore: i ritmi scombinati facevano sentire come improrogabile l'inseguire impulsi di vita che ci tenessero in piedi con forza. E tu avevi scelto d'andare, senza dar risposte nè avvertimenti, lasciando la scena in direzione di un pullman che non si sarebbe fatto aspettare.

Avevo provato a fermarti, ignara del tragitto umido col quale ti saresti inchinato alla sera in cui ti avevo studiato. Le tue domande come esercizio per tutti quanti noi, giovani , viziati, incoscienti e vanitosi che eravamo, abituati più a reggere in mano calici di vino che non la penna che sa essere bisturi quando anzichè farla volare, la usi per scrivere.
Stavamo mettendo alla prova le nostre forze per non arrenderci quanto più possibile, prima della mattanza finale.

Ad onor del vero, il tuo andartene nel sopraggiungere delle prime ore della notte invernale ci aveva dato occasione d'ammiccare ad un abito della tua personalità ancora non del tutto svelata. Quando veniva pronunciato il tuo nome sistematicamente mi giungeva solenne all'orecchi l'accento romano che aveva amato dal primo minuto e dovevo tener socchiuse le palpebre un istante, nel vano tentativo di chetare il fibrillare del mio fulminato cuore a immaginare. Il torpore derivante dalla mancanza di riposo si concentrava a tentoni su fugaci appunti di sorta, dove si annidava come una specie di sottile invito di parti a non dissipare il serbatoio delle mie energie giovanili.

Per questo fui oltremodo irritata nell'avvedermi che era scoccato il 4 di novembre da un'ora e la primavera di maggio era ancora lontana.


venerdì 19 novembre 2010

Ask the wind, H.

Di quale magico inchiostro si nutrono le tue dita, amore
per saper dipingere quei buffi omini
con le gote rosse di superbia
una mano nella giubba come Napoleone
e l'altra a frugare gli spiccioli intascati

Di quale forza sono capaci le tue mani
quando coccoli quell'esserino
nato da un pensiero più grande di ogni se, e di ogni Sé
e versi immaginarie tazze di caffè

Di quale materia sono fatti i nostri giorni, piccola

Piume per solleticarti e muoverti al riso
Seta per accarezzarti la fronte e le palpebre
Vetro per far ticchettare le gocce di pioggia
Acqua di fiume per le labbra che si cercano

Di quali sogni sono fatte le nostre notti, amore
se le luci che accendi dentro me non si spengono mai
e ci troviamo stupiti, ansanti ad immaginare
di estrarre dal cassetto sempre nuovi balocchi

Lo chiedo al vento
e poi lo lascio continuare la sua corsa
so che la mia attesa del tuo sguardo
non sarà mai sprecata


(A. M. - martedì 16 novembre 2010 - ore 22.46)