SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

lunedì 30 novembre 2009

Biglietto per Kukuwok

Hold on - tom waits

Ci vivrò con l'uomo coi rasta. Sarà una casa con tante porte e nessuna piscina; ci sarà una cantina col vino e puzza d'umidità senza topi. Percezione di fresco, ma senza topi a ballare. Ci metterò un tavolo bordeaux che s'intoni con la camicia vinaccia ed il mio vestito viola e ci sarà un biliardo per imparare a giocare. Appoggiata al biliardo non farò sesso banale e i bicchieri di whisky saranno al loro posto intanto che, palleggiando palle in buca, scriveremo le mie favole senza rospi e la ragazza dal cappello francese sorriderà lo stesso battendo le mani.

Kukuwok è una località che il suo fiume non taglia, la accompagna girandoci attorno e attorcigliandosi un poco. A Kukuwok i pesci non sono messi lì per caso, ma nemmeno per scelta o volontà di qualcuno, se non dei pesci. La scelta è quella dei pescatori che si ritrovano alle cinque di mattina, tre volte a settimana, nelle loro solitudini ai lati del fiume e pescano insieme. I pescatori sono soli con la musica del loro fiume, ma si guardano e condividono intimità.

Io penso ai pescatori di Kukuwok appoggiata allo schienale dei sedili posteriori di un'auto non mia che viaggia in avanti e curva ogni tanto in mezzo alla nebbia, nel buio. Chissà se a Kukuwok ci saranno, più tardi, i suonatori di fisarmonica. Chissà se sono gli stessi che portano le rose dentro ai bar la sera.
Al bancone di un bar di Kukuwok cosa ordinerei?

I tipi del karoke ai lati delle strade delle località balneari tipici come un piatto da mangiare seduti al ristorante con l'insegna incrociata dallo sguardo alla ricerca, non ci sono a Kukuwok. No. Se guardi a lato, mentre viaggi appeso agli sfondi filmati dal finestrino di un'auto non tua, trovi piazzole di sosta per la tua solitudine e dentro venditori di frutta a barcamenarsi tra il freddo e le cassette di mandarini e arance. Oggi ne ho comprate quattro, scorta per la guerra. Ci sarà carestia di risorse, ci sarà epidemia di questi occhi sporchi.
Ai semafori gli strilloni non gridano, inchiodati alla luce del primo mattino e silenziosamente girano con nelle mani coi guanti giornali che non hanno letto, donne a casa ad aspettarli, scaldandoglielo. Scriviamo tutti la storia. Gli strilloni girano tra le auto con dentro gli uomini in attesa di ripartenza che pensano. All'attesa di un semaforo verde di Kukuwok cosa penserei, io?

Viaggiamo senza traffico in questa Kukuwok che mi dispera e sperpera ragionamenti come rotolano le cartacce e lattine, ai lati, rotolate ai lati, sotto gli scalini dei marciapiedi su cui camminano le mie normali immaginazioni. Scalini su cui cammino tutt'ora da acrobata, se capita.

Serve l'attesa? mi serve la fuga per amarti?
Il farmacista di Kukuwok vende colori e regala sorrisi e abbracci. Sì, io vado lì col mal di testa e lui mi propone quasi ghignante un bel verde intenso.
Esco con la faccia stupita e, salito lo scalino che mi riporta sulla strada, riguardo il nome grigio ad illuminarsi fisso come un faro, non ho sbagliato e con le mani in tasca mi dedico quattro passi sotto il viale alberato. Poi sotto il portico, superata la ghiaia di cui mi porterò qualche sassolino a casa incastrato alla suola delle scarpe. Sotto l'arco, proprio all'angolo in cui la gente della piazza che ha deciso il mio percorso s'immette come fiume nella via della targa vecchia, c'è una banca. A Kukuwok in banca ti offrono dispetti senza interessi.
Ripenso alla farmacia; non so se abitando terrei una scheda anche qui per segnarmi quante volte ci vado. Gli scontrini li conserverei lo stesso: sono codici con cui scarichi poesie a fine mese.

Non è piccola Kukuwok, eppure non c'è la confusione cittadina di sera. Se t'affacci alla finestra e guardi avanti senti piccole voci che fanno i capricci e forse flebili suoni di piatti e posate. L'odore di benzina e il profumo d'inverno che arriva anche qui.
Sento dire: "tieni, cara, la meraviglia" ed è troppo strano anche per sembrarmi ipocrisia. Mi domando se si tratti di raccomandazione puntuale o regalo di un premesso natale con le luci già ad abbagliare le menti sui doni da inventare, ma Moro m'ha insegnato come vanno a finire queste storie e non ho, d'altra parte, idea di dove siano finiti i miei stivali di gomma per andare a sguazzare nelle pozzanghere. O magari a trovare i pescatori e farmi insegnare come si fa a credere ancora che nel fiume ci siano pesci e che una volta cotti a punto siano anche buoni.

Passano le stagioni ogni anno anche quando fanno confusione tra loro o sono sempre inquinate dagli uomini. Passa tutto col tempo, quanti uomini se lo ripetono e quanti vivono col disperato tentativo di non farlo passare. Sarebbe una bella partita al tiro alla fine, finirebbero tutti con la corda al collo come cappio, come accalappiasogni o illusioni, tutto speso in contraddizioni.

Ti sto scrivendo una lettera d'amore, uomo coi rasta. Te la scrivo appoggiata alle arance. Mettiamo su quel tavolo da biliardo, dai. Che c'entra. Ci sono tante porte nella casa con la cantina. Una giusta per noi la troviamo. Sì, lo so, che t'ho incrociato per caso, con lo sguardo che fugava e tu non sai nemmeno, ma il tempo passa.
E io scrivo sempre le mie lettere d'amore ad indirizzi sconosciuti. Tu no?
A kukuwok lo fanno in tanti di più di me sola.
Ti scrivo:

Who you are - tom waits

"Trattami come un libro, fatto di parole e immagini e copertine spesse a non rovinare le pagine pur rileggendole e portandosi appresso. Capiscimi come un libro, nella mia natura, ti sia sufficiente. Separa le parole dalle ore vissute insieme e un po' piangi perchè non puoi trascorrere il tempo di quella sera con me. Nudi, a lavarsi, col nostro gettone in mano per i momenti liberi che ci siamo regalati. Ricchi. Ricchi da costruire una casa grande con cantina e odori. Uomo coi rasta, non mi vivere come una bicicletta, non funziono uguale ad un'altra. Non passeremo mai quella nostra sera, non mi ameresti più se succedesse. Tu non fuggi davanti ad un libro che t'interessa eppure ti senti tccato più che dai miei occhi malinconici che non vedi. E ti viene da piangere ora perchè non mi vedi gli occhi, non puoi che immaginarti. Se fossi lì ogni sera comunque non ti accorgeresti che piangono i miei.
Il libro ti porterà il bacio che racconto e magari per un altro. Ne sentirai l'emozione e lo vivrai più dei miei occhi di malinconia pieni di pagine lette e scritte. E viste. Ogni giorno che ti vivo accanto, a un passo, a un tocco, a un soffio.
Serve la distanza? Serve a proteggerti la copertina? no, per proteggerti da quei venti invernali e da quei freschi devi viverli, metterteli in casa e avere gli occhi che ne fanno specchio che non dovrai comprare nè veder sempre giovane. Ed è allora che sarai uomo ed in quella tristezza ti sarò solidale come maglione che conosci a memoria, come forma d'amore.
Se fossi anche stasera lì nella cattedrale in cui t'ho incontrato, mi nasconderei dietro un pezzo d'un tuo braccio, mi prenderei un po' di calore. Gesti strani i miei. Automatismi selvaggi della mia natura. C'è un limite di caratteri, di battute, di amici, di inviti e non lo voglio sapere, non lo riesco a capire. Vorrei sapessimo recitare con gli occhi e avere Cristo che ci guarda le spalle e non ride un po' in tanti, un po' più di ora.
Partiamo tutti per Kukuwok, tutti quanti. Pavia non l'ho visitata, ma partire su un treno a casaccio è cosa diversa dall'inventarsi un posto sullo stesso o immaginarsi un bacio e farlo in un libro di fotografie da scriverci alle spalle al posto d'un Cristo dipinto. Dipingere un vetro e farci una cattedrale è cosa diversa dall'esserci stati dentro e aver guardato il colore o attraverso. Kukuwok è situata in uno spazio che accoglie un mondo proprio, mentale, interiore, unico e solo, che non tutti sentiamo coraggio di vivere, di scrivere e responsabilità di cercare.
Il biglietto l'ho stampato e vidimato io in questa lettera a te, in questa piccola cattedrale dopo che ti ho guardato aggiustare i volumi del mixer intanto che regalavano il rosone.
Ho il cappello francese e lo sguardo che non spiega, non mi sono accorta se mi hai vista. Ho raccolto il suono delle campane di tutte le ore del giorno, oggi e te l'ho riproposto tra le volte di fumo delle sigarette non accese per non dar dispiacere, per non infastidire. Quelle di cui però si mantiene la voglia. Rispetto e libertà sono contraddittori come lo è stato guardarti ed essere interessata all'altare della cattedrale. Tu, in disparte, a giocare a nascondino da solo, dietro la colonna. Non ti ho dato la lettera per non darti fastidio, mentre resto in silenzio ogni giorno con una parola in più da regalare ai fogli, da delegare ai figli. E lo sai che non lo farò mai davvero, lo hai capito fin da adesso, lo sai che io non ci riesco, lo sai quanto mi fa male questo.
Atroce distacco che non provo da questo eterno vivere in stanze d'albergo del mio capo scosso e dei miei capelli sciolti o agghindati di una pinza infilata a casaccio come tiene i fogli di lettere da arredarci una cantina in una casa affittata al costo d'un regalo, dentro una località che non esiste, che è uno sbaglio surreale in stazione, mentre col brusio che ha ogni stazione e di cui non tutti s'accorgono e che a non tutti piace, aspetti di sapere il binario per la tua destinazione. Uomo che con i rasta t'accompagni in stazione con tutti i tuoi volumi nella testa adesso scombinati in maniera diversa. Capelli miei sciolti sullo schienale del sedile posteriore dell'auto non mia ad accarezzarmi l'animo e il capo e farti vedere gli intrecci al posto delle tue mani. Arrota, arriccia, arrovellati, accalorati sotto un pezzo di braccio, accavallati ai suoni della cattedrale e dì qualcosa perchè duri ancora un po' questo concerto di archi.
Spiccio è un fumetto che non hai ancora letto, l'ho inventato io e siamo, a Kukuwok, tanti di più di quelli che non immagineresti adesso. Alza lo sguardo, uomo coi rasta, togliti per un attimo quella malinconia dagli occhi, riconoscimi chè ti sono accanto. E' tutto in un accento diverso, in una località che abbiamo immaginato uguale, in un orizzonte che ci sta ad aspettare. Ma il tempo passa.
Tremenda voglia di appoggiarti la testa alla spalla, amore sconosciuto per qualche tempo come la sigaretta, che sei qui a un passo, un soffio, anche quando ti penso tra palco e platea dove mi trovo sempre un pezzo. Capita a Kukuwok di trovarsi ai piedi un cartoncino per portarlo a casa e completare il puzzle. Ieri il mio era rosso, ho intuito che l'immagine finale debba essere un arcobaleno banale, una serenità sostanziale, una speranza per una pioggia meno o più fredda a seconda del calore e dei gusti e della libertà individuale di viverla o guardarla dal vetro, appesi a finestrini e finestre e rosoni da cui sbirciare la vita. Platea e palco uguali per me, con te. So che ci sarebbe la complicità tale per un viaggio a Kukuwok, insieme, insieme come pescatori s'intende. La vedo nell'aria anche ora che non ci siamo incrociati di faccia, anche ora che non ci sei e forse ti confondo e sfocando la tua immagine trovo quella d'un altra bicicletta che dovrei pedalare in un viale alberato di quelli che amo, con la ghiaia e il portico di lato."

Si mischiano nella nebbia le idee di una solitudine obbligata e quella dello spirito di unione solidale che mi dà quella consapevolezza di essere dello stesso gir di giostra. Pure se le mie parole quando sento le tue mi sembrano accostate male, pure se non ti riconoscerai nel mio sguardo su di te.

Ogni Kukuwok nasce da una delle nostre deviazioni mentali a cui attacchiamo nomi come figli. Folli, com'è folle qualche figlio, com'è folle il sapere di non essere sola ogni volta che entro nella mia personale cattedrale incrociando il contatto con qualcuno come l'uomo coi rasta. E lo sappiamo quasi tutti, quando sposiamo idee, immagini, speranze, progetti, senza contratti, persone e affetti, come si fa a Kukuwok dove si mettono sull'altare i pensieri con un Cristo qualsiasi a guardargli le spalle, noi stessi. Si dice che quando si guarda una stella cometa, ma facciamo pure un arcobaleno, si esprima un desiderio. Il mio desiderio di natale in questa pioggia sottile che piove da sabato, è che ci siano alcuni abitanti in più per Kukuwok, qualcuno più di ora, che ce lo si dica con una lettera da tenere sotto braccio e che sarà una sorpresa. Che si guardi un po' di più alla finestra della propria casa con cantina, della propria cattedrale, che ci s'impegni l'attenzione, con interessi, per accorgersi di quando il reggiseno azzurro è appeso fuori dal vetro di fronte a dondolare sul filo come fosse un acrobata dentro a un cielo pieno di azzurri come lui che ci saran voluti chissà quanti tubetti a dipingerlo. Con le personali solitudini, come pescatori sul fiume di Kukuwok che all'amo hanno arte e pescano altro di bello.

Senza far rumore - Daniele Silvestri

domenica 29 novembre 2009

Come se lo disturbasse

Dovevo andare ad una riunione quella sera. Era, anzi, la prima riunione del meetup per me e sarebbe stato il mio benvenuto perchè, invece, sul forum, scrivevo già da diversi giorni e mi ero già fatta riconoscere da molti.
Ho fatto per partire con nelle mani le stampe delle pagine di cui avremmo dovuto disquisire quella sera. Sono andata dall'ufficio di mia mamma a casa dei miei nonni, un isolato piu avanti, tutta contenta perchè iniziavo da lì a poco un'avventura nuova.
Per quei pochi passi... ogni tanto li ho contati e sono meno di duecento.. mi sono iniziata a sentire stranamente poco bene. Mi faceva male respirare, mi faceva male all'altezza del collo, ma dentro, ho pensato a un colpo di freddo e non volevo farmi rovinare i programmi da uno stupido malore del momento che non avevo mai neanche avuto prima. Poi pure quando sto male io reagisco abbastanza cosi, quindi!
Arrivata da mio nonno per cenare e poi partire col pullman, mi son sentita sempre peggio anzichè sentirmi maggiormente ristorata dal caldo della casa.
Nel giro di poco ero su una poltrona nello studio di mio nonno, senza neanche essermi ancora tolta del tutto la giacca, con evidenti difficoltà di respirazione. Sono stata ancora peggio via via e mi sono pure spaventata, fra l'altro, forse per la novità (ma di solito le novità mi attraggono anche quindi credo fosse più perchè non è bello ritrovarti che non sai cos'hai e sai solo che non riesci a respirare sempre più). I miei nonni han chiamato mia mamma e i miei zii che erano lì han cercato di chiedermi cosa mi sentissi, ma non riuscivo a respirare, figuriamoci a parlare.
Credo mi sia uscita dagli occhi qualche lacrima, ma non ne sono certa.
Mia madre ha telefonato alla guardia medica e ad una farmacia di fiducia che faceva il turno di notte.
La guardia medica ha detto di portarmi immediatamente in ospedale che poteva anche essere molto grave. I miei amici del meetup erano stati avvertiti da me per sms all'inizio quando ancora non stavo cosi tanto male e ora mi continuavano ad arrivare telefonate e sms.... mi aveva fatto piacere, poi, scoprire che c'era chi già si era preoccupato per me, seppur relativamente e che persino in riunione si erano passati un po' la notizia e leggermente allarmati al punto da cercarmi per chiedermi come stessi e avere rassicurazioni sulla mia salute.
Dopo un po' che non riesci a respirare e lo fai con difficoltà e fatica si crea una condizione fisica tale che sembri uscito da una pesante broncopolmonite di colpo (faccio sto esempio perchè la broncopolmonite ce l'ho avuta e pure grave da piccola per ben due volte ed è l'unica cosa che mi viene comoda a spiegare le mie condizioni di quella sera dopo ormai ore, almeno un paio, che stavo cosi).
Siamo quindi andati in un ospedale lì vicino e dopo le prime visite mi mandarono nell'ambulatorio previsto per me. Non ricordo neanche che reparto. Ricordo un medico che a definirlo tale mi viene l'orticaria perchè un medico dev'essere innanzituttto un uomo, è imprescindibile.
Sto deficiente, evidentemente abituato a quell'ora a vedersi arrivare gente con il genere di problemi che mi appiccicò addosso, mi iniziò a fare domande, legittime, per capire. Peccato che notai da subito una strana reticenza nell'ascoltare le risposte come se quello che dicevo non lo soddisfacesse. Mi interrompeva persino proprio laddove glispiegavo l'iter con cui era peggiorato il mio stato che, per altro, non era migliorato nel frattempo quindi faticavo non poco a parlare e si mostrava nervoso pure per questo. Come se lo disturbasse (a lui?!).
L'ultima volta che mi interruppe sbottò con una sorta di sfogo a metà tra il ridicolo e il patetIco se non fosse che ero sotto le sue grinfie. Negli ospedali e con la medicina si gioca una partita squilibrata.
Insomma questo prende e mi inizia a chiedere a mò di domanda retorica che droghe di preciso prendo o ho preso quella sera. Se fossi stata meglio mi sarei credo messa a sorridere. Non perchè ci sia qualcosa da ridere per situazioni di tossicodipendenza, intendiamoci, ma perchè questo si campava le sue teorie sulla base dell'avermi guardata in faccia e vista, presumibilmente, un po' magra e in quel momento un po' pallida.
Diceva che quel tipo di crisi respiratoria era crisi d'astinenza e che lui ne vedeva tantissime e le sapeva riconoscere.
Mi disse che tanto il metadone se continuavo a rifiutarmi di dare spiegazioni reali non me lo dava (e monomale).
Poi senza ascoltarmi commissionò, con un 'va bene' di congedo ai discorsi con me, una certa dose di un certo farmaco da farsi per iniezione affinchè l'infermiera la preparasse. Gli chiesi che tipo di farmaco fosse. Si rifiutò (ed è persino illegale che io sappia) di darmi spiegazioni per ben due volte. Poi l'infermiera gli fece notare che era tenuto a dirmelo ed io insistetti ulteriormente proprio perchè, visto cosa già era accaduto e vista quell'ostilità, volevo capire cosa voleva iniettarmi. Subito mi disse solo un certo dosaggio di en (che mia madre poi mi disse comunque esssere un dosaggio molto molto forte tanto più se fatto per via di iniezione e ad una ragazza e ad una ragazza con una corporatura comunque esile e ad una ragazza che non aveva mai preso di quei 'tranquillanti'). Dopo un po' mi disse pure, ad uno sguardo dell'infermiera per nulla evasivo, che c'era pure un non so piu quale farmaco che serviva per gestire le crisi d'astinenza come la mia.
Ancora!
Mi sono rifiutata di prenderlo rispecificando con le forze che potevo che non avevo preso (mai nella vita fra l'altro, manco canne con gli amici al liceo) alcuna stracazzo di droga. Sto deficiente si rifiutò allora di visitarmi o cercare spiegazione in altra diagnosi e mi rispedì a casa con un foglio in cui si parava il culo scrivendo che mi ero rifiutata di prendere la cura - senza specificare quale nè sulla base di cosa era stata decisa - e questo, mi disse, per lui era l'ennesima conferma delle mie condizioni di tossicodipendente perchè i tossici pare abbiano di queste crisi per cui poi rifiutano le cure. Cioè secondo lui ero andata lì in cerca di metadone e vedendo che non mi davano quello me ne andavo. Bah.
Andai in un altro ospedale e mi visitarono, mi controllarono il battito e il respiro (la saturazione mi pare) ogni poco, mi diedero per flebo un calmante ed un antidolorifico prima di farmi fare sì un consulto psichiatrico (e anche qui ci sarebbe da ridere), perchè la mia poteva anche essere, mi dissero, una crisi di panico (panico "perchè" non si capiva), ma mi fecero anche una radiografia, una visita approfondita, etc. Non avevo niente di rotto, per altro era facile da immaginare, ma venne fuori che presumibilmente avevo qualcosa all'esofago: come una specie di infezione e questo provocava anche difficoltà di respirazione per via del male all'attaccatura del tubo che magari, suppongo io, rompe le palle anche alla trachea. Ad ogni modo sicuramente poi un po' ha peggiorato le cose lo spavento e il prolungarsi dei tempi in cui avevo difficoltà respiratorie che, però, han trovato molto più che umano. Con l'antidolorifico che mi diedero mi sentii meglio, ma l'esofagite quando prende non perdona. Soprattutto non perdonano - ho poi scoperto trovandomi a riaverla in alcune altre occasioni - super alcolici se bevuti lisci.
Si venne poi a scoprire che l'esofagite è tipica in casi di lavande gastriche fatte male e che in effetti la mia sembrava proprio provocata dall'aver grattato col tubo della lavanda gastrica. Quell'estate (la sera in cui stavo male era di fine settembre) avevo subito a Livorno una lavanda gastrica, dopo un cocktail bomba di alcool e farmaci presi ad minchiam, in cui c'erano stati problemi proprio per via del tubo che mi rimisero due volte per poi lasciarmi intubata di vari tubi (carbone attivo, flebo, controllo del battito e della pressione continuo,...) per tre giorni in una città non mia, completamente da sola, ricoverata in una stanza d'ospedale mai conosciuto prima.
Mi ero presa quel cocktail volutamente e direi pure consciamente, conscia di quella incoscienza che ti fa fare grandi gesti, ma anche grandi stronzate, per amore.... pare assurdo. Ma questa è quasi un'altra storia e non ho neanche tutta sta voglia di raccontarla ora che l'esofagite la tengo sotto controllo e la ragazza del lago l'ho lasciata al suo lago senza tentativi di gesti inconsulti.
Una cosa però è da dire: non so se è da considerarsi più inconsulto il mio gesto inutile e idiota di prendere merda per tentare d'ammazzarmi su un viale sotto casa di un amore perso per volontà mia o se sia più inconsulto per quell'amore il gesto di stare a chiudere le tapparelle della finestra del proprio salotto toscano per non guardare.

venerdì 27 novembre 2009

Mi sbraccio e abbraccio

Tu che sogni hai? e quanti amori hai in questo momento?
Il librone mi sa che me lo stai ricopiando via via.
Comunque mi piacciono i libroni, quello che non mi piace è non ricambiare i regali, sotto natale poi è sconveniente al massimo. Ora io non ho mai pubblicato libri e questo per scelta e per disinteresse e incapacità di pensare a come si fa perchè di materiale ne avrei e, se fosse, trovare il mio libro da qualche parte, sapere che qualcuno lo compra e magari farci pure qualche soldo, non è che mi farebbe male, specie se consideri che non posso lavorare perchè non posso lasciare mia figlia a nessuno e che il telelavoro in Italia sta ancora in condizioni penose, si trovano solo truffe e pure poche. E se conti, in ultimo, che la dipendenza - anche se dal mio convivente - mi pesa. Qui è quel discorso di libertà che si faceva fin dai miei 18 anni e dal mio andarmene di casa, un po'.
A questo punto però dovrei raccontarti come mi ero data una regola: mai bere o fumare se ne avevo 'bisogno'. Oppure di come i miei amici del liceo in blocco nell'intervallo se ne andavano a fumare spinelli, tutta la classe, e mi torturavano perchè 'mancavo solo io' e io non andai mai e mi diede fastidio, anzi, quando Matteo entrò in classe al pomeriggio strafatto per la lezione di disegno. Mi diede fastidio perchè Matteo un po' mi piaceva. Matteo per un po' mi fu compagno di banco e mi faceva il solletico al fianco. Matteo teneva i capelli lunghi e biondicci ed è l'unico ragazzo biondo, credo, che mi sia mai lontanamente piaciuto, se escludi Alessandro Arato, ma quella era a malapena una simpatia in prima elementare e poi Alessandro non mi piacque più in breve e prevalsero Massimiliano ed Andrea dentro ai miei pensieri, due tipi castani. Uno bello e uno no. Matteo adesso è su fb e oggi ho aggiunto un tipo che ce lo aveva stranamente negli amici insieme ad altri circa 14 amici in comune che, per me, non ci azzeccano nulla l'uno con l'altro o quasi. Matteo ho sentito che è andato all'estero a suonare. Gli piaceva suonare già al liceo. Massimiliano ed Andrea invece su fb non li ho trovati o forse nemmeno cercati abbastanza. Della classe del liceo che andava a fumare le canne ho quasi tutti, invece. Delle elementari pochissime amichette tipo Valentina che era la mia prima migliore amica. Le mie migliori amiche nel corso della mia vita si son potute contare nelle mani. Non ho molte amiche. Ora forse quasi nessuna. Non so. Di sicuro, ancora, non Eva.
Ma con 'quasi nessuna' intendo, l'hai capito, nella vita, più ancora che non su fb.
Senti, ma 'che sogni hai?' te l'hanno chiesto in tanti a te?

Anche io sono una tipa fin troppo leggibile eppure tutti mi prendono per misteriosa e dicono pure che me la tiro e, figurati, Alberto (quello a cui sto facendo il cd) mi ha pure detto che faccio l'evanescente e metto filtri nella comunicazione. Bah.
Se avessi messo filtri avrei dovuto rispondergli con un paio di link e sparire. Invece mi son messa lì a sbracciarmi (non per davvero eh, me l'ha detto su skype) per fargli i segnali stradali nella mia persona: vedi, Alberto - gli ho detto - lì c'è la testa che non vince quasi mai a scacchi con l'anima. E qualcuno dice persino che loro due coincidono! Lì poi, Alberto mi senti?, lì c'è il cuore... ma ne parlano tutti e poi, un po', il cuore, diciamolo, fa pure schifo. Cioè ora sembrerò strana ancora una volta però, se ci pensi, mi sa che ho ragione. Ti dico. Anche io faccio i cuoricini colorati sui cartoncini, prima ci mettevo pure le iniziali dei nomi dentro, adesso no....no, Alberto, non hai ragione, non sono filtri, ti ho già spiegato che non fumo quasi mai e tantomeno mi faccio i filtri da sola? di Matteo e di Alessandro Arato ti ho detto? mi pare. Comunque. Il cuore. Una volta che non ricordo se stavo disegnando cuoricini, ma spero di no, mi raccontarono che a mia cugina quand'era piccola fu regalato un cuore di una bestia, non so. Per sezionarlo. Per imparare medicina. Il regalo fu di mio zio. Mio zio adesso è medico chirurgo, pure affermato. Va a Niu Iork pensa. Va in Francia. Comunque. Mio zio di cuori ne vede e paciocca parecchi, mi sa. Chissà com'è, mi dico, pacioccare con i cuori della gente. Che poi la gente neanche la conosci. La gente sono tanti qualcuno che corrono soli, su vie senza padroni, come cani con le museruole sciolte, la gente. La gente è pericolosa quando si mette insieme. Nel bene e nel male. Ma non dicevamo della gente. Dicevo dei cuori. Beh, secondo me pacioccare e persino vedere i cuori della gente. a dirla tutta, un po' a mio zio gli fa schifo. Magari non lo dice perchè pare una brutta figura, ma secondo me sì. Poi c'è da dire che già il fatto che a mio zio potrebbe sembrare una brutta figura fa specie. E se lo conosci, mio zio, ti spieghi ancora di più. Però quando tu sei lì, in sala operatoria, che stanno per addormentarti, speri proprio che il medico chirurgo un cuore ce l'abbia e non gli faccia schifo usarlo, no?
E poi se ci pensi non è che sto dando del cinghiale a mio zio. Pure se non siamo mai andati d'accordo non condivido tanti suoi modi di vita, suoi e dei figli a quanto vedo. Vedo poco. Cioè lui e i figli li vedo poco. Ma non ne soffro. Forse non ho abbastanza cuore, chissà.

Certo che gli intrecci di fb son proprio strani.
Ecco, ora dovrei dirti della Francia, dovrei dirti della mia sala operatoria quel mattino e dovrei dirti di Andrea Parodi.
E allora ti aggiungo solo che non mi sono scordata del regalo che non ti ricambierò. Facciamo che te lo ricambio leggendomi una delle tue poesie ogni giorno. Lo so che sembra una paraculata, ma guarda che ti sto regalando alcuni minuti di ogni mia giornata e l'impegno e la promessa. Proprio io che di sposarmi non c'ho nessuna voglia.
Dico.
Non è mica poco i minuti.
Però pensavo, prima, che se le tue poesie nel librone di 516 (:) pagine fossero 365 mi verrebbe meglio. Vorrebbe dire che ti regalo un anno di minuti. Non è mica poco.
E lo so che sembra una paraculata.
E poi magari non sono nemmeno 365 e nemmeno 516. Io, però, una volta ho scritto un pezzo che si chiama 416. Se vuoi te lo faccio leggere.
Solo che ora ti dovrei dire di un folle viaggio, di Livorno, del mio tradimento non tradito che pareva una paraculata anche quella, di un paesino piccolo in Basilicata dove ci ho lasciato il cuore e... no. Il cuore non fa schifo, alla fin fine. Parrà romantico e paraculo, ma a me non mi frega poi molto di cosa appare alla gente fatta di qualcuni. Son mica mio zio, io.
Mi manca una z. Ma tanto non sono manco zorro quindi mi va bene così.
E poi nel tuo librone chissà quante z, non vedo l'ora! ci pensi? potrei contarle e ti guadagneresti altri minuti. Spesi. Magari a vanvera. Io comunque biologia non l'ho mai studiata con troppo piacere se escludi che significa studio della vita, ma io preferivo studiare la vita piuttosto che lo studio della vita. Sai no? forse però tuo figlio biologo chitarrista Francesco mi tirerebbe un pugno. Invece i ragazzi che suonano la chitarra (lo so che pare una paraculata), quelli sì. I miei fidanzati quasi mai. Luca era capace e mi suonò, nella mia prima mattina livornese, sul letto, occhi da orientale. Così, chitarra e voce. E io piansi. Dico davvero, piansi. Non puoi mettermi lì il fatto che ero partita chiudendo una convivenza, la mia seconda, ma questa volta voluta, andandomene di sera tarda a piedi con una borsa a tracolla e poco altro, fin dai miei nonni. E poi la mattina dopo decidere di partire per la prima volta, di colpo, perchè era il 30 aprile e volevo vedere il concerto del 1 maggio alla tele con lui, che cristo. Io non so che ci trovasse di cosi pazzo quando seppe, mentre ero sul treno, con un sms, che stavo andando da lui. Non ci eravamo mai visti in faccia. Ma se tu metti pure che effettivamente lui venne in quella stazione che il chiaro di luna non mi ricordo nemmeno se c'era e, diciamocelo, pare una paraculata da disattenta, ma quanto invece è più romantico che non me lo ricordassi?! E poi ci metti pure che scesimo tre, forse quattro scalini per andare nel sottopassaggio e dal binario passare all'uscita della stazione e lì, sulle scale, ci fermammo tutti e due nello stesso momento senza dircelo... nemmeno con uno strappo alla giacca, per dire e ci baciammo. E chissene frega del chiaro di luna, no? se poi ecco, per dire, ci metti il giro turistico in auto, di notte, ci metti il ponce che non ho potuto bere perchè il bar chiudeva in quel momento e il gestore ci ha chiesto scusa gentilmente. Se poi ci metti addirittura che siamo arrivati a casa sua e la sensazione strana di un posto mai visto. Se poi, magari, ci metti pure quei due divani che diventarono uno mio e uno suo e nel corso dei giorni ci ospitavamo a vicenda per dormire accoccolati o per fare l'amore o per sentire musica e chiacchierare. Ma ancora non erano nulla più che due divani. Ci eravamo messi nel mio, quella notte, quando arrivammo. Eravamo stanchi quando arrivammo. Non dormimmo tutta la notte. Si accoccolò lui sulle mie gambe. Non credo di aver fatto accoccolare un uomo sulle mie gambe tanto spesso. Di solito io sulle gambe di lui, per dire. Se poi ci metti però che io gli accarezzavo i capelli e ci baciammo e poi ci siamo tolti a vicenda i vestiti come in un film e abbiamo fatto l'amore per la prima volta sul divano e poi mi ha portata in braccio a letto e abbiamo rifatto l'amore come in un film. E se ci metti pure che io poi mi risveglio con quell'aria che non so dove sono di preciso e un frangente dopo, ecco! mi ricordo. La città nuova. Un amore nuovo. Ed è il primo maggio. Beh, già solo quella sensazione lì fa quasi piangere. Non per il primo maggio che comunque... se lo volevo vedere alla tele con lui! beh se ci metti che lui per di più mi sveglia suonandomi sul letto, a petto nudo dico! occhi da orientale con una chitarra paurosa che poi è l'unica che un giretto fuori dal giro di do o di sol l'avevo imparato ed era quasi blues e continuavo a rifarlo finchè lui un giorno mi ha detto brava, allora puoi capire, insomma, perchè io piansi. Quel mattino. Sul letto.
Poi mio padre non mi insegnò mai a suonare la chitarra perchè diceva che lui aveva imparato da solo con un libretto di accordi. Me lo diede. Io li imparai con foga e interesse. Quando avevo finito e per fare bella figura con lui me ne ero imparata pure due di giri di accordi, andai da lui a fargli vedere. Lui faceva le facce. Le facce strane. Non di compiacimento, non di gioia, manco di soddisfazione a dirla tutta. Forse non li avevo imparati bene con le dita tutte precise come un professionista, però cazzo!
Si mise a ridere.
Ma io dico!
Invece disse lui... solo dopo un po' che faceva le facce si accorse che li avevo imparati tutti al contrario. Certo però che sto cazzo di libretto poteva pure dirmi il manico della chitarra da che lato lo fotografa! Ho capito il privatista,....però. A livorno in questi casi dicono 'boia deh'.
Ti volevo dire altro? no. Eccheccazzo. No.
Anzi sì.
Non sono in verità nè paracula nè così cafona come sembra qui in questo messaggio dai vari cazzo. Però tu tanto non ti formalizzi. Penso.
E poi persino Eva ha scritto cazzo nella famosa mail.
Però non è che l'ho fatto per lei, è che ci stava.
E non è una paraculata.
Eva, comunque, poteva essere più gentile. Forse è per quello che un po' mi sta antipatica. Però un cuore ce l'avrà sicuro. E magari migliore di quello di mio zio. Pure se mio zio salva le vite, cristo. (tanto non ti formalizzi). Eva con quella mail ha tentato quasi di distruggerne una. Bisogna fare attenzione, io dico. Sia mio zio, sia Eva, sia io, un po' tutti.
Me l'ha detto Davide che bisogna fare attenzione alla gente e mica solo se è pericolosa. Quei qualcuni in fondo hanno un cuore quasi tutti e non puoi sezionarli così a mani nude. Forse per questo mi sta antipatico mio zio che ha regalato il cinghiale a mia cugina. Che regalo è un cuore di cinghiale? si ho capito, la medicina. Ma tanto lei non ha studiato manco alla scuola superiore di disegno, io dico. Ti pare che si faceva l'università di medicina? però mio zio salva le vite, cristo.
Mio zio ha un figlio per moglie: due.
Ora sta con una terza moglie che non ha sposato ed è stata sua amante tutta la vita, pare.
Magari un po' vuol dire, però non mi azzardo.
Ora dimmi se non valeva la pena aspettare questo messaggio che tu avrai pensato che mi facevo i fatti miei del tutto e non mi fregava di risponderti oppure non ti fregava e ti facevi i fatti tuoi di brutto. Va beh. ad ogni modo sto messaggio è quasi un librone.
Io quando rispondo lo faccio bene. E mi sbraccio pure ogni tanto. Magari. Se è.

Claudia, ma a te Carlo te le ha scritte le poesie? a me no. Quindi spero di non starti troppo antipatica. Che so io. Comunque a me Eva sta simpatica per le poesie. E' per la mail, semmai, che mi sta antipatica, ma neanche poi tanto. E' più una superficie di sensazione che poi magari và via come le gocce quando tiri giù il finestrino, no?!

mercoledì 25 novembre 2009

Al Caffè de' Vecchi

Unica, ma non sola! - schiamazzerei stramazzando sul pavimento.
Gattonerei, farei le fusa, soffierei. Sbufferei. Sgratterei le unghie sulla moquette.
Piccoli salti tra sacchi di pazzie, intuito a mucchi.
Innamorati del mio nome: cercale tutte le Helen Esther Nevola della Terra.
Unica e sola.
Incontrale tutte e scriverò una frase sul tuo biglietto d'invito al Caffè de' Vecchi.
Unica e sola.
Tu che sogni hai?
Quanti amori hai in questo momento?

Quando mi stai seduta sul polso
e mi poggi la mano, l'altra, dritta
sul tuo fianco
sei più bella di Parigi.

Prima abbiamo fatto la doccia nel sale.
C'erano le onde alte. Uno strano modo di fare l'amore.

Una donna dell'800 al braccio
in costume
no, non la so immaginare.

Eppure tu hai grazia.

Aspirano le foglie
soffiando fuori il freddo dalle bocche
sulle strade.
E mormorano qualcosa.

Il circo, il tendone del circo m'affascina insieme ai camion! - ti ho detto io.
Ho cercato di vedere se scovavo il leone al guinzaglio.
Se usciva qualcuno dal tir e andava a sporcarsi le suole
sulla moquette impolverata di segatura.
Ho pensato di partire con loro e non te l'ho detto.

Come un eccipiente a cui essere allergici,
un incidente sbagliato.

Gioco da equilibrista in casa,
quando ti guardo di storto;
da bambina sul marciapiede:
da una parte cadi,
dall'altra no,
ma io allargavo le braccia.
E dicevo 'pazienza'
ai miei genitori che andavano di fretta.
E poi un salto.
Mi dispiace aver litigato ieri, mi dispiace aver litigato tutte le volte,
eppure.
A te, quanti sogni hai, quanti te l'han chiesto?
Quante tue lettere ti han domandato di leggere?
Giocavo a tombola, sai. La sera con le noci o i semi di zucca.
Il pomeriggio, dopo il pranzo, ci giocavo con pezzettini di carta.
Una delle due famiglie era più ricca.
Oggi giocherei a tombola con i petali.
Avevo il raffreddore quel giorno, impegnata, nella tombola.
Nonna mi aveva insegnato a tenere il fazzoletto nel polsino della maglia se non avevo tasche.
Lo tenevo sempre in mano vicino al naso.
Anche oggi, un po'.
I mobili nella sala erano disposti in modo diverso.
Il quadro col cavallo non c'è sempre stato.
Nonna aveva le guancie piene.
Nonna non mangiava mai poi, poi è morta.
Nonno non voleva farsi riprendere con la videocamera
e noi bambine alle feste dell'asilo sempre in tutù. Io viola.
Unica e sola.
Ai maschi mettevano le orecchie da conigli.
Non hai imparato ad ascoltare nè a scappare
nè a saltare.
Io non ho imparato a ballare.
Il quadro del bambino vicino all'acquario, sai?
poteva essere la faccia del Bambino delle Oche spagnolo.
Nella sala c'era la carta da parati coi rombi. Scuri.
Mio padre aveva i capelli. Tanti. Mio padre era lì.
Il presepe io lo usavo per muovere le pecore.
Oggi invento il presepe. Oggi no, ieri.
La moquette verde.
Io osservo ancora.
In disparte, unica o sola.
Alzavano il volume per il conto alla rovescia.
I conti non tornano: è tutto un conto alla rovescia!
Esplodevano bombe di fuori e loro tiravano su i calici.
Fuoco, in balcone. Luci.
A noi bambini le stelline luminose.
Io ho paura delle stelle luminose.
Abbiamo messo un gioco in scatola sul pavimento,
mettiamolo,
tra canzoni e partite a carte
saprei starti anche distante.
Non mi offrirono la sambuca.
La sambuca non mi piace.
Volevo sedurti, papà.
La sambuca non mi piace.
Ora quella gente prende psicofarmaci al posto dei soffi
delle bocche
del freddo.
Fuori aspirano foglie,
salano neve.
Abbiamo fatto l'amore nel sale.
C'era il quiz musicale.
L'abbiamo inventato noi, nella sala, sulla moquette ai piedi,
verde come il mio ombretto a scacchi
che non hai notato.
Sacchi di pazzie, mucchi di intuito.
Abbiamo inventato il quiz musicale
e ci cantavamo sopra
e cantavano in pochi
unici
assoli.
Abbiamo inventato il quiz musicale
con i parenti siciliani venuti a vederci
nel quadretto tutto italiano
tra bottiglie e sigarette.
E tu giochi con le figurine Panini
e le figurine forse non le fanno più.
Mischio carte e suggestioni,
lo fa anche l'autunno,
dopo tutto.

h.n.
14.36
25-11-09

Mimmo Locasciulli - L'autunno, dopo tutto

mercoledì 18 novembre 2009

Cosa scrive nel suo romanzo Francesca?

A me Francesca non piaceva, ma non sono nè omosessuale nè bisessuale.
Ad ogni modo non mi piaceva per altri motivi: rideva troppo e troppo a sproposito forse. E poi all'intervista di Vasco che abbiamo condiviso ha fatto la fan esagitata, pure Vasco glielo ha detto. E poi l'intervista l'ha scritta proprio male quando ha fatto l'articolo per la rivista per cui scrivevo.
Menomale che io me ne ero andata poco prima della pubblicazione e non m'è toccato leggerla da 'interna' o correggere quella roba, mi sarei sentita in imbarazzo.
Comunque poi è così per dire, perchè se fossi rimasta in redazione l'articolo lo avrei scritto io e non si sarebbe presentato il problema, comunque non è che io poi abbia qualcosa contro di lei, ma dire che mi piace, anche solo un po', no. Perchè do un valore forse maggiore al 'mi piace' o forse a te piace, un po' e a me no, semplicemente.
Di che parla il romanzo di Francesca? (ecco ora mi sento un po' ladra io....)
Ho anche pensato che potresti vedermi gelosa e inferocita con Francesca, magari per via dell'intervista e la cosa un po' mi fa ridere perchè in verità, anche se rideva forse un po' troppo e non sapeva scrivere le interviste e ha fatto la fan esagitata, io la ricordo con un sorriso, da parte mia. Certo, quando ho letto quell'intervista così mal scritta forse un po' mi sono inferocita, ma tanto non l'avevo redatta e firmata io e poi io non avevo fatto la fan esagitata e, anzi, Vasco mi disse proprio che ero molto professionale e mi fece i complimenti e, subito dopo, forse vedendo la sua espressione, aggiunse 'tu invece sei più 'fan' :) ma vabene lo stesso dai'....e lei per tutta risposta gli chiese di autografargli un po' di cose, pensò alla sigaretta offerta come ad un cimelio e poi gli regalò un libretto, non suo.
In effetti forse fu più furba lei perchè, in effetti, non capita tutit i giorni di intervistare Vasco Rossi e specie se lo ascolti, come me, da quando eri piccina e non hai mai smesso e certe sue canzoni son diventati nella tua vita moschtri sacri ad accompagnare momenti fondamentali, beh allora qualcosa devi fare se ce l'hai lì, al tavolino da bar. Io agli autografi non ci pensavo neanche, me lo ricordarono gli altri e adesso son contenta di averne uno anche io. Io la dedica la feci fare per il giornale e non la misero ad accompagnare l'articolo perchè ce l'ho ancora io tra le mie scartoffie, anzi! sulla bacheca. Non me la chiesero mai quando me ne andai.
Quando Vasco mi offrì la lucky strike gli dissi 'no, grazie' perchè in quel momento non l'avrei fumata. eppure aveva ragione Francesca: sai che figo mettere in vetrina una lucky strike di Vasco Rossi con tutti quelli che fumano quella marca perchè la fuma lui? anche io prima fumavo lucky, ma poi son passata abbastanza velocemente alle chesterfield e adesso mi piace comprare pacchetti da tenere in borsa finchè per un temporale o che so io non si distruggono totalmente seminando tabacco per tutta la borsa. E' buono l'odore del tabacco così. E non fa neanche male. In verità è che ho sempre fumato pochissimo solo che qualche settimana fa il pacchetto distrutto di chesterfield e quello di sigarette al mentolo (fumate in Polonia la prima volta) li ho tolti dalla borsa e riposti nella mia anta del mobile del soggiorno, quello dove in mezzo c'è la vetrina, per intenderci. Sì, lo so che non sei mai stato a Ciriè.
Io a Vasco ho regalato solo un sorriso a mò di grazie quando lui mi ha regalato il forte complimento che ti dicevo e un sorriso di comprensione quando lui mi disse qual era il pezzo dei suoi che preferisce. Lui capì che il mio era un sorriso di comprensione perchè mi rispose 'eh ma tu lo sapevi già'. Ci aveva pensato, lui, prima di rispondere. Ci siamo scambiati tanti regali Vasco ed io, ma già prima e ancora dopo dell'intervista. Forse durante mi regalò più lui, in compenso ora non si ricorderà quasi sicuramente chi sono, invece io mi ricordo di quell'intervista. E poi i libri da regalare a Vasco si devono scegliere con cura, Francesca! e vabeh.
Sai qual è la cosa bella, visto che siamo in vena di confidenza? che quando sono uscita fuori da quella sede redazionale dove avevo incontrato Vasco, mi ritrovai Davide, un ragazzo più grande di me che già allora, come oggi, era il fondatore di Acmos e referente regionale di Libera Piemonte. Io Davide l'ho conosciuto al liceo e sentivo sempre le canzoni di Vasco al liceo. Davide ed Acmos mi hanno insegnato il senso della libertà nel senso che mi hanno insegnato a coniugarlo in costruzione e mi hanno fatto vivere tantissimi bei momenti, avventure e pranzi e baci alla fine delle riunioni. Per un momento ho creduto di essermi innamorata di Davide, invece lo ero sempre stata e sempre lo sarò, non credo riuscirà mai a deludermi e tanto meno al punto da distruggere quell'amore, ma sarebbe un discorso lungo, ingarbugliato. E incerto.
Davide lo conobbi quando scelsi di diventare rappresentante in consiglio di istituto e prima, di classe, ma per meglio dire lo conobbi quando in prima liceo il preside per via di una lettera che ricevette da me, venne fino in classe a dirmi - alla fine - che potevo entrare straordinariamente nell'esecutivo studentesco dove non erano mai stati previsti rappresentanti del biennio e dunque crearono l'etichetta 'inviata del preside' (che poi non era nemmeno una bella etichetta per un esecutivo studentesco nel primo liceo torinese per numero di studenti) e mi inserì lo stesso. Anche in quel caso credo sorrisi, pure con gli occhi malinconici, come Francesca non aveva mai. Rideva sempre. forse un po' troppo. Pure io rido sempre, forse non di meno, però con gli occhi malinconici per forza.
Ti volevo dire altro? no.

LiberaMente Stelly

Al senso di libertà, sì, sono molto legata. Una volta avevo una community che si chiamava liberamente stelly e poi nel corso degli anni msn, che stava passando ai groups e poi agli spaces, me la cancellò. Non avevo letto la mail di notifica della imminente cancellazione qualora non avessi fatto un accesso tramite un link. Mica come col mio secondo fidanzato che riuscì a trovarmi dopo sette anni e vari spostamenti di blog, mandandomi una mail che io riuscii a leggere!
Liberamente stelly è stato il mio primo spazio virtuale su internet. Quando me ne andai di casa fu pressocchè l'unico mezzo di comunicazione con i miei genitori o quantomeno il principale. Loro avevano per altro preso le password di 'liberamente stelly' e si erano messi loro col ruolo di gestori al posto mio, quindi io ci potevo scrivere solo più da utente.
Poi ho ripreso la gestione io.
Io con il mio secondo fidanzato, invece, non ho tutt'ora mai fatto l'amore. ma neanche scopato, per dire.
Vedi che le distanze destano sorprese?!

In compenso io che è mercoledì lo so bene, ma non perchè sia certa, tantomeno delle date che manco a scuola le imparavo quando studiavo la Storia, no. Io lo so perchè domani poi è giovedì e si va allo Sbarco. Eppure le videocassette della mia telecamera non so proprio dove comprarle. Una volta, alcuni mesi fa, ne ho comprato un pacchetto da due, ma le ho portate a casa ed erano sbagliate: molto più grandi di quelle che possono stare dentro la mia telecamera. Dovrei portarmi dietro la telecamera o almeno una delle cassette, che so quella dove federico mi suona lo stiletto nel cuore e in un attimo guarda dritto l'obiettivo della mia telecamera e io non mi sono emozionata quanto dopo, quando si mette la maschera e canta una canzone di libertà. Beh, menomale che ci sei tu che riprendi ora, chè io di portarmi le cassette al supermercato non ho ancora trovato la voglia e poi i miei video fanno abbastanza schifo e non li so manco youtubbare, però ci sono affezionata. Ciao (senza il punto chè io il punto dopo il ciao lo metto quando sono incazzata e adesso non sono incazzata, stavo solo stamattina per restare addormentata, pensa te!)

Stelle vicine e distanti

Io da sempre come nickname ho stella. Non credo, presuntuosa come sono, tu abbia avuto molto spesso tanto vicina quanto me oggi una rompicoglioni tale.
Quindi come vedi la distanza delle stelle dipende dai punti di vista.
Io fino ai 18 anni ho avuto, credo, tre fidanzati.
Uno è durato un giorno.
Uno è stato un amore per cui avrei dato tutto e ho dato tutto, ma proprio tanto.
Il terzo è stato a capodanno di quell'anno in cui avrei compiuto 18 anni. Guardavamo le stelle, ma non conta perchè c'erano i fuochi; forse se ci fossimo guardati un po' meglio non mi sarei messa con lui. Lo conoscevo da poco: ci avevo passato e organizzato l'autogestione insieme, al liceo. Ad aprile sono andata via di casa, casa-nido, giocandomi un altro bel po' di cose e sono stata da lui. Una mia prima convivenza, ma non ero andata via da casa per stare con lui, ma di mio, per la mia libertà non prevista dai miei genitori; lui mi aveva ospitata. Abbiamo condiviso molto e tanti miei momenti difficili, molto difficili.
Poi ci siamo lasciati. Avevo in verità da sempre avuto ancora in testa il secondo fidanzato di cui sopra e lui, il terzo, lo sapeva. Però ci ho fatto l'amore quella notte per la mia prima volta.
Il mio secondo fidanzato è tornato l'anno scorso a cercarmi dopo sette anni di silenzio. Mi aveva sempre seguita cercandomi e leggendomi nei miei blog senza che io ne sapessi niente. E tantomeno potessi immaginare visto che il silenzio l'aveva voluto lui che si era ricostruito una vita con altre persone e in cui io non ero prevista. Leggere quella notte quella mail mi sembrava uno scherzo dell'alcool. sentire la sua voce al telefono la mattina dopo che mi raccontava tutta la mia vita in assenza di lui mi sembrò come guardare una stella ed esprimere un desiderio. Ecco.

martedì 17 novembre 2009

un po' bohemien

Quella sera ero sexy per circostanza,
di solito lo sono per scemenza.
Come non capire che girando così,
per le stanze di casa,
propria senza proprietà,
con il cesto in mano
e le porte da socchiudere a spallate,
ma senza ubriachezza,
eppure identico infilarsi con gli occhi in pensieri
nuovi
e profondi;
come non pensare che la spalla,
lasciata nuda appena dalla maglia del pigiama di lui,
più grande di me
e tutto quel frusciare di fazzoletti
da sparpagliare tra le sbarre dello stendibiancheria;
come non vedere che io,
finalmente io: giovane vecchia lavanderina,
avevo realizzato uno, almeno uno
di quei fotogrammi immaginati di bambina,
di quei sogni ingenui di bambina,
di quelle favole che si ripetono come filastrocche
e ci si crede come fossero vere.
L'avevo realizzato lì e nel migliore dei modi
tra i vestiti di mia figlia e il raffreddore di un uomo
che, accanto, in un autunno sbandato,
si può anche sapere quand'è influenzato.
E come non essere allora consapevoli e forti di quel sogno?
e come, come, una donna che ha realizzato un sogno
può non prevedersi sensuale fin da ogni più vago, recondito, pensiero
fatto di sfuggita,
appoggiato tra un asciugamano e un clichè.
Verranno giorni in cui ti guarderò in faccia e non ti dirò chi sono.
Verranno giorni in cui mi chiederai di informartene meglio.
Verranno giorni nei quali spegnere le luci del soggiorno,
alzarmi dal divano di traverso
e pescare uno dei miei accendini dalla tazza del clown
e poi prendere anche uno dei miei calici, il gin ed una delle mie lanterne
dalla mia vetrina
mi farà ricordare questo momento astratto
questo momento preciso
in cui ho capito
che verranno giorni in cui per accendere la mia lanterna viola non mi brucerò alcun dito.
Avrò alzato la fiamma. Non cambiato accendino.
Avrò spostato la mia candela di sbieco smontando e rimontando la lanterna.
Verranno giorni in cui la cattedrale sarà bella anche per te, forse,
nella notte non la guarderò accesa da sola.
Non ci guarderemo occhi e campane
e forse mi chiederai di rifare l'amore in balcone, con un gesto.
Verranno momenti in cui non ci saranno emozioni diverse,
non ci saranno episodi nuovi,
non troverai un confronto migliore,
non comprenderai d'un tratto conflitto ed attrazione.
Non ti interesserà più piangere sul confine
tra giorno ed illusione.
Mi guarderai mentre piango e rimarrai a vedermi scrivere una notte intera
senza potermi vedere che l'ombra delle mani
perchè avrò spento la luce da un po',
se starò scrivendo.
Poi ogni tanto non vedrai neanche quelle,
ma il vetro del bicchiere darà sfumature morbide
alla nostra situazione
e ci sembrerà di essere al Circolo dei Lettori
di una città sgombra e sghemba
dagli autunni matti
e con le lenzuola appese ai balconi
pure se le cimici spiano, testimoni,
questi nostri momenti,
attimi,
queste nostre costipazioni.
Come se oggi fosse inutile.
Se mi guardi mi scorgi anche oggi.
Mi riassumi in un disegno su una roccia fatto dalle piante.
Racconto di un comignolo su cui fumo solo io.
Deterioro i tuoi punti di vista, me ne accorgo.
Lo faccio come strappassi fotografie di amori persi.
Fai come se fossi farfalla, dai.
Non volarmi addosso che non mi piace,
non mi piacciono le farfalle;
mi piacciono i colori quando volano.
Per favore, colora tu il mio abbozzo sui quadretti.
Costringi tu i piedi nella pozzanghera con le scarpe nuove.
Però non chiedermi di aiutarti ancora.
E se poi un pomeriggio ti ritroverai
su un treno
e ti sembrerà di vedermi in sosta
ad una stazioncina di periferia
con l'asfalto che pare bagnato ed invece è liscio,
e ti sembrerà di riconoscermi lì
su una pietra che sa di panchina,
se penserai che sono lì ad aspettarti,
non prenderti la briga di scendere.
Vedrai il mio profilo per il tempo di una fermata
poi non ci saranno che campi,
veloci,
sul finestrino,
come album di fotografie un po' stroppicciate,
come le mie mani sulla tastiera, di sera, in questa nostra casa
non nostra.
Se mi vedrai non venire a prendermi,
portami via adesso
oppure
credi davvero, fino in fondo, che sarò io a salire
o a restare nella tua mente come un ricordo,
come un'immagine su un finestrino mentre il treno corre,
come un pensiero, un'immaginazione realizzata
di una donna
mentre è presa dai suoi fazzoletti.
E non piange.

h.n.
22.23
17novembre 2009

sabato 14 novembre 2009

reduci

ora in verità reduce da un concerto di sirianni, mio amico oltrechè cantautore, quindi non posso che avere sopra la mia vena malinconia un non so che di relax....quel relax portato da chi parla la stessa tua lingua e dal vino...stasera...rosso... che accarezza le sensazioni anzichè buttarle nel fango pure quando soffrono della diversità di un quotidiano vivere che non coincide nè trova spiegazione o agio nelle persone con cui hai a che fare.

venerdì 13 novembre 2009

Eri mio padre.

Eri in quella stanza che non posso che immaginare. Sicuramente eri stanco, stanchissimo, ma non ti curavi certo di questo. La vita è fatta di priorità. Eri mio padre da pochi minuti, ufficialmente ero nata. E ti interessavi di me fin da prima, fin dai pensieri.
Eri mio padre quando mi hai insegnato la storia della musica e prendevi gli lp a mazzi per poi iniziare il rito: prendere il disco da dentro la copertina, tirandolo fuori con due dita dalla sua velina senza sporcarlo e soffiandoci sopra come se ci fosse sempre polvere. Mi facevi vedere le copertine e ascoltare alcune tracce mentre ci parlavi sopra e non potevo sentirle.
Mi cercavo di ricordare tutte quelle date e quei nomi e mi rimanevano impressi odori di atmosfere che mi raccontavi come non ci fossero più, sapori di drink bevuti nei bar mentre si sceglieva nei juke box il pezzo che a quell'epoca aveva stranamente avuto successo. Un attimo dopo avevo immagazzinato talmente tante informazioni che delle prime mi rimaneva impresso giusto 'cantacronache' perchè era un nome particolare alle mie orecchie e 'il nuovo canzoniere' tornava ad essere il libro su cui ti indicavo i pezzi che volevo farti cantare per me.
In quelle domeniche pomeriggio mentre in cucina scalpitava 'quelli che il calcio' su una televisione rimasta accesa, in sala rimanevamo solo tu ed io e si creava la magia di età in cui vivevo pur essendo piccola.
Eri mio padre quando mi hai presentato da vicino le tue passioni fin tanto che potessi toccarle facendomi capire come una delle maggiori libertà stia nella conoscenza. Eri mio padre quando mi hai tenuta per mano e poi aiutata a pedalare senza centrare inesorabilmente tutti gli alberi. Che poi io a quelli ci abbia sbattuto contro anche dopo non conta.
Eri mio padre nel parco quel pomeriggio d'autunno che mi arrampicavo dappertutto e, arrabbiato, mi hai presa il braccio perchè rischiavo di cadere. Faccio la spericolata anche oggi che non ti interessa saperlo.
Eri mio padre ai fornelli quando preparavamo il brodo con le ossa e le verdure e poi il pollo al curry, una volta. Quando ci abbiamo riprovato la seconda non è venuto uguale.
Eri mio padre nelle tue canzoni e dentro alle mie poesie.
Eri mio con uno sguardo quando volevo sedurti e te ne stavi in distanza mentre scrivevo e poi leggevi soltanto quando avevo finito.
Eri mio padre quella notte che mi hai presa a schiaffi e quando pensavi di abbandonarmi alle mie scelte e mamma ti ha detto di no in entrambi i casi.
Era mattina su quella scrivania in cui tu che eri mio padre avrai letto senz'altro la mia pagina lasciata lì per te prima di partire col pullman di sempre sapendo però che uscita da scuola ti avrei tradito. E te lo scrivevo su un foglio. Eri mio padre tutte le volte che mi hai guardata in viso e hai capito. E non capivo come.
Eri mio padre nelle notti in cui mi leggevi e rileggevi Orwell e in quella in cui avevo paura: mi ero fatta male e avevo capito dalla tua espressione sullo specchio del bagno mentre mi medicavi che saremmo andati all'ospedale, ma non volevo i punti. Mi hai fatto una promessa vicino alla vasca e al pronto soccorso l'hai fatta rispettare a costo di litigare con tutto il reparto. Eri mio padre quando mi hai curato da ferite di tipo diverso con un gesto o un discorso.
Era a mio padre che dedicavo quel disco quando ti stavi separando da mamma e te l'ho fatto mettere in auto, come se niente fosse, prima che ci accompagnassi da zio per andare dalla tua amante. Credevo, scema, che io, tua figlia, ti avrei fermato con la musica che ci aveva uniti. Volevo tenessi il cd mentre viaggiavi verso Milano ed invece me l'hai restituito una volta parcheggiato. Non lo sai, ho pianto, ma eri mio padre.
Eri mio padre quando giocavamo a carte in campeggio o ancor prima quando fuori era buio pesto, ma era mattina presto e attraccavi il carrello-tenda alla Fiesta col motore acceso nell'androne e caricavamo le valigie ed era per me il momento più bello della vacanza anche se tu non mi guardavi perchè eri impegnato. Amo viaggiare ancora e ancora, ma quando sono venuta da te, in quella Bologna scontata e me ne sono ripartita nella notte, cercando la stazione in una città che non conosco e piuttosto sono rimasta lì, vicina alla ferrovia, appoggiata alla mia valigia, per ore, prima che ci fosse un treno, non eri mio padre. Mio padre si sarebbe chiesto come stavo, mio padre non mi avrebbe fatta uscire dalla casa della sua amante con tutto quello che sapeva che mi era costato entrarci.
Eri mio padre tutte le volte che abbiamo fatto squadra o quando ti affacciavi dalla veranda della nostra vecchia casa per dare un'occhiata ai tre fratelli che giocavano in cortile a pallone.
Era la mano di mio padre quella che ho riconosciuto con un tocco, mentre eravamo entrambi sott'acqua e mi hai salvato la vita e hai subito dopo rischiato di perdere la tua. Eri mio padre.
Eri mio padre ai concerti di Daniele a cui andavamo insieme e quando abbiamo comprato al supermercato quel suo primo disco passandocelo nelle mani. Eri mio padre quando c'era un'assistente sociale tra noi, tu giocavi la sua carta e lui, Daniele, mi difese e non te l'aspettavi. Dopo parlammo lui ed io di te, ma tu eri già andato.
Eri mio padre ai colloqui a scuola, divertenti quando polemizzavi coi prof. e se ti dicevano che ero brava chiedevi sistematicamente in cosa potevo migliorare. Eri mio padre quando eri migliore, migliore di me e mi insegnavi come si faceva, ma pure quando sei stato debole, quando mi hai regalato il tuo plettro, quando ti sei sentito solo, quando sei dimagrito e mi faceva strano riconoscerti. Era mio padre che non mi faceva patire la nostalgia per lui, ma che di certo capiva e vedeva le mie malinconie negli occhi.
Eri mio padre quando aabbiamo scritto quell'unica cosa a quattro mani che oggi non fa strano pensare si titolasse 'emozioni'.
Eri mio padre quando mi accompagnavi il polso sulla tela e poi di nuovo sulla tavolozza e prendevi la trielina da quella cassetta di colori a olio che non ho più riaperto e a me piaceva l'odore perchè mi ricordava i momenti in cui disegnavi profili di case, di tendoni di circo, di pagliacci di schiena, sulle tele col carboncino.
Eri mio padre quando mi hai insultata a lungo, per giorni, hai chiesto ai miei fratelli di fare lo stesso, non mi guardavi, ridevi di me, ma lo eri ugualmente e anche quando mi hai forzata a scrivere quella lettera falsa al mio primo amore di allora che non condividevi e alla fine mi hai strappato la pagina perchè hai letto dietro le righe che volevo fargli arrivare il mio dispiacere e disappunto per quell'addio che gli stavo scrivendo e gli sarebbe stato inviato da te. Lui non lo avrebbe magari neanche intuito, tu sì perchè eri mio padre. Mi hai fatto riscrivere quel foglio sotto tua dettatura e ogni parola disegnata con la punta della penna su quelle righe mi faceva schifo e mi faceva male.
Il marchio del tuo finto attuale studio grafico ha la fisionomia della traccia di matita che facevo io nel 93 per disegnare un gabbiano sopra al titolo della mia prima poesia: Volo. Ti ricordi? non ci credevi, subito, che l'avevo scritta proprio io. Senza copiare cose già viste. Hai provato in vari modi a farmi dire da dove avessi tratto quelle parole e quando hai capito che erano proprio mie mi hai invitata solo a continuare. Mi danno fastidio ogni tanto quei segni, quelle righe, sulla pelle, non i contrasti, ma le somiglianze. E mi chiedo perchè proprio io? somigliarti troppo nelle sfumature che m'accorgo più che di una figura in foto, più che di una figura sullo specchio.
Eri mio padre quando mi parlavi di Moro, quando mi hai fatta partire per Roma convincendo tu mamma, il mio primo viaggio da sola se non calcoliamo qualche gita scolastica. Eri mio padre tutte quelle volte che mi sei venuto a cercare nel mio mondo, nella mia testa, nelle mie follie, nelle mie cose e in quell'occasione in cui mi volevi portare via di forza dopo avermi trovata là dove ero finita a stare una volta andata via di casa a 18 anni. Anche dopo la maggiore età eri mio padre e lo eri con e senza penna, sigaretta o chitarra in mano, con o senza unghia del pollice lasciata crescere e su cui passare lo smalto trasparente perchè non si spezzasse, con o senza amore dimostrato palesemente, con o senza accordo tra noi, con o senza abbracci, coccole o baci. Parole o silenzi. Sguardi o porte chiuse. Sbattute. Chiavistellate mentre me ne stavo dai nonni a Torino per non non vederti durante la separazione, rintanato com'eri in mansarda. Sono venuta su una volta sola, era la festa del papà e ti ho portato un pesciolino rosso come quelli con cui tornavamo dal luna park quando ero piccola e mamma ci urlava dietro. L'hai lasciato a lei quando sei andato via svuotando la casa dei dischi e dei libri ed io quella notte stavo baciando per la prima volta il padre di mia figlia che non è tua nipote.
Oggi mi rimangono dieci-dodici tue canzoni masterizzate e schiaffate su internet, quelle che prima insistevamo per farti cantare e se in alcuni momenti furono come tabù ds non nominare, anche quando a casa eri più propenso a ricantarcele, non c'era verso anche solo se c'era un parente.
Oggi, stasera, andrò ad un concerto di Federico, è stato suo l'ultimo nostro concerto insieme o almeno l'ultimo consapevolmente insieme. Dopo la mezzanotte sarò lì con un po' di vodka in un bicchiere e dopo scherzerò quasi sicuramente con lui come quella sera, quando lo sentii per la prima volta e a fine concerto andai dietro a dirgli che non mi era piaciuto e tu eri lì. E lui se lo ricordò anche la volta successiva, quando non c'eri già più e mi diede il suo numero dicendomi che se non ci fossi stato tu alle mie spalle, me l'avrebbe già dato quella sera lì.
Sarebbe stato a mio padre che avrei fatto gli auguri, domani, per i suoi 50 anni. Tu mi hai lasciata senza di lui e per me non hai più età da quasi cinque anni. Buon compleanno, allora, per questi cinque, padre che non sei, uomo che non so. Uomo che non sei, padre che non ho.

http://www.formedisegni.it/ik/songs/principessa.html

13-14/11/09
00.43

giovedì 12 novembre 2009

che è tutta una vita che passo da qua,
e ancora rischio di perdermi,
magari è questione di troppa sensibilità,
o sono soltanto motivi tecnici...
e tu dici una bussola
dovevi almeno portarla con te
una bussola
potevi almeno spiegarmelo come si usa una bussola, scusa....
ci sono amori che non si ricordano
e baci che non si dimenticano,
persone che passano e non si salutano e sputano,
e cani bianchi che a volte ritornano.
e tu dici la vita
dovevi almeno capire perché
la vita
il tempo che cambia col vento che arriva
quest'anima stanca che pure respira
quest'angolo piatto che gira
quest'anima dolce e cattiva
che dice guardami...
dice perché non parli...?
dice sbrigati prima che sia troppo tardi...
guardami...
perché non parli?
Fermati prima che sia troppo tardi....
saranno trent'anni che passo da qua
e adesso fai finta di non riconoscermi
ma guarda la gente che salti mortali che fa
e quanti nani sui trampoli
e tu dici perdonami
ma non credevo che fossi tu, perdonami
va bene perdonami, però perdonami cosa?
e tu dici La vita
la vita.... questa scatola vuota
quest'anima nuda
questa retta finita
quest'acqua che corre veloce in salita,
quest'anima forte e ferita che dice
guardami...
dice perché non parli...?
dice fermati prima che sia troppo tardi...
guardami...
perché non parli?
e sbrigati prima che sia troppo tardi,
perché non parli...?
dice fermati prima che sia troppo tardi...
guardami...
perché non parli?
sbrigati prima che sia troppo tardi...
guardami...perché non parli...?
guardami...perché non parli?
fermati prima che sia troppo tardi..
_______________________________
che tu ne faccia meraviglia
o spettacolo banale
lacrime a rendere
o scherzo di carnevale
neve di ferragosto
o macchina per sognare
musica per i tuoi occhi
o parole da conservare
o come un ladro da 4 soldi lo butti giù per le scale
perchè nel buio non l'avevi visto, ma lo sentivi respirare
e ti teneva sveglia per ore
perchè nel buio non lo volevi
ma ti teneva sveglia per ore
regina del tempo, della sabbia e del vetro
della fine di tutti i numeri e dell'inizio dell'alfabeto
dimmelo adesso
dimmelo ora
dove posso lasciare il vestito
come posso asciugare la pioggia che bagna il tappeto
e guarda l'amore che non ha commenti da fare
l'amore comunque
che non ha paura del mare
da attraversare
che si trasforma in colore per la notte che resta
e il viola diventa rosa e illumina la tua finestra
come una medicina o un dolore da rinnovare
o un desiderio spietato che non puoi rifiutare
ed è cosi che ti lasci guardare
ed è cosi che ti piace
cosi che ti fa immaginare
regina del tempo, della sabbia e del vetro
della fine di tutti i numeri e dell'inizio dell'alfabeto
dimmelo adesso
dimmelo ora
dove posso lasciare il vestito
come posso asciugare la pioggia che bagna il tappeto
_____________________________________________

calypsos canta sempre

ho voglia di relax.
ho rimesso su calypsos.
forse dovrei scrivere.
forse dovrei dormire un po', un po' ho sonno, ma mi sembra inutile dormire ora, ma forse crollo in non troppo tempo.
forse è che c'ho quel mio senso d'urgenza che precede le cose forse da fare.
forse è che ho bisogno di sicurezze in questo momento.
o no.
forse ho bisogno di instabilità, di sconvolgere i miei equilibri chè sono equilibrista sul filo e con la mia natura non posso che giocare.
forse dovrei guardare un film, ma ho già troppi appunti. troppi. forse dovrei davvero riordinarli ancora.
sicuramente dovrei partire, ma non posso. e odio i non posso che non dipendono da me.
forse dovrei anche solo condividere il mio boccale di birra con qualcuno che capisce queste righe e come sto in questo momento. forse dovrei condividerci insieme un silenzio o forse farci sesso sull'erba di un parco.
forse poi me ne dovrei pentire e sicuramente mi pento ogni giorno che non vivo a pieno al cento per cento le mie passioni, attrazioni, la mia vita è costituita da come sono anche se sto ferma su un divano. la frenesia di fare c'è.
la frenesia di vivere.
forse dovrei smetterla di pensare ai dovrei e fare ciò che ho voglia di fare, senza neanche piu quei 4 principi in cui credo, sempre. senza rivolgerli agli altri che non si rivolgono a me. non so farmi scivolare le cose addosso anche se ieri sera farmi scivolare le gocce della doccia addosso è stato di nuovo relax. forse dalla propria natura non bisogna sfuggire nè cercarne dominio, ma condividerla con chi vuole, con chi può o con chi 'c'è'.

- non si può avere tutto
- delle volte piccole cose sono tutto o tanto e se non si riesce a capire bisogna viverle laddove è possibile, non si possono fare sconti con la propria natura, non ho mai creduto a quel genere di compromessi che sono mancanza di interesse o di coraggio.


per salvarti la vita
devi uscire da qua
devi lasciare la vecchia strada
e fare un passo più in là
la direzione nuova
devi sceglierla tu
per salvarti la vita
devi rischiare di più
per salvarti la vita
non avere paura
focalizza un'uscita
fai le cose con cura
lascia correre l'acqua
lascia spegnere il fuoco
è questione di niente
è questione di poco
devi comprarti un vestito nuovo
e decidere come ti sta
e non aver paura di dimenticare
vattene, vattene adesso
non ti voltare
non c'è nessuno
da salutare
devi cambiare indirizzo e telefono
devi cambiare città
e non aver paura di non farti più trovare
vattene, vattene adesso
ed io farò lo stesso
non ti voltare
non c'è nessuno
da ringraziare
per salvarti la vita
non ci stare a pensare
chiuditi bene la porta alle spalle
e butta la chiave
guarda dritto negli occhi
l'amore che stai per lasciare
e abbandona la scena
abbandona la nave.

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mercoledì 11 novembre 2009

Vino in veritas

16/8/07
18.12
http://it.youtube.com/watch?v=h-dhtTeclsA
Sei sconfitto, ma continui.
Ti trasformi in fulcro d'attrazione di tante delle impostazioni e costruzioni che fanno un personaggio mal digeribile di un'anima in disaccordo.
Piccolo Hulk improvvisato di un malessere che geneticamente ti porti dietro, ma non ti appartiene, ti volge alla pazzia.
E ti prenderanno per indifferente alla vita; e ti guardano con palpebre sconsolate per non riuscire a capirti; e ti han detto chi sei e dove sta l'errore. E dove sta l'errore?
L'hanno poi mai guardata una terra desolata con occhi stanchi, ma attenti, per giocare a dirsi interpreti del tuo viso? no.
Sarebbe logica adesso la presunzione di un verso d'amore male studiato, invece l'emozione è solo quella di dirti che "mi piaci", di cancellarlo e riscriverlo, 375 volte, 376, 377,... e poi te lo ripeterò sul palco cercandoti nella platea tra il dire e non dire che non riesci più a sostenere. 378, 379,... ogni volta che apri bocca, ogni volta che sei capace di rimanere a bocca aperta.

giovedì 5 novembre 2009

ti ho regalato troppe parole - alias vaffanculo

http://it.youtube.com/watch?v=ZP95btX8NJE

contavo le punte agli alberi del viale intorno al parco sotto casa, affilando lo sguardo per guardare in alto come a temperarle come matite dagli stessi colori pastello sfumati che non saprei tenere in mano per disegnare quel capolavoro, chè neanche un pittore.

uso le punte di quegli alberi per pensare ancora ad un qualcosa che non so, non vorrei dire. mi sono sentita eternamente stupida nel crederci e stare ancora appresso ai suoi silenzi distanti. avrei dovuto eliminarli. d'altra parte l'hai fatto anche tu, bisogna guardarsi in faccia.

conterei le rughe sulla faccia per rinfrancarmi della saggezza presunta, invece non ho che graffi a ricordarmi della Storia vissuta; e sai che ti dico? sono contenta così.

mi accontento di sentirti dire qualche altra frase da cartolina di poeta mancato e vivo, invece non ho più voglia di cercarti tra le spighe perchè di me non hai capito più niente e ti sta bene così.

ero il pupazzo di pezza che dava colore al tuo campo di grano spopolato, stavo lì a fissare i tuoi movimenti, i tuoi lavori, i tuoi sguardi sbattuti dal vento e gettati qua e là dove non avrei immaginato. giocavo ad indovinare a cosa ti saresti aggrappato, ma non sono mai stata quel pupazzo davvero, perchè quello ogni tanto ti sei voltato a chiederti come stava e che ci faceva là in mezzo.

ti ho regalato troppe parole. troppi fatti. troppe idee. ci pensavo oggi rileggendomi nello strascico dei pensieri di questi mesi. invece non eri più in grado di sentirle, di capirle, di accorgertene, perchè quando lo spettacolo è finito, sei uscito dal tendone insieme agli altri e quando ti ho detto chi ero, hai finto di non ricordare, ma poi ogni volta che hai la voglia di impegnarti... ritorni alle tue comparsate che tanto ami in quanto tali. non ti rendi nemmeno conto che sei davvero un grande attore!
http://www.prato.linux.it/~lmasetti/ilvillaggiodeipuffi/scritte.php?near=1&show=1110
bye.
H.

mercoledì 4 novembre 2009

Human Touch

Tu mi tieni le mani.
Io ti tengo la birra. Slegami.
La tastiera è impolverata.
La mia formica è ancora sul pavimento.
Non l'abbiamo uccisa neanche per caso.
Tu mi tieni le mani.
Mi sono seduta a truccarmi allo specchio.
E' rotolato a terra l'ombretto verde.
La formica ha avuto speranza.
La formica ha avuto una pioggia strana
oppure
la formica ci ha ignorati.
Me e i miei trucchi.
Tu mi tieni le mani.
Io cerco di non parlarmi mai allo specchio.
Sembrerebbero smorfie.
Vedo che tu mi tieni le mani.
Non mi chiudi le labbra.
Potrei uccidere la mia formica con un soffio.
Potrei sbranarla di emozioni e lei si arrabbierebbe con me.
Tu mi tieni le mani.
Sì, me le tieni vicine.
Non puoi chiedere a un fotografo di non guardare un'ombra.
Nemmeno a me allora di non chiederti quando.
Quando mi lascerai andare.
Mi prenderò la responsabilità delle mie linee
che t'affascinano
ti pigliano bene
e giocherò con l'anello che non ho sepolto
anche mentre tu mi tieni le mani,
anche mentre non vedo un domani per noi
e tu mi tieni le mani
anche quando mi chiedo come.
Come fa la formica a vivere nel pavimento del mio bagno
sola con i rumori dei nostri passi
e la paura che la si schiacci.
Tu mi tieni le mani
e stiamo facendo come la formica
sul pavimento
con la pioggia verde
e nessun trucco da spiegare.
Solo
tu mi tieni le mani.
Solo, non offenderti
se te le tengo io pure
se sono vicine
se non m'aggrappo
se non seguo la linea neanche a matita
nera
sugli occhi
che non sono verdi.
lo ripeto:
non sono verdi.
c'è speranza lo stesso.
lo dimostra la formica
ed il tocco
umano
tu non preoccupartene
tu continua a giocare a dipingermi il ritratto sul vetro
temperi la kajal ogni due tratti
e non compaiono le mie smorfie
perchè tu mi tieni le mani
proprio intanto che
tu avresti da tenermi i(n) piedi.
Dammi la mano;
dammi una mano;
dammi le mani;
datti una mano;
tieni la mano;
prendi le mani;
tieni(mi) le mani.
Potresti essere tutto
eppure
non è niente.
Come un tocco.

h.n.
17.33
28-9-09

Le lettere finiscono qui.

29-9-09
22.47

mi mordo il labbro solo quando sto scopando o quando non voglio piangere, ma ho gli occhi dentro già pieni di lacrime.
mi mordo il pollice quando sto scopando e quando rido, scherzo, sto bene, sono concentrata nelle mie cose, quando sono coinvolta. mi raccontano che già da piccolina quando mi impegnavo avevo il 'tic' di giocare con le labbra tirando un po' fuori la lingua e piegando la punta sul labbro superiore o giocando con i denti a mordicchiarmi quello sotto.
io per te non sono nessuno, non sai queste e molte altre cose di me. non sai quando una frase può farmi male o un tono di voce attrarmi. non sai nemmeno ciò che ti riguarda in qualche modo di me come il fatto che sto qui.
scrivo quando mi sfogo, quando devo vomitare qualche sentimento, bello o pesante o confuso che sia, purchè puro. non sai di me che capisco il tuo sentire emozioni amplificate perchè che ho una sensibilità simile in questo, non te l'ho detto. tu dici che dico tanto anche se non parlo, anche nei miei silenzi. difficilmente mi racconto pure se pare un paradosso per una che ha riempito pagine e pagine buttandoci dentro latte di vernice con un po' tutti i colori della sua vita. tutti a disposizione di qualcuno per cui essere importante magari, ma io per te sono niente.
spontaneamente non dico tanto di me, mi lascio guardare e in tanti lo prendono per un volermela tirare. tu potresti pensare a come mi hai conosciuta per capire, ma tu oltre a non conoscermi, non hai motivo di chiederti tutto questo e di cercarne risposte in alcunchè perchè io non esisto, sono niente e nel nulla ora resto.

ore 23.

h.n.

idea - sceneggiatura

Finita l'epoca di una scissione netta tra personaggi positivi e negativi, bene e male sono categorie stereotipate. Le storie raccontano vite e nella vita le sfaccettature umane sono complesse.
Essere uomini e non finzioni di se stessi significa vivere/affrontare fino in fondo quelle positive e negative.
Eros ha bisogno di thanatos per darsi senso (come il bene per essere bene ha bisogno del male; la gioia del dolore).

Eros si esprime nella relazione con gli altri e rimane dopo thanatos, ma la vita è un'esperienza di solitudine.
Eros esasperato: thanatos.

Passione: difficile convivenza tra pulsioni di eros (istinto di vita) e thanatos (istinto di morte); dimensioni psichica e biologica dell'essere; attrazione del rapporto tra di loro e sua malattia (creare/distruggere; simpatizzare/rifiutare; sprone all'impegno/indignazione che sfocia nella rassgnazione e nel rinchiudersi nel privato); sfida alla morte: averla vicina aumenta eros.
partita a scacchi con la morte - ingrid bergman: b/n - ogni mossa verso la consapevolezza - morte imbattibile (livella-totò)? amore-scrittura-dio: l'anima attinge all'eternità (arte, bellezza, fede-tao/nirvana-unione delle religioni, ricerca della conoscenza e del bene, verità)

Relazione positiva: thanatos inglobato in eros (eliminazione in modo adeguato degli ostacoli che impediscono i giusti rapporti esistenziali)

comportamento umano: altare mediatore (uno squilibrio genera patologia):
- tensione permanente (forza del pensiero occidentale) - la tendenza moderna al pragmatismo tecnologico che lascia rifiuti è la via al nirvana - senza una filosofia che studi il valore e la natura della conoscenza scientifica;
- libido (energia, forza pulsionale che governa l'uomo);
- libertà: equilibrio tra eros (amore, istinto di autoconservazione vs soddisfazione, en. irrazionale/positiva se non schiaccia thanatos)/thanatos (en. negativa/razionale)

trasformazione energia: sublimazione dell'eros (incarnazione in cose fattibili); sostituzione e trasformazione del sentimento

i comportamenti dipendono dalle possibilità di svolta per risolvere una situazione (415,....). le possibilità ce le si crea.

approccio alle strutture psicologiche: dinamico; strutturale (Es, Io, Superio)
es-impulso/stimolo per controllo dell'io (bimbi)
rapporto cavallo/cavaliere con
io-crea difese per scaricare l'es senza troppo dolore (si prova angoscia per scegliere così l'io rimuove [impedisce l'inconsapevolezza di un pensiero minaccioso con un processo inconscio se netto; maschera emozioni di segno opposto-topografico]) - mediatore (una volta superato edipo)
superio-censore, detta divieti e regole (sociali) al comportamento (genitori, stato)

disillusioni normali con l'età? un uomo deve vivere la disillusione per credere nell'illusione? (illusione/realtà)

verità: pura vita

ricerca della verità/felicità: reale solo se condivisa (punti di vista, gusti, sentimenti, libertà differenti)

struttura - sceneggiatura

IDEA - RACCONTO
- TRAMA; PERSONAGGI; RAPPORTO

IDEA:
dove vuoi arrivare, LOCANDINA (interessante/originale/comprensibile); non allungare il brodo

RACCONTO:
ciò che si conosce; decidi tu cosa si dice e si fa; situazioni dove le caratteristiche possano spiccare; porsi tutte le domande che una scena suggerisce; lavorare per immagini; tempo presente. ritmo adeguato alla scena. no congiunzioni. scorrevole (pronomi/a capo/spezzare le azioni dopo 4 righe)

TRAMA:
a. introduzione: conoscenza dei personaggi principali (come e dove vivono) e del problema da affrontare
b. intreccio: sviluppo del problema sconvolgendo le vite dei personaggi (idea)
c. finale: i personaggi si risolvono? conclusione delle sottotrame
deciso cambio di situazione verso metà

italia: sx-visiva (azioni, ambienti) - dx-sonoro (dialoghi, rumori/musiche)
francia: dialoghi (senso generale del discorso con frasi di maggior rilievo; improvvisazione per completare il testo)
america: romanzo
-dialoghi-

non deve uscirne un trip filosofico, ma deve almeno intuirsi il messaggio/idea.

PERSONAGGI: scene, luoghi, movimenti, dialoghi
- lista iniziale/scena introduttiva: cosa c'è bisogno di sapere subito per familiarizzare (espedienti per dire: mostrare, far parlare altri di lui;...)
- cosa non dire, ma che condiziona psicologia e azioni (idea del primo contatto delle persone che lo incontrano e congruenza nel proseguio delle caratteristiche del personaggio)
- quadro di ognuno (personaggi ben definiti/manichini senzienti)
flash: vita/storia, caratteristiche/psiche, età, volto/fisicità, vestiti, espressioni, abitudini, modo di parlare/tic, posti e tipi di persone che gli piace frequentare, aspettative-sogni-paure

dialoghi, luoghi, vestiti, comportamenti,...che facciano emergere i tratti caratteristici della loro personalità; non totem ma persone; un vestito e un'atmosfera fanno molto (paco)

lola (blues)
paco (rock-jazz)
behemoth (meetal)
sabrina (pop)
esther?

diversificazione del carattere dei personaggi che si esprime da come si muovono e parlano, dal diverso modo di vedere-interpretare-affrontare le scene: interesse: il conflitto che affrontano (trama)
tastare il terreno prima di affrontare l'argomento per non fare sparate; attenzione proporzizonale all'interesse (suspence/colpi di scena - complementi dei personaggi).

scena: dilemma/decisione importante da prendere/affrontare; raccontare la cosa più importante che c'è sul palco; indicare a inizio scena le azioni principali che avvengono durante i dialoghi; evitare la reazione prevedibile dallo spettatore (non soddisfa le aspettative), ma crearne una credibile e verosimile: i personaggi guidano la scena,si nutrono della storia;

f.c. fuori campo
v.o. voce narrante
v.f. voce filtrata (telefono/radio)
titolo della scena: tempo (momento del giorno) e luogo (esterno/interno; luogo preciso)

ambienti: tempo storico/nazione/città/stagione

dialoghi: non ovvi o zoppicanti, ridondanti (immagini/testo solo la parte interessante) o irrealistici (tendenza a nascondere sentimenti nella realtà dei rapporti)


SCENOGRAFIA:
cinema-studio delle inquadrature
teatro-scarsa visibilità; complessità cambi scena

schermo con proiezioni dei luoghi/scene - sul palco solo persone e cose essenziali - le scene sono illusorie - i personaggi sul palco fanno come se fossero in quelle scene.

luci: ogni giorno più buio

martedì 3 novembre 2009

Rapporto Paco - Lola

scelta: quale disillusione? / qual è il minore dei mali?
- ripartire sempre da zero (non per mancanza di grinta o coraggio di saltare o abbattere il muro, non manca la fiducia in soluzioni inaspettate, ma per noia di un paesaggio desiderato troppo)/assumersi il rischio di soffrire
- ripartire da zero vivendo a pieno le singole vite, ricominciando da capo, credendo sempre che andrà tutto bene , con tenacia....porta stanchezza... ciclicamente lola prova a essere diversa, ma poi si rimette sempre in gioco, a forza di cazzotti la finirà, dicono/continuare a incassare

spirale ciclica
esistenzialismo (ricerca eros, speranza, vita, motti, ideali/valori (paco ha valori), sogni, stupore, ricerca di comprensione/comunicazione, fiducia, follia dell'innamorarsi) sfocia (evoluzione/involuzione/apocalisse-trauma/crisi) nel nichilismo (thanatos, ripiegamento su se stessi/egoismo?, solitudine, piccolezza dell'uomo, impotenza, inutilità, caduta ideali, sfiducia, fuga nel privato, rampantismo, noia, stanchezza, incomprensione, rassegnazione, rabbia, paura, disillusione per i propri fallimenti, occasioni perse, paura di essere felici), fino al decadentismo

attraverso attrazioni; certe anime delle persone si riconoscono dopo pochi sguardi); situazione idilliaca che sembra creata ad arte (l'idillio è il lieto fine dello stare insieme/trovarsi o la libertà di essere di ciascuno senza solitudini, ma con accettazione).
unione di qualcosa che c'è a prescindere (ineluttabilità; spirale ciclica)
ho visto che vi volevate non so per quanto e perchè, ma ho visto che è così
confidenza naturale
provocatori di idee ed emozioni: citazione per danni; animali notturni; fotocamera in mano; anticlericali con propria fede; complicati, simpatici; gli si chiede di sorridere; mix di istintività ed intima razionalità; musica; libri; amore per territori vissuti e viaggi; nostalgia/malinconia; amano cose semplici; vivono la vita a pieno (in modi diversi); gli piacciono le stesse sfumature della vita/cose che vivono che diventano esistenziali (sassolini nel sacchetto; sassi e conchiglie - cordino the; ali di un soprammobile; rapporto: pareti dipinte a quattro mani).

inevitabile? (destino - tempo) - ineluttabile (abbandoni, attrazioni, morte, logoramento dei rapporti/fallimenti)(entusiasmo dei successi?)
dipende da persone? sorte? rapporto? tempo? (ruggito che diventa belato)
le favole vanno bene finchè ci si crede (bambini/adulti - età)
non ci sono garanzie/rimorsi - rimpianti
ogni vita è la stessa storia? spirale ciclica: paco è esther? (libero arbitrio?)

tempo: scambio di vite (illusione-solitudini) (chiamati a rubare un bottino): sprecato/passato=vissuto per costruirsi (muro)/non risparmia niente e nessuno/fermarlo?
carpe diem se vivessimo in eterno?
non ci sarà tempo per scoprirsi insieme e non solo simili (freddo dentro)
paco e lola non possono stare insieme, sono più 'insieme' di tanti rapporti (spirale ciclica)
se non chiariscono la cosa, se lasciano che vada da sola dove vuole tra palchi e poesie, tra baci e birra, finiranno per perdersi con la stessa forza con cui si sono cercati

A volte fa paura pure un'intesa mentale e spesso i tempi non coincidono. Magari Lola non è poco, ma è 'da poco' (tempo); certe cose si ha paura a gestirle da lontano.
luoghi: sud/nord italia

destino: coscienza realtà/sogno (illusioni; qualcosa a cui non si può mai arrivare; nessuno sa se c'è davvero - profumo - bene, pace, felicità, verità) - ineluttabilità/costruzione - libero arbitrio (bivio)

tradimento: vita/lola (cambio identità - attrazioni - tentazione/conoscenza)

Essere schiavi della propria libertà/liberi.
libertà di identità/identità e solitudine/identità e diversità/identità e omologazione
cani. si corre soli, si corre come cani senza padroni
consapevolezza
punti di vista diversi - distanza tra i miei pensieri e i tuoi - concezione diversa della vita (?):
- ti perdi la vita/leggerezza
- ti perdi il senso/vivi di passaggio senza coraggio di rischiare per costruire
impotenza/in potenza
indifferenza/in differenza

solitudini che si incontrano(comunicazione)/scambio di vite
ognuno è libero, ma la libertà finisce dove inizia quella di un altro. la battaglia di paco e lola è la stessa (libertà), ma che per ognuno vuol dire qualcosa di diverso (sfida del crederci davvero) (paco e lola/paco è lola)
libertà: amarsi/accettarsi anche con le proprie diversità.
giocare a carte scoperte o coperte, ma giocare seriamente (non solo con bluff che alla lunga stancano se fini a se stessi)
stanchezza di lola per diversità di gioco, inutili bluff per capire e non appiccicare etichette a casaccio/paco vive di quei bluff e non ha niente da far capire.
gabbia (cervello) costruita (chiusa con la persona dentro e bisogna trovare la chiave giusta-linguaggio) senza chiavi: re sotto scacco, costringere l'avversario a fare le proprie mosse fino alla fine se non si molla la tensione (permanente-streben: l'uomo, ogni uomo, tutto l'uomo)
la comunicazione è urgenza che prescinde (?) dalla tecnica (tecnica/emozione/passione serve a far arrivare il messaggio e rendere efficace il bisogno di comunicare al fine della comprensione di nature uguali e diverse)
lola cerca paco, non 'da' paco, è fuori dal gioco di paco e gli dà la dimensione reale/credibile di cui ha bisogno, fuori dallo stereotipo, gli dà fiducia perchè lui la tradisca (?) a modo suo.
lola per paco è lola o sabrina? lola è lì apposta perchè sia credibile paco. paco è grazie a lola (fiducia/istinto/personalità plasmabile con identità precisa). lola gli permette questo gioco, lo riaggancia alla realtà, necessaria premessa perchè lui possa giocare. le illusioni di paco non si riducono grazie alla dimensione esterna e fondante.
sabrina non gliene dà, si stufa subito e paco involve in se stesso, percepito come bluff, non può dimostrare che uso ne avrebbe fatto/non gioca. la gente nel tempo si scopre per quello che è e se non lo impari lo scemo sei tu.
lola potrebbe trovarsi ad investire in una cosa in cui crede solo lei e farsi molto più male di quanto (?) ne stia soffrendo. lola tra rapinatori e rapinati, dà (ciò che non ha più) (scrive il libro)
lola non si stanca di giocare con paco, si stanca di essere 'funzione' (perdita dimensione umana) perchè 'è' lei stessa e paco dovrebbe 'essere' reciprocamente (scambio/rapporto di reciprocità?) funzionale se no il rapporto ('quale tipo' è stereotipo) non sta in piedi.
bisogna desiderare le stesse cose, esserci realmente per l'altro (?), non fare la scelta più facile, ma quella che si desidera realmente, giusta verso se stessi.
lola vuole attenzione, rispetto, credibilità, fiducia, vuole che paco torni all'inizio della spirale ciclica, vuole che paco superi paco (limiti=libertà).
paco dice che dall'altro cerca l'altro e non ammette che lola da paco cerchi paco.
se lola viene presa per ciò che 'è' (c'è anche se non la si vede), il gioco di paco non ha ragione di esistere, paco deve giocare più seriamente (forza reale di vivere la vita nelle sue illusioni: nascita, morte, amore, rapporto), l'illusione diventa davvero il suo gioco: paco sfugge (fingere di essere se stessi, crogiola nel suo brodo di ombre, forza palesata) e cerca sabrina (?).
lei deve essere contenta della parte che ha (egocentrismo - 'tu mi vuoi per tenermi in disparte')
paco non ha capito chi è lola?
paco ha dato a lola le parti di cui non ha bisogno per 'essere' (se la guarda capisce chi è e cosa fa da una vita)
- cosa vuoi sentirmi dire? lo stravolgerò come sempre (termini di riferimento)
paco è troppo concentrato su di sè e non vede gli altri (non gli interessa/non può co-essere?) pure quando si mostrano più vicini di quanto crede. paco non si aspetta che lola lo conosca pur non conoscendolo (eros).

chi domina nel rapporto paco-lola?
lola non vuole farsi 'mangiare', ma le piace chi riesce a mangiarla trasformando il proprio boccone in interesse, conoscenza, scambio, sicurezza, con rispetto. intolleranza/indignazione/fastidio di lola verso paco quando sciupa (?) il tempo senza viverlo a pieno (a suo modo).
a paco non frega di sapere chi è lola, lola ha pianto 4 volte davanti a lui e non glien'è fregato niente, lola dà e toglie tutto in poco tempo, lola non va presa in giro.
paco che fa male a lola è banale
paco sarebbe un bluff se facesse ciò che vuole lola (che lo aspetta) perchè la sua disillusione non sarebbe vera (non può essere sostituita per magia - suggestione/illusione)
paco ha bisogno di lola, senza di lei è un personaggio ombra, senza sostanza, involve in se stesso. lola non può ridare a paco la sua libertà perchè ce l'ha già, anche quella di esserne schiavo (?)
lei lo userà come bottone per scrivere? (chiesto da lui)
-perchè hai chiesto a me di scrivere un testo e perchè proprio questo soggetto?
- perchè non conosco bene altri soggetti quanto me (dà tutto sè: libertà condivisa con lola)
paco è paco; lola sta beccando paco con la scrittura (chiesta da lui); lola lo riporta all'inizio della spirale ciclica (stupore, magia, possibilità di capirsi). strada per comunicare/chiave? farsi conoscere (conoscenza=linguaggio)

si conoscono paco e lola?
paco e lola si vedono reciproci filtri (l'essenza senza (es) filtri non delude mai?)
se è vero che ciò che 'sei' coincide con ciò che vivi alle proprie scelte ed essenza bisogna dare un senso credibile.
direzionare (?) meglio mosse e sforzi (giocare)
se uno parla e l'altro no o non ascolta è una presa per il culo per entrambi
- non posso spiegarti tutto
- per far capire il tuo punto di vista devi spiegarti (chiave: codice-linguaggio-conoscenza), mettiti l'anima in pace
paco non regge il gintonic: presunzione che serve per conoscere lola; lola beve il white russian; lola quando sarà ora di recitare (fingere di essere se stessi) il suo libro (chiesto da paco e scritto da lei) capirà (secondo paco/non c'è niente da capire)

non c'è niente da capire - domande senza risposte - non cercare in un viso la ragione, in un nome la passione che lontano ora mi fa
cercare perchè (lola): non fidarsi/volontà di conoscenza - mettersi in gioco del tutto/crederci (ombra di lola; le batoste di lola dovrebbero trasformarla sempre più in paco; natale incombente)
alle cose anche ammettendole o ci si crede davvero o non stanno in piedi

sblocco: speranze e attese
si scrive quando non si vive
allontanamento dalla vera essenza della vita che andrebbe consumata in sintonia con la natura
lieto fine: rimangono diversi e continuano con tutte le difficoltà, fatiche e contraddizioni del caso a volersi bene/giusto finchè non fa stare male (stop quando si soffre: paco è esther/paco e esther) - prendere atto che siamo tutti uguali, ma c'è gente diversa che non è detto non ci ami a modo suo.
nessuno ha diritto/presunzione di cambiare un altro. significherebbe mettersi su un pulpito da cui indottrinare (non c'è conoscenza) verità precostituite che invece stanno nella ricerca (non ci deve però essere rassegnazione in essa) personale.
se la chiave fosse mangiare zuccherini che arrivano per posta: conoscenza=vivere le magie che capitano per incroci (ti arriva qualcosa senza che tu l'abbia deciso, hai solo lasciato un indirizzo)

lola-paco:
respiro, voce, stella, luce, maestro, guida, sangue che tiene vivi, compagno, amore, biglietto per il sole, luna appesa in cielo, universo nero, incubo, sogno, bellezza di cui si ha bisogno, speranza, amica, caduta, risalita, donna, padrona, regina, signora, serva, troia, piacere, gioia, rifugio, porto, mare calmo che mi ha accolto, paradiso personale, riparo dal male, fuoco che libera, salto senza rete, carnefice, boia, abbraccio che consola, peccato, perdizione, salvezza, redenzione, complice, aiuto, sentiero perduto, vortice del nulla, desiderio, paura, destino, sorte, vita, morte


scacchi/carte (poker-scala)/biliardo - le insegna a giocare (non booling) - cosa mettere sul piatto? (lola-paco)
alba - giocare a guardarsi
gocce attaccate ai fili della biancheria come piccioni alle grondaie
leggere poeti, sospiri nel silenzio dei pensieri
diversità dei silenzi/distanze: prato/birre - leggere il giornale
etichette (bottiglie, stracci) arrugginite dei propri ideali al vento: su scatole vuote che diventano uguali - si smette di cercare etichette per non restare con un pugno di mosche (uguaglianza come unità o omologazione) - aquilone al vento (sogno che non sarà)(signora degli aquiloni)
scale
supermarket hotel venezia (ricerca tra le corsie)
non ci sono cavalli nelle poesie di orlando
caffè 'de vecchi'
asciugamani lui/lei
muretto in piazza: palco
baci da cui non si sono staccati, ma sono capitati tra le labbra perchè erano vicini
vestire abiti troppo stretti (scomodi) ma unici puliti al momento (?)
abbraccio
the alla menta
white russian non sputazzato preparato da paco che non è capace, ma lola lo vuole lo stesso da lui (si fa voler bene perchè unisce illusione e forza (fragilità)
pioggia
dormono per mano
clown triste con una scritta sul retro
chupa chups a un gusto indecifrato
seduta sul palco vestita di bianco
colorano come bimbi (età)
appuntamento mancato (menefreghismo, mancanza di rispetto, mancanza di attenzione, mancanza del mettersi in gioco fino in fondo)(anche nel sesso-eros): lei-rabbia per occasione persa; lui-si blocca
giocolieri
puzzle
quaderno nascosto (grillo) di paco: speranza, insicurezza. lola vuole leggerlo. non serve speranza di paco da ritrovare in lola perchè paco sceglie di vivere lola e si incuriosisce (chissà se anche lei è pura fino in fondo)