SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

lunedì 30 novembre 2009

Biglietto per Kukuwok

Hold on - tom waits

Ci vivrò con l'uomo coi rasta. Sarà una casa con tante porte e nessuna piscina; ci sarà una cantina col vino e puzza d'umidità senza topi. Percezione di fresco, ma senza topi a ballare. Ci metterò un tavolo bordeaux che s'intoni con la camicia vinaccia ed il mio vestito viola e ci sarà un biliardo per imparare a giocare. Appoggiata al biliardo non farò sesso banale e i bicchieri di whisky saranno al loro posto intanto che, palleggiando palle in buca, scriveremo le mie favole senza rospi e la ragazza dal cappello francese sorriderà lo stesso battendo le mani.

Kukuwok è una località che il suo fiume non taglia, la accompagna girandoci attorno e attorcigliandosi un poco. A Kukuwok i pesci non sono messi lì per caso, ma nemmeno per scelta o volontà di qualcuno, se non dei pesci. La scelta è quella dei pescatori che si ritrovano alle cinque di mattina, tre volte a settimana, nelle loro solitudini ai lati del fiume e pescano insieme. I pescatori sono soli con la musica del loro fiume, ma si guardano e condividono intimità.

Io penso ai pescatori di Kukuwok appoggiata allo schienale dei sedili posteriori di un'auto non mia che viaggia in avanti e curva ogni tanto in mezzo alla nebbia, nel buio. Chissà se a Kukuwok ci saranno, più tardi, i suonatori di fisarmonica. Chissà se sono gli stessi che portano le rose dentro ai bar la sera.
Al bancone di un bar di Kukuwok cosa ordinerei?

I tipi del karoke ai lati delle strade delle località balneari tipici come un piatto da mangiare seduti al ristorante con l'insegna incrociata dallo sguardo alla ricerca, non ci sono a Kukuwok. No. Se guardi a lato, mentre viaggi appeso agli sfondi filmati dal finestrino di un'auto non tua, trovi piazzole di sosta per la tua solitudine e dentro venditori di frutta a barcamenarsi tra il freddo e le cassette di mandarini e arance. Oggi ne ho comprate quattro, scorta per la guerra. Ci sarà carestia di risorse, ci sarà epidemia di questi occhi sporchi.
Ai semafori gli strilloni non gridano, inchiodati alla luce del primo mattino e silenziosamente girano con nelle mani coi guanti giornali che non hanno letto, donne a casa ad aspettarli, scaldandoglielo. Scriviamo tutti la storia. Gli strilloni girano tra le auto con dentro gli uomini in attesa di ripartenza che pensano. All'attesa di un semaforo verde di Kukuwok cosa penserei, io?

Viaggiamo senza traffico in questa Kukuwok che mi dispera e sperpera ragionamenti come rotolano le cartacce e lattine, ai lati, rotolate ai lati, sotto gli scalini dei marciapiedi su cui camminano le mie normali immaginazioni. Scalini su cui cammino tutt'ora da acrobata, se capita.

Serve l'attesa? mi serve la fuga per amarti?
Il farmacista di Kukuwok vende colori e regala sorrisi e abbracci. Sì, io vado lì col mal di testa e lui mi propone quasi ghignante un bel verde intenso.
Esco con la faccia stupita e, salito lo scalino che mi riporta sulla strada, riguardo il nome grigio ad illuminarsi fisso come un faro, non ho sbagliato e con le mani in tasca mi dedico quattro passi sotto il viale alberato. Poi sotto il portico, superata la ghiaia di cui mi porterò qualche sassolino a casa incastrato alla suola delle scarpe. Sotto l'arco, proprio all'angolo in cui la gente della piazza che ha deciso il mio percorso s'immette come fiume nella via della targa vecchia, c'è una banca. A Kukuwok in banca ti offrono dispetti senza interessi.
Ripenso alla farmacia; non so se abitando terrei una scheda anche qui per segnarmi quante volte ci vado. Gli scontrini li conserverei lo stesso: sono codici con cui scarichi poesie a fine mese.

Non è piccola Kukuwok, eppure non c'è la confusione cittadina di sera. Se t'affacci alla finestra e guardi avanti senti piccole voci che fanno i capricci e forse flebili suoni di piatti e posate. L'odore di benzina e il profumo d'inverno che arriva anche qui.
Sento dire: "tieni, cara, la meraviglia" ed è troppo strano anche per sembrarmi ipocrisia. Mi domando se si tratti di raccomandazione puntuale o regalo di un premesso natale con le luci già ad abbagliare le menti sui doni da inventare, ma Moro m'ha insegnato come vanno a finire queste storie e non ho, d'altra parte, idea di dove siano finiti i miei stivali di gomma per andare a sguazzare nelle pozzanghere. O magari a trovare i pescatori e farmi insegnare come si fa a credere ancora che nel fiume ci siano pesci e che una volta cotti a punto siano anche buoni.

Passano le stagioni ogni anno anche quando fanno confusione tra loro o sono sempre inquinate dagli uomini. Passa tutto col tempo, quanti uomini se lo ripetono e quanti vivono col disperato tentativo di non farlo passare. Sarebbe una bella partita al tiro alla fine, finirebbero tutti con la corda al collo come cappio, come accalappiasogni o illusioni, tutto speso in contraddizioni.

Ti sto scrivendo una lettera d'amore, uomo coi rasta. Te la scrivo appoggiata alle arance. Mettiamo su quel tavolo da biliardo, dai. Che c'entra. Ci sono tante porte nella casa con la cantina. Una giusta per noi la troviamo. Sì, lo so, che t'ho incrociato per caso, con lo sguardo che fugava e tu non sai nemmeno, ma il tempo passa.
E io scrivo sempre le mie lettere d'amore ad indirizzi sconosciuti. Tu no?
A kukuwok lo fanno in tanti di più di me sola.
Ti scrivo:

Who you are - tom waits

"Trattami come un libro, fatto di parole e immagini e copertine spesse a non rovinare le pagine pur rileggendole e portandosi appresso. Capiscimi come un libro, nella mia natura, ti sia sufficiente. Separa le parole dalle ore vissute insieme e un po' piangi perchè non puoi trascorrere il tempo di quella sera con me. Nudi, a lavarsi, col nostro gettone in mano per i momenti liberi che ci siamo regalati. Ricchi. Ricchi da costruire una casa grande con cantina e odori. Uomo coi rasta, non mi vivere come una bicicletta, non funziono uguale ad un'altra. Non passeremo mai quella nostra sera, non mi ameresti più se succedesse. Tu non fuggi davanti ad un libro che t'interessa eppure ti senti tccato più che dai miei occhi malinconici che non vedi. E ti viene da piangere ora perchè non mi vedi gli occhi, non puoi che immaginarti. Se fossi lì ogni sera comunque non ti accorgeresti che piangono i miei.
Il libro ti porterà il bacio che racconto e magari per un altro. Ne sentirai l'emozione e lo vivrai più dei miei occhi di malinconia pieni di pagine lette e scritte. E viste. Ogni giorno che ti vivo accanto, a un passo, a un tocco, a un soffio.
Serve la distanza? Serve a proteggerti la copertina? no, per proteggerti da quei venti invernali e da quei freschi devi viverli, metterteli in casa e avere gli occhi che ne fanno specchio che non dovrai comprare nè veder sempre giovane. Ed è allora che sarai uomo ed in quella tristezza ti sarò solidale come maglione che conosci a memoria, come forma d'amore.
Se fossi anche stasera lì nella cattedrale in cui t'ho incontrato, mi nasconderei dietro un pezzo d'un tuo braccio, mi prenderei un po' di calore. Gesti strani i miei. Automatismi selvaggi della mia natura. C'è un limite di caratteri, di battute, di amici, di inviti e non lo voglio sapere, non lo riesco a capire. Vorrei sapessimo recitare con gli occhi e avere Cristo che ci guarda le spalle e non ride un po' in tanti, un po' più di ora.
Partiamo tutti per Kukuwok, tutti quanti. Pavia non l'ho visitata, ma partire su un treno a casaccio è cosa diversa dall'inventarsi un posto sullo stesso o immaginarsi un bacio e farlo in un libro di fotografie da scriverci alle spalle al posto d'un Cristo dipinto. Dipingere un vetro e farci una cattedrale è cosa diversa dall'esserci stati dentro e aver guardato il colore o attraverso. Kukuwok è situata in uno spazio che accoglie un mondo proprio, mentale, interiore, unico e solo, che non tutti sentiamo coraggio di vivere, di scrivere e responsabilità di cercare.
Il biglietto l'ho stampato e vidimato io in questa lettera a te, in questa piccola cattedrale dopo che ti ho guardato aggiustare i volumi del mixer intanto che regalavano il rosone.
Ho il cappello francese e lo sguardo che non spiega, non mi sono accorta se mi hai vista. Ho raccolto il suono delle campane di tutte le ore del giorno, oggi e te l'ho riproposto tra le volte di fumo delle sigarette non accese per non dar dispiacere, per non infastidire. Quelle di cui però si mantiene la voglia. Rispetto e libertà sono contraddittori come lo è stato guardarti ed essere interessata all'altare della cattedrale. Tu, in disparte, a giocare a nascondino da solo, dietro la colonna. Non ti ho dato la lettera per non darti fastidio, mentre resto in silenzio ogni giorno con una parola in più da regalare ai fogli, da delegare ai figli. E lo sai che non lo farò mai davvero, lo hai capito fin da adesso, lo sai che io non ci riesco, lo sai quanto mi fa male questo.
Atroce distacco che non provo da questo eterno vivere in stanze d'albergo del mio capo scosso e dei miei capelli sciolti o agghindati di una pinza infilata a casaccio come tiene i fogli di lettere da arredarci una cantina in una casa affittata al costo d'un regalo, dentro una località che non esiste, che è uno sbaglio surreale in stazione, mentre col brusio che ha ogni stazione e di cui non tutti s'accorgono e che a non tutti piace, aspetti di sapere il binario per la tua destinazione. Uomo che con i rasta t'accompagni in stazione con tutti i tuoi volumi nella testa adesso scombinati in maniera diversa. Capelli miei sciolti sullo schienale del sedile posteriore dell'auto non mia ad accarezzarmi l'animo e il capo e farti vedere gli intrecci al posto delle tue mani. Arrota, arriccia, arrovellati, accalorati sotto un pezzo di braccio, accavallati ai suoni della cattedrale e dì qualcosa perchè duri ancora un po' questo concerto di archi.
Spiccio è un fumetto che non hai ancora letto, l'ho inventato io e siamo, a Kukuwok, tanti di più di quelli che non immagineresti adesso. Alza lo sguardo, uomo coi rasta, togliti per un attimo quella malinconia dagli occhi, riconoscimi chè ti sono accanto. E' tutto in un accento diverso, in una località che abbiamo immaginato uguale, in un orizzonte che ci sta ad aspettare. Ma il tempo passa.
Tremenda voglia di appoggiarti la testa alla spalla, amore sconosciuto per qualche tempo come la sigaretta, che sei qui a un passo, un soffio, anche quando ti penso tra palco e platea dove mi trovo sempre un pezzo. Capita a Kukuwok di trovarsi ai piedi un cartoncino per portarlo a casa e completare il puzzle. Ieri il mio era rosso, ho intuito che l'immagine finale debba essere un arcobaleno banale, una serenità sostanziale, una speranza per una pioggia meno o più fredda a seconda del calore e dei gusti e della libertà individuale di viverla o guardarla dal vetro, appesi a finestrini e finestre e rosoni da cui sbirciare la vita. Platea e palco uguali per me, con te. So che ci sarebbe la complicità tale per un viaggio a Kukuwok, insieme, insieme come pescatori s'intende. La vedo nell'aria anche ora che non ci siamo incrociati di faccia, anche ora che non ci sei e forse ti confondo e sfocando la tua immagine trovo quella d'un altra bicicletta che dovrei pedalare in un viale alberato di quelli che amo, con la ghiaia e il portico di lato."

Si mischiano nella nebbia le idee di una solitudine obbligata e quella dello spirito di unione solidale che mi dà quella consapevolezza di essere dello stesso gir di giostra. Pure se le mie parole quando sento le tue mi sembrano accostate male, pure se non ti riconoscerai nel mio sguardo su di te.

Ogni Kukuwok nasce da una delle nostre deviazioni mentali a cui attacchiamo nomi come figli. Folli, com'è folle qualche figlio, com'è folle il sapere di non essere sola ogni volta che entro nella mia personale cattedrale incrociando il contatto con qualcuno come l'uomo coi rasta. E lo sappiamo quasi tutti, quando sposiamo idee, immagini, speranze, progetti, senza contratti, persone e affetti, come si fa a Kukuwok dove si mettono sull'altare i pensieri con un Cristo qualsiasi a guardargli le spalle, noi stessi. Si dice che quando si guarda una stella cometa, ma facciamo pure un arcobaleno, si esprima un desiderio. Il mio desiderio di natale in questa pioggia sottile che piove da sabato, è che ci siano alcuni abitanti in più per Kukuwok, qualcuno più di ora, che ce lo si dica con una lettera da tenere sotto braccio e che sarà una sorpresa. Che si guardi un po' di più alla finestra della propria casa con cantina, della propria cattedrale, che ci s'impegni l'attenzione, con interessi, per accorgersi di quando il reggiseno azzurro è appeso fuori dal vetro di fronte a dondolare sul filo come fosse un acrobata dentro a un cielo pieno di azzurri come lui che ci saran voluti chissà quanti tubetti a dipingerlo. Con le personali solitudini, come pescatori sul fiume di Kukuwok che all'amo hanno arte e pescano altro di bello.

Senza far rumore - Daniele Silvestri

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