SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

giovedì 29 luglio 2010

(Se) stasera sono qui... :p

Stasera sono qui.

E mi sa che mi tocca. Stasera - forse - prima mia lettura pubblica di robe mie (e prima partecipazione ad una slam poetry)

mercoledì 28 luglio 2010

Prendi una stella - Le lettere nascono anche un po' così

Pensavo ti fossi lasciato con lei visto che, ad ogni mio accenno, dicevi che era un tasto dolente parlarne e visto che te l'eri presa quando al tuo 'non è piu tempo di discussioni' avevo risposto 'bene', leggendola in positivo. 
Quando ho saputo che non era cosi m'è preso un mezzo dispiacere, per assurdo, perchè ho capito ulteriormente che eri tornato a pensare a noi proprio solo ed esclusivamente perchè ti manca il sesso con me (per quanto sia portata a pensare che in questo con la tua fidanzata vada bene visto che sei cosi innamorato di lei e che credo il sesso sia una parte importante di un rapporto) e nient'altro. Come sai, ricordo e ho condiviso insieme a te quell'alchimia, ma ho sbagliato sensazioni nell'averci visti entrambi anche in altre cose e questo m'infastidisce. 
Da un diverso punto di vista sono stata ben contenta, invece, del ricevere la conferma che state ancora insieme: sia perchè ho cosi preso coscienza che stai ancora bene con la tipa che ti mancava e ritenevi/ritieni molto importante tanto da essere stato distante dopo che avevi condiviso quel tempo, a marzo, con me; sia perchè per qualche attimo mi è balenato per la testa che l'impressione che ho io, da esterna e sapendone tutto sommato molto poco, del rapporto che vivi, è quella di una specie di bagaglio che non riesci a scrollarti di dosso e che dunque l'idea che ci fossi riuscito mi portava a vederti come una persona più coraggiosa di quella che in alcuni momenti ho visto; sia perchè cosi l'aver dovuto rifiutare le possibilità di rivederci che mi hai proposto ultimamente mi dà la sensazione di non essermi persa 'tutto' quel che magari potevo pensare di essermi persa. 
Nei giorni in cui pensavo ad un nostro eventuale re-incontro e in cui ci siamo risentiti un po' di più ho avuto due sensazioni contrastanti. La prima: che molta della complicità originaria (quella dell'sms da via Caetani e della serata in radio piuttosto che di altre piccole cose "insignificanti" ) fosse sparita. La seconda: un senso di nostalgia verso quelle cose che a mio avviso fanno parte di te che a me piacciono e che un po' sottilmente stavano facendo risentire che in fondo ci sono anche se tu sei concentrato su altro. 
So che queste parole possono essere quasi sicuramente fraintese, interpretate come permeate di qualcosa di diverso da ciò che dà loro vita o possono, più facilmente ancora, passare in mezzo a una nebbia d'indifferenza totale. Te le dico lo stesso non so nemmeno bene perchè. 
Hai significato, pur brevemente, una sfumatura importante per me perchè per qualche frangente mi hai portata a sentire come possibile qualcosa che normalmente la realtà tende a cercare di farmi credere illusorio. Mi hai ricordato il rapporto con una persona che per me è tutt'ora importantissima e che tre anni fa mi sconvolse la vita. Tra noi, in qualche tempo, ho percepito uno scambio di qualcosa di più simile ad un rapporto-come lo intendo io rispetto a quello che vivo, per quanto abbia io sempre scisso il primo dal secondo. Con te ho vissuto dei momenti, alcuni virtuali, altri durante quel tempo insieme, in cui tra noi c'è stata una maturità diversa di fronte alle cose rispetto a quella che sono abituata ad affrontare, una complicità ed un confronto vivi, ch'appassionano, con una persona non per forza simile a me caratterialmente, ma con cui ci si potesse appunto scambiare qualcosa mischiandosi pezzi. E mi è sembrato che di pezzi, di me, non dico ne avessi capiti, ma ne avessi percepiti, sfiorati, te ne fossero arrivati, più d'uno. Ed allora diventa condivisione e senso di rassicurante e rasserenante, perfino felice, comprensione rispetto invece alla compressione che magari pare di vivere in molte altre situazioni di vita; libertà di essere se stessi, insieme. 
Inizialmente potevano essere sensazioni solo superficiali ed appunto virtuali, quando siamo stati più vicino sono state confermate e amplificate e anche per questo il tempo insieme per me è stato bello. Su alcune di queste cose ho cambiato poi abbastanza opinione, quando sei ripartito, un giorno in cui mi hai detto alcune cose o più recentemente, ma un po' questo sentore generale ed in certi aspetti o ricordi molto preciso rimane tutt'oggi a legarmi ancora, talvolta, al tuo pensiero. 
Probabilmente sono cose che vanno vissute così, sul momento, come luci che illuminano un po' la strada e che poi si spengono quando fa giorno, ma rimangono lì, a ricordare, un po' confuse nel resto, che è bello quando riesci a incontrarle e vederle. 
D'altra parte sono romantiche e pericolose insieme anche le stelle e, quando ci punti su gli occhi, come incroci di solitudini sembrano svanire e lampeggiare a seconda dell'attimo e dalla posizione in cui ti metti a sbirciare che fanno. D'altra parte anche le stelle, però, non si possono acchiappare. 
Scusa lo sproloquio, ciao. 

h.n. 
28/7/2010 
12.34

lunedì 26 luglio 2010

La ragazza della sceneggiatura

Seduta sul divano accanto a me
mi racconta la sua sceneggiatura
o la sua vita: è impreciso il confine
tra sogno memoria invenzione e realtà:
è tutto vero mentre lo racconta
e soprattutto
rimane vero dopo raccontato.

Le nostre spalle, le nostre braccia distano
qualche centimetro: se lei s’avvicina
sento un calore come quando sfiori
un ferro acceso: avverti il pericolo
di ustionarti, se il gesto non è attento,
se non è misurato. E mi accorgo
che mi allontano, sorprendentemente
– seppur di poco – mi allontano, mantengo
quei centimetri, scivolando più in qua.

È una precisa sensazione fisica:
non è dentro la testa, è sulla pelle.

Poi però, mescolando fogli di appunti
scarabocchiati e disegni e libri aperti,
le nostre braccia aderiscono così
come se non avessero voluto
e non c’è più quel calore violento:
il contatto non brucia, ma nemmeno
è tiepido, né freddo – non c’è differenza
di temperatura percettibile, quasi
non si sa di toccarsi.

Allora anch’io le racconto qualcosa
della mia vita.



Carlo Molinaro

In ogni caso casa

Solo lui, mamma ed io in casa e papà continuava a pormi domande su mia sorella per sapere con chi fosse uscita quella sera, che posti frequentasse e quali pensieri avesse in testa in quel periodo. Usciva con un ragazzetto conosciuto a scuola, ma a lui non bastava sapere questo. E poi anche di mio fratello voleva che spifferassi ogni cosa, convinto poi che io dovessi sicuramente esserne a conoscenza. 
Mi rifiutavo di dire più di qualche parola di rassicurazione e lui continuava ad insistere. 
Mamma aveva cercato d'intervenire, ma lui proseguiva imperterrito e nemmeno per una reale preoccupazione, ma spinto da quella curiosità morbosa e un po' folle che da qualche tempo gli si era poggiata sugli occhi, nelle mani nervose con cui arrancava nello spiegarsi e sembrava palleggiarsela tra le dita senza sapere che farne egli stesso, nei suoi movimenti mentre passeggiava su e giù per le stanze. 
Non avevamo, lui ed io, un rapporto sereno e di stima da un po' di tempo. 
Prese ad assumere un atteggiamento ruffiano convinto di ottenere di più. 
Cercai sfogo con mamma e lui impedì qualsiasi reale confronto così preso da se stesso e dalle sue manie. 
Obbligò un momento che non volevo vivere in cui dovetti assistere alle sue dichiarazioni d'affetto nelle quali comunque non riuscivo a credere più e faceva come se non se ne rendesse conto. Mi facevano male, lo vide, ma lui aveva deciso che doveva finalmente dirmi i suoi sentimenti e dunque anche che io dovessi aver voglia di starlo a sentire. Iniziai a piangere e gli ripetevo di smetterla, ma pensò educativo e giusto continuare. Mi chiedeva allora se sapevo che mi voleva bene e mentre me lo ripeteva prese pure a poggiarmi qualche carezza crudelmente tenera ed illusoriamente paterna sui capelli. Ad ognuna sentivo un fastidio all'altezza del collo, dietro, sulla nuca e come un senso di solletico ad intensificarsi via via divenendo dolente. 
Aggiunse quindi un suo sfogo, con nello sguardo un'insana allegria mista a delirio e declamò, come motivassero i comportamenti avuti negli anni, che era gay, sì, gay e finalmente poteva confessarlo; che il periodo della P2, delle stragi, del governo Andreotti, non c'eran cazzi, gli era rimasto addosso e aveva determinato pesanti ripercussioni sul suo essere e, ancora, che oggi, invece, i videogiochi gli avevano rivoluzionato la vita e riusciva ad essere se stesso. Ero impressionata e allo stesso tempo impassibile di fronte a quel parossistico vaneggiamento di cui non m'interessava, non vedevo senso e correlazioni, logica. E non percepii nulla di ciò che continuava ad elencare come giustificatorio delle sue assenze e, prima, delle sue ansietà pesanti. 
Casa era quella della mia infanzia ed io nella mia poltrona-letto con alle spalle la finestra aspettavo il rientro dei miei fratelli o un imprevisto qualsiasi che riportassero insieme ad un vago equilibrio anche la serenità cui quel pomeriggio avevo invano ambito.

giovedì 22 luglio 2010

Questa notte è per te

Il capo aveva sbagliato i conti, ma di fronte ai due allegati che gli avevo presentato nella cartellina della pratica, lasciatagli sulla scrivania, che lo testimoniavano, l'aveva finalmente ammesso. Ne avevamo sorriso ed io lo avevo baciato salendogli in braccio su quella poltrona da ufficio con le rotelle che ci facevano essere instabili. Lui al lavoro preferiva di no per via dell'ampia vetrata di fronte alla scrivania per cui avremmo potuto dare scandalo.
Gli ho sussurrato maliziosamente che, quella sera, prima della cena fuori già organizzata con la famiglia, mia sorella ed io saremmo passate da casa a cambiarci, lasciandogli prefigurare il progetto di una notte incandescente, lui ed io soli, nella casa in collina. 


A casa di nonno c'erano tutti: mamma, il suo convivente, mio fratello e pure zii e mia cugina ed ovviamente il padrone di casa.
Mia sorella ci mise un po' a confidarmi perchè si fosse ostinata nell'improvvisa decisione di non venire più a mangiare una pizza fuori e mi consegnò un foglietto con strane indicazioni appuntate e immediatamente di seguito disse, convinta, che ora sapeva perchè non poteva rimanere incinta come avrebbe voluto e la responsabilità la adduceva ad un mago dalle cui volontà non avrebbe potuto nè voluto prescindere perchè era divenuto il suo dio. Non voleva lo sapesse nessun altro perchè aveva timore che nessuno in famiglia le avrebbe creduto. Io intanto stavo cercando un abito dentro alla credenza e la convinsi poi, tutto sommato facilmente, a venire ugualmente a cena fuori con noi.

Proprio allora arrivarono tutti gli altri nella stanza e non feci dunque in tempo a concentrarmi su come affrontare un discorso più profondo con lei su ciò di cui mi aveva appena messa a conoscenza. Mi resi conto invece di avere ostacoli anche in un tentativo di comunicazione con mia madre fosse pure inizialmente fatta di sguardi o accenni circa una necessaria conversazione da rimandare, che la mettesse comunque fin d'ora in allerta e mi portasse anche il suo aiuto, dunque, nel trovare il momento ed il contesto adatti. E queste difficoltà erano causate sia da problemi di coscienza rispetto alla fiducia che mia sorella aveva appena riposto in me investendomi di responsabilità e sia per la confusione venutasi a creare in casa. Decisi che si faceva obbligata la scelta di occuparmene successivamente, almeno dopo cena, ma intanto mi dissero che essa era stata annullata in quanto non si era più tutti concordi con il programma da giorni eppur condiviso. Insistendo per sapere chi fosse a non essere d'accordo, ottenni un nome, sconosciuto ed immediatamente dimenticato e mi dissero che il suo portatore si trovava in quel momento in bagno.
Unicamente mio fratello aveva protestato per la decisione di far fallire l'appuntamento della serata in pizzeria tutti insieme, ma dai parenti era stato etichettato come scorbutico e, anche con lui, erano poi giunti all'accordo con l'idea di un gelato insieme, da prendersi lasciando tempo a lui d'andare ad ordinare una pizza d'asporto per sè. 

Mi avvicinai al bagno e la porta era spalancata e la luce di dentro accesa e davanti al lavandino, intento ad aggiustarsi i capelli dalle punte che toccavano le spalle, un tipo molto alto, mai visto prima, e vestito da folletto. Di fronte allo specchio si pettinava con le mani che dopo ogni tocco risciacquava per averle umide e riprocedere con quell'attenzione rimastagli solo più negli occhi. Non si voltò verso di me. Con lui una ragazza dai lunghi rossi capelli ricci, anch'ella venuta chissà da dove, che sembrava conoscerlo bene e gli teneva compagnia chiacchierando. Anche lei non sembrò curarsi di me. Più che apparirmi buffi, mi lasciarono di stucco, ma ebbi comunque la prontezza di recuperare il discorso che m'ero ripromessa di fare e dunque esordii "scusa,tu, ma non è giusto che tutti non si vada alla cena di pasqua perchè solo tu non ne hai voglia!". A differenza di quanto m'avevan prospettato gli altri riguardo ad una sua improbabile disponibilità al dialogo, lui rispose che riteneva la mia rimostranza giusta e, senza enfasi nè far l'offeso e neppure con troppo distacco, ci anticipò che aveva intenzione d'andar intanto altrove. S'incamminò allora nel corridoio e prese l'uscio. Con lui la rossa che, un po' costernata e con tono capriccioso, rivelò, ormai già sull'ascensore, che preferiva seguirlo. 
Non mi sorse raccapriccio, ma lo sbigottimento a quel punto divenne vicino ad esser totale.


Non avevo cambiato vestito, ero rimasta con addosso una sensazione mista tra scetticismo e preoccupazione, stupita eppur senza risposta, come altrettanto me ne aveva suscitati l'appunto di mia sorella che frattanto ancora rigiravo tra le dita come mia abitudine con qualsiasi foglietto consapevolmente nelle tasche e che avevo test'è ridefinito come chiara prova della difficoltà di lei nell'accettare la realtà. ...di lei?..realtà?...

No, non cambiai affatto abito per la cena di pasqua: la prima promessa della mia giornata l'avevo così data in pasto a supposizioni confuse eppur lente a muoversi dalla mia testa come squali non ancora trovata la preda da sbranare.

E con mia sorella ci ritrovammo vestite uguali e tutti così dissero che sembravamo la stessa persona, come durante la nostra infanzia ci era stato assiduamente ripetuto in casi analoghi. Ed aggiunsero pure sorrisi soddisfatti e serenamente compiaciuti.


La pizzeria aveva di fronte all'ingresso un grande cortile ricoperto di ghiaietta bianca e grigia. Un tassello senza mosaico di quello sterrato pietroso mi si infilò, tutto avorio, nella scarpa da ginnastica e s'andò a impegolare sotto la pianta del piede.
Il cameriere venne fuori in quel momento e ci fece scorrere subito oltre l'ingresso: aveva finalmente trovato i posti per noi e si scusò, ma disse "siete in tanti!" con vaga contentezza o forse solo nascosto da professionale cortesia, ma in ogni caso rapido, toccandoci uno ad uno come per ricontarci ancora una volta, ci avviò dentro la sala in cui sui tavolini ed in taluni casi sotto a gomiti, bracci, polsi e piatti, risplendevano tovaglie bordeaux tutt'uguali con i loro orli dorati.

Nell'attesa dei menù, seduti infine in tre attorno a piccoli rotondi tavolini da due, avvicinati uno accanto all'altro come a formare una fila su di un lato della pizzeria, accanto al muro, non ci fu tempo per dirsi nulla più di banali reciproci inviti a guardare là un quadro curioso su una parete, qui un tovagliolo sulla tavola arricciato in modo fantasioso in corrispondenza del posto d'ognuno e presto accompagnato sulle ginocchia.

Poi tutti furono immediamente intenti a scambiarsi brevi commenti sui propri gusti, con gli occhi puntati sui libretti bianchi di cui sfogliare le pagine e a me venne improvvisamente incontro un antipatico senso d'insofferenza come fossi io, ancora una volta, a ritrovare i miei sentimenti distanti da quelli degli altri, percependo l'incapacità del comprendermi dentro a quei ritratti di visi rilassati e divertiti da cose per me di poco conto, di faticoso disinteresse. Volti, quelli, invece assolti dalla condanna di arrovellarsi su particolari per loro insignificanti, dettagli incondizionanti, di fronte ai quali preferire il farsi assorbire dalla piacevole e serafica apatia d'un non sapere anziché dalla curiosità d'approfondire ed interessarsi, guardarsi attorno, con la testa cercare altro.


Il sassolino nella scarpa disse la sua e mi ritrovai il pensiero perso tra garbugli di sensazioni accennate appena e come infilate nello shacker della mia mente e presumibilmente pure lo sguardo si fece più in là, solo di poco, nella ghiaia d'uno spazio altrettanto ampio al cortile pochi passi accanto, con il presumibile tempio d'una religione differente al fianco, illuminato in una notte fresca come sa essere l'aria della collina torinese che sposta le stelle mentre non puoi non accorgertene sentendoti immediatamente romantico sul muretto con gli occhi all'insù e sia pure buttando a terra il cartoccio della pepsi succhiata ormai tutta dalla cannuccia; una notte calda come sa essere la collina di Superga quando risuona della musica di due chitarre, una fisarmonica, un cajon, un'armonica e un violino, forse pure il canto d'un contrabbasso o un sax di lontano. 

Probabilmente anche io, dentro a quella pizzeria, davanti alla mia tovaglia bordeaux, avevo avuto per qualche manciata d'istanti gli occhi di faccia matta nel pensare ai fatti miei.
Era però intanto arrivata anche la mia "Carta" del menù "del Ristorante Sassi - Superga di Torino" e leggevo le definizioni delle pizze e delle birre scorrendo l'indice destro tra le righe, anche se già sapevo in cuor mio quali sarebbero state le mie scelte volte ad appagare la fame e la sete che lì, d'altronde, un po' c'accomunavano tutti. 
9.45   21-7-2010
h.n. 


lunedì 19 luglio 2010

Le paure di Nadine

Anche Nadine da piccola piccola non ne aveva o almeno così pareva.
Poi ha iniziato ad aver paura dei campanelli di casa, ma io la prendevo in braccio ogni volta che suonavano, all'inizio e poi le facevo solo più cenno con la mano di stare tranquilla e lei ci stava.
Poi ha avuto paura della lavatrice mentre gira ed io le ho detto che chiudendo la porta dello sgabuzzino non si sarebbe sentito più il rumore e sarebbe sparita per magia anche la paura. Mi ha creduta.
Poi ha avuto paura delle mosche se le ronzavano vicino alle orecchie (miii che odio, in effetti!), ma io le ho raccontato che le mosche sono delle pettegole e vanno nelle orecchie delle persone per raccontar loro i segreti che sentono in giro e che se lei non voleva sentirli sarebbe bastato che dicesse "no, mosca pettegola, non li voglio sentire i tuoi segreti, và via" e lei sarebbe volata subito lontana dal suo orecchio e se fosse tornata, perchè le mosche oltrechè pettegole sono anche un po' smemorate, avrebbe dovuto soltanto ripeterglielo. Lei ha iniziato a farlo. Se entra una mosca in casa la segue per un po' con lo sguardo, la indica e inizia a protestare.
Adesso ha paura dei tuoni, ma oggi le ho spiegato che quando tuona c'è il cielo che fa il mattacchione e fa tututututum per fare le boccacce, i versi e giocare e allora anche noi dobbiamo giocare con lui e rispondere con tututututum.
Oggi pomeriggio non sembrava avere paure, però lanciava Winny Pooh giù dal seggiolone e rideva.

giovedì 15 luglio 2010

Tra i tuoi fiocchi di neve e i miei fogli di te

(when you're irish eyes are smiling - bing crosby)


Ci baciavamo ch'era sera fatta, pure di più.
Come se fosse quasi usuale.
Era forse già capitato, una volta, prima; prima che in quella via dietro la piazza, dove i tecnici trafficavano con cavi e strumenti per smontare il palco nel vociare dei rimasti e dalla quale t'allontanavi di poco tu che con la chitarra ti pensavi di sistemare in auto.
Hanno ripreso tutto con una videocamera nera. E' stato uno. Non sono fisionomista e lui aveva il viso di telecamera in quella serie di momenti mentre io, poi, ti stavo baciando e non ci fregava molto d'altro.
Poi quell'ufficio, lì di fianco: unica lampadina accesa della via e persone dentro, intorno a una scrivania, che ti avevano conosciuto quando io non sapevo, quando io non c'ero. La ragazza poi, sicuro, l'avevi baciata in tempi remoti. Ed era ancora sola, sottile e gelosa insieme. Siamo entrati, come s'evincerebbe dal video. Sul tavolo davanti al quale eravamo seduti sopr'a seggiole nere e acciaio persone ti scambiavano dei fogli; li dovevi firmare svogliato (era doveroso così). E intanto che la stampante li sputava via noi, seduti con le nostre sensazioni in bocca di complicità e familiarità improvvisa, ci guardavamo poco ed eravamo molto vicini e scherzavamo di niente con tutti come fossimo ad una cena d'amici in cui non ti mettevi a suonare ed io non mi distraevo nello scrivere sui tovaglioli con le dita.
Poco prima avevamo deciso di partire senza dircelo, insieme, senza bagagli a parte quella chitarra ora già in auto, neanche particolarmente bella, probabilmente già scordata a causa dell'aria umida. Un'auto che non so, d'intorno era buio tranne quell'ufficio e pure la videocamera era stata buia tutto il tempo, in quella via, riuscendo a non succhiarsi nulla di quel lungo nostro bacio nella sera in cui in un certo tratto di strada eravamo stati di fronte.
Mi sono svegliata ch'è stato bello, solo mio e viaggio ora nel mio vagone d'illusioni senza guardare al finestrino e ti penso davvero forte, tu che sei partito l'altroieri e oggi sei stato, lo immagino, ancora in auto. Secondo me siete arrivati nella sua città così. E tu forse stanotte avrai baciato una diversa da me in un istante buio o in una arteria di paese o invece avrai creduto di farlo dentr'alla stanza d'albergo, lei tua per una notte, estranea abbastanza da esserti familiare e piacerti e poi ti sarai svegliato che ci pensavi o invece avrai dormito su altro.
E lui pure, chissà quanto ha saputo esser banale stanotte.
Quando sarà scuro, tra una manciata d'ore, chè oggi scivolano via di fretta, sembrerà una lampadina sola, gelosa e irriverente, sul palco da cui sputerai fuori di bocca le tue sensazioni da dire e lui per una volta non criticherà; io sarò forse tra chiacchiere amichevoli o in una cena famigliare con lo sguardo di chi è altrove e sembrerà avvolgermi una strana aura colorata, mi si spezzerà come una corda, ma ci saranno una serie di attimi in cui stasera ci ritroveremo di fronte in tre senza saper dire se si possa definire sogno e chiamare illusione.
Uno spicchio di luna vagabonda tutta per noi e i tuoi occhi si faranno piccoli come quando sai farli brillare.
15-7-2010
12.47
h.n.


Guarda fuori quanta neve
si è posata sopra i rami,
è l'inverno che ha deciso:
tu non devi andare via.
Sarà meglio che ti siedi,
sarà meglio che rimani
per scaldare questo inverno
della vita mia.
Senti fuori come il vento
sta gridando il suo dolore
porta il pianto senza fine
degli spiriti del nord.
Sarà meglio che mi abbracci,
sarà meglio far l'amore
per mandare via la notte
e per scaldarci un po'.
Passeremo notti insonni
qui davanti al fuoco acceso
e poi verrà la primavera
ad accenderti il sorriso
e festeggeremo insieme
quel momento tanto atteso,
ruberò gocce di pioggia
per posartele sul viso.
Rideremo del dolore
perchè il dolore non fa male
e poi voleremo in alto:
due gabbiani sopra il mare.
Con la luce delle stelle
scriveremo il nostro nome
metteremo in tasca i sogni
e li spenderemo qua.
Rideremo della morte
perchè la morte non fa male;
fuggiremo dalla guerra,
fuggiremo il temporale
e nei giorni d'avvenire
scriveremo il nostro nome;
metteremo in tasca i sogni
e li spenderemo qua.
Guarda fuori quanta neve
si è posata sopra i rami.
E' l'inverno che ha deciso:
tu non devi andare via.
(neve - federico sirianni)

lunedì 12 luglio 2010

Piango in faccia

Piango. L'ho fatto spesso per te. Talvolta a lungo. Anche iniziando da possibilità diverse rispetto alla tua faccia scolpita nella mia mente con sempre meno nitidezza di giorno in là. E non se ne va.
Neanche adesso che piango; una di quelle volte ch'è a lungo e non accadeva da tanto. Una di quelle che comincia per altro.
Mi chiudo la testa nel mio abbraccio quasi sempre se piango. Non me ne vergogno: sono gelosa di lei; protettiva; la amo.
- Da quando per amarsi bisogna proteggersi? - sembri dire tu - Poi te... te che ti basti da te...
E infatti. Infatti piango, oggi, perchè mi manchi. Mi manca che tu sia geloso della mia testa e protettivo di lei. Mi manca di mancarti quando non ci sono da mesi, e mesi.
- Ma io ti vedo sempre qui - mi diresti.
E invece non mi vedi. Eppure sono spesso o talvolta una sfacciata e mi metto al centro dell'attenzione prima che della scena. In teatro si dice che anche al centro del palco, se stai immobile, dalle sedie si recepirà chiaro come l'azione vera si stia svolgendo altrove. Invece no. State a guardare gente immobile, scene ferme da anni, ed io che vigilo con i miei segnali stradali sotto braccio e sul capo, resto nella mia ombra affezionata. Sono protettiva pure di lei anche se è libera di non cucirmisi addosso.
Piango, a lungo, anche per te e non alzo la testa perchè tanto s'è scossa al punto da aver paura che tu ci sia.
Se la alzassi, magari scoprirei che questa mano che m'accarezza non è di un lui, ma tua e che sei dunque qui come per magia di quelle dei film, che creo. Magari solo perchè penso che mi stai immaginando e non piango nei tuoi disegni, in quelli mai, perchè non ti domandi come sto: che son forte lo sai.
Berrei più d'un caffè con chi mi vede fragile, è per questo che scappate. Siete pochi e aver la forza di mettere le proprie debolezze in faccia al mondo e a sè è da ancor meno. Non da te che non sai come prendermi, non sai dirmi "basta" e alzarmi sostenendo il mio peso, non sai.

venerdì 2 luglio 2010

Sogni a metà

"Chiedermi di scriverti una lettera non è previsto. Le lettere chiedono loro di essere scritte quando è tempo. Visto che però tu e questo foglio mi avete posto la stessa richiesta coincidentalmente e che mi sei simpatico vedrò di accontentare un po' tutti. Primo il mio bisogno.."

Non era un bisogno e, in cerca della parola corretta, avevo finito per accartocciare la lettera in una delle tante palline di carta ad accumularsi come sul tavolo di qualsiasi buon film in cui un personaggio s'impegna a scrivere qualcosa.

Forse non avevo neanche voglia d'epistole e d'amore e non perchè non provassi ancora una vera e propria esigenza di sentire lui vicino, ma perchè mi mancava l'urgenza di dovergli comunicare di me, dei miei pensieri.
Nemmanco mi sarei messa a ritrarre il profilo dei miei sentimenti su carta per il piacere di giocare con le parole perchè pure di un puro esercizio stilistico avevo quasi integralmente perso il senso e sarebbe comunque stato rischioso laddove alle parole si fossero fatte corrispondere dichiarazioni di sentimenti.

Lo avevo conosciuto durante i festeggiamenti seguiti ad una cerimonia cui ero stata invitata da mia cugina e non so bene per quale genere di rapporti lui fosse lì. Non lo avevo mai incontrato in precedenti occasioni, ma è anche vero che in quella famiglia s'era sempre seguito il vezzo di considerare "amici" tutti coloro che dopo una scarsa manciata di mezze giornate non si fossero, ancora, allontanati dagli atteggiamenti tipici di quella gente e che io, ad esempio, mal sopportavo da tempo. Ebbene, queste abitudini non erano dovute ad un moderno promiscuo intendere le relazioni, bensì all'esaltata e per qualcuno evidentemente esaltante necessità di dimostrarne una qual si voglia forma non essendo mai riusciti nella vita a mantenerne una che fosse sincera, neppure con prole e consorti. Analisi sociologiche più o meno dritte o inerenti alla situazione che vivevo non m'interessavano.

Lui era a quella festa, con la camicia bianca sbottonata di tre e gli occhiali da sole a coprire la luce che mi piacque inventarmi nel suo sguardo, la schiena appoggiata alla ringhiera del terrazzo e un insana attrazione col manifestare carisma in minimi gesti; io c'ero stata; ci eravamo incontrati e non me lo toglievo dalla testa e spiavo un poco i discorsi fatti alla tavola di casa dei miei nonni laddove sentivo che trattavano di lui. Recentemente dell'affascinarmi erano stati artefici i fatti e forse, per il resto, solo lui. Ecco che l'altrettanto potere di seduzione, pari al puro stato delle cose non corredato da opinabili opinioni di sorta, che lui da me riscuoteva, alla tavola e di fronte ad un mio mal celato interesse verso l'oggetto della conversazione che non mi vedeva, per altro, coinvolta, s'era in effetti già reso oggetto di loro traduzioni improprie che lo vedevano addobbato di immagini tarocche raffiguranti una improbabile me in preda a un - forse da quei paventato - innamoramento fatale.

La misi sul piano dell'ironia come probabilmente sempre sarebbe comodo fare con individui coi quali un tentativo di confronto maturo non è in vero fruttifero nè proprio possibile.
Mia cugina invece prese intanto a telefonare proprio a lui forse per cercare in me un qualche barlume di gelosia che non poteva cogliere visto che non ne manifestai o la scintilla del sentimento che già mi vedevano vestire senza che fosse niente meno e niente più che una sola, solo loro, illusione.

Un paio di risatine ed un telefono messomi in mano.
Avrei potuto incominciare in quell'istante a presentargli la lista dei documenti, che un amico mi aveva raccomandato di non dimenticarmi di richiedere, necessari per un attento studio preventivo di fattibilità, rispondenza, impatto ambientale, praticabilità, feedback, norme ISO, conformità al CCNL, quality control, target analysis, effect management, misure di sicurezza, uscite di emergenza, test beta, gamma, delta, omicron, zeta, rescue, recover, ripristino condizioni iniziali, CTR+ALT+CANC, task manager, verifica materiali, verifiche spirituali, resistenza alla pressione, alla torsione, attestato NACCLA [=NonAndràComeConLAltro], certificato antimafia, certificato vaccinazioni, certificato che mi ami anche tu se no mi fermo prima di cominciare, garanzia ricambiati o risanati, polizza kasko-(solo-se-kaski-tu).

E' ripensando a quel momento lì che ho capito che non mi sarei trasformata in una delle donne di Leonardo perchè io viaggio da sola.

Le donne di Leonardo sono due e a condividere un uomo com'è lui forse loro si trovano bene. Oppure si contendono il tempo da dividere con lui e tra loro invece nemmeno un saluto se s'incrociano in strada, pure se sanno.

Io ho tradito due volte ed in tutt'e due le circostanze non un uomo, ma la sua convinzione che io stessi facendo il suo viaggio o un percorso con lui. Non aveva compreso ancora; nemmeno ho potuto spiegargli meglio. Prima mi firmavo sua e non ho mai mentito. Eppure non aveva capito, no.

Faccio incontri interessanti e nessuno ch'è ancora riuscito a fermarmi.
Menomale.

(cappello a cilindro - per non rallentare)


h.n.
2-7-2010
14.57