SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

giovedì 22 luglio 2010

Questa notte è per te

Il capo aveva sbagliato i conti, ma di fronte ai due allegati che gli avevo presentato nella cartellina della pratica, lasciatagli sulla scrivania, che lo testimoniavano, l'aveva finalmente ammesso. Ne avevamo sorriso ed io lo avevo baciato salendogli in braccio su quella poltrona da ufficio con le rotelle che ci facevano essere instabili. Lui al lavoro preferiva di no per via dell'ampia vetrata di fronte alla scrivania per cui avremmo potuto dare scandalo.
Gli ho sussurrato maliziosamente che, quella sera, prima della cena fuori già organizzata con la famiglia, mia sorella ed io saremmo passate da casa a cambiarci, lasciandogli prefigurare il progetto di una notte incandescente, lui ed io soli, nella casa in collina. 


A casa di nonno c'erano tutti: mamma, il suo convivente, mio fratello e pure zii e mia cugina ed ovviamente il padrone di casa.
Mia sorella ci mise un po' a confidarmi perchè si fosse ostinata nell'improvvisa decisione di non venire più a mangiare una pizza fuori e mi consegnò un foglietto con strane indicazioni appuntate e immediatamente di seguito disse, convinta, che ora sapeva perchè non poteva rimanere incinta come avrebbe voluto e la responsabilità la adduceva ad un mago dalle cui volontà non avrebbe potuto nè voluto prescindere perchè era divenuto il suo dio. Non voleva lo sapesse nessun altro perchè aveva timore che nessuno in famiglia le avrebbe creduto. Io intanto stavo cercando un abito dentro alla credenza e la convinsi poi, tutto sommato facilmente, a venire ugualmente a cena fuori con noi.

Proprio allora arrivarono tutti gli altri nella stanza e non feci dunque in tempo a concentrarmi su come affrontare un discorso più profondo con lei su ciò di cui mi aveva appena messa a conoscenza. Mi resi conto invece di avere ostacoli anche in un tentativo di comunicazione con mia madre fosse pure inizialmente fatta di sguardi o accenni circa una necessaria conversazione da rimandare, che la mettesse comunque fin d'ora in allerta e mi portasse anche il suo aiuto, dunque, nel trovare il momento ed il contesto adatti. E queste difficoltà erano causate sia da problemi di coscienza rispetto alla fiducia che mia sorella aveva appena riposto in me investendomi di responsabilità e sia per la confusione venutasi a creare in casa. Decisi che si faceva obbligata la scelta di occuparmene successivamente, almeno dopo cena, ma intanto mi dissero che essa era stata annullata in quanto non si era più tutti concordi con il programma da giorni eppur condiviso. Insistendo per sapere chi fosse a non essere d'accordo, ottenni un nome, sconosciuto ed immediatamente dimenticato e mi dissero che il suo portatore si trovava in quel momento in bagno.
Unicamente mio fratello aveva protestato per la decisione di far fallire l'appuntamento della serata in pizzeria tutti insieme, ma dai parenti era stato etichettato come scorbutico e, anche con lui, erano poi giunti all'accordo con l'idea di un gelato insieme, da prendersi lasciando tempo a lui d'andare ad ordinare una pizza d'asporto per sè. 

Mi avvicinai al bagno e la porta era spalancata e la luce di dentro accesa e davanti al lavandino, intento ad aggiustarsi i capelli dalle punte che toccavano le spalle, un tipo molto alto, mai visto prima, e vestito da folletto. Di fronte allo specchio si pettinava con le mani che dopo ogni tocco risciacquava per averle umide e riprocedere con quell'attenzione rimastagli solo più negli occhi. Non si voltò verso di me. Con lui una ragazza dai lunghi rossi capelli ricci, anch'ella venuta chissà da dove, che sembrava conoscerlo bene e gli teneva compagnia chiacchierando. Anche lei non sembrò curarsi di me. Più che apparirmi buffi, mi lasciarono di stucco, ma ebbi comunque la prontezza di recuperare il discorso che m'ero ripromessa di fare e dunque esordii "scusa,tu, ma non è giusto che tutti non si vada alla cena di pasqua perchè solo tu non ne hai voglia!". A differenza di quanto m'avevan prospettato gli altri riguardo ad una sua improbabile disponibilità al dialogo, lui rispose che riteneva la mia rimostranza giusta e, senza enfasi nè far l'offeso e neppure con troppo distacco, ci anticipò che aveva intenzione d'andar intanto altrove. S'incamminò allora nel corridoio e prese l'uscio. Con lui la rossa che, un po' costernata e con tono capriccioso, rivelò, ormai già sull'ascensore, che preferiva seguirlo. 
Non mi sorse raccapriccio, ma lo sbigottimento a quel punto divenne vicino ad esser totale.


Non avevo cambiato vestito, ero rimasta con addosso una sensazione mista tra scetticismo e preoccupazione, stupita eppur senza risposta, come altrettanto me ne aveva suscitati l'appunto di mia sorella che frattanto ancora rigiravo tra le dita come mia abitudine con qualsiasi foglietto consapevolmente nelle tasche e che avevo test'è ridefinito come chiara prova della difficoltà di lei nell'accettare la realtà. ...di lei?..realtà?...

No, non cambiai affatto abito per la cena di pasqua: la prima promessa della mia giornata l'avevo così data in pasto a supposizioni confuse eppur lente a muoversi dalla mia testa come squali non ancora trovata la preda da sbranare.

E con mia sorella ci ritrovammo vestite uguali e tutti così dissero che sembravamo la stessa persona, come durante la nostra infanzia ci era stato assiduamente ripetuto in casi analoghi. Ed aggiunsero pure sorrisi soddisfatti e serenamente compiaciuti.


La pizzeria aveva di fronte all'ingresso un grande cortile ricoperto di ghiaietta bianca e grigia. Un tassello senza mosaico di quello sterrato pietroso mi si infilò, tutto avorio, nella scarpa da ginnastica e s'andò a impegolare sotto la pianta del piede.
Il cameriere venne fuori in quel momento e ci fece scorrere subito oltre l'ingresso: aveva finalmente trovato i posti per noi e si scusò, ma disse "siete in tanti!" con vaga contentezza o forse solo nascosto da professionale cortesia, ma in ogni caso rapido, toccandoci uno ad uno come per ricontarci ancora una volta, ci avviò dentro la sala in cui sui tavolini ed in taluni casi sotto a gomiti, bracci, polsi e piatti, risplendevano tovaglie bordeaux tutt'uguali con i loro orli dorati.

Nell'attesa dei menù, seduti infine in tre attorno a piccoli rotondi tavolini da due, avvicinati uno accanto all'altro come a formare una fila su di un lato della pizzeria, accanto al muro, non ci fu tempo per dirsi nulla più di banali reciproci inviti a guardare là un quadro curioso su una parete, qui un tovagliolo sulla tavola arricciato in modo fantasioso in corrispondenza del posto d'ognuno e presto accompagnato sulle ginocchia.

Poi tutti furono immediamente intenti a scambiarsi brevi commenti sui propri gusti, con gli occhi puntati sui libretti bianchi di cui sfogliare le pagine e a me venne improvvisamente incontro un antipatico senso d'insofferenza come fossi io, ancora una volta, a ritrovare i miei sentimenti distanti da quelli degli altri, percependo l'incapacità del comprendermi dentro a quei ritratti di visi rilassati e divertiti da cose per me di poco conto, di faticoso disinteresse. Volti, quelli, invece assolti dalla condanna di arrovellarsi su particolari per loro insignificanti, dettagli incondizionanti, di fronte ai quali preferire il farsi assorbire dalla piacevole e serafica apatia d'un non sapere anziché dalla curiosità d'approfondire ed interessarsi, guardarsi attorno, con la testa cercare altro.


Il sassolino nella scarpa disse la sua e mi ritrovai il pensiero perso tra garbugli di sensazioni accennate appena e come infilate nello shacker della mia mente e presumibilmente pure lo sguardo si fece più in là, solo di poco, nella ghiaia d'uno spazio altrettanto ampio al cortile pochi passi accanto, con il presumibile tempio d'una religione differente al fianco, illuminato in una notte fresca come sa essere l'aria della collina torinese che sposta le stelle mentre non puoi non accorgertene sentendoti immediatamente romantico sul muretto con gli occhi all'insù e sia pure buttando a terra il cartoccio della pepsi succhiata ormai tutta dalla cannuccia; una notte calda come sa essere la collina di Superga quando risuona della musica di due chitarre, una fisarmonica, un cajon, un'armonica e un violino, forse pure il canto d'un contrabbasso o un sax di lontano. 

Probabilmente anche io, dentro a quella pizzeria, davanti alla mia tovaglia bordeaux, avevo avuto per qualche manciata d'istanti gli occhi di faccia matta nel pensare ai fatti miei.
Era però intanto arrivata anche la mia "Carta" del menù "del Ristorante Sassi - Superga di Torino" e leggevo le definizioni delle pizze e delle birre scorrendo l'indice destro tra le righe, anche se già sapevo in cuor mio quali sarebbero state le mie scelte volte ad appagare la fame e la sete che lì, d'altronde, un po' c'accomunavano tutti. 
9.45   21-7-2010
h.n. 


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