Quante volte ho voglia di andarmene via, di chiudere i ponti di comunicazione che mi legano a te senza accorgermi ch’è già cosa fatta se no non starei così. Quante destinazioni avrei desiderio di conoscere meglio per scoprire se sono davvero come me le sogno in queste notti di lettere da scrivere e francobolli da appenderci su sapendo che li si sfiorerà appena tra le mani dei compaesani di lì. Sacchi di malinconie, mie, solite, da regalarmi in ogni momento in cui sento mancarmi qualcosa. Mi disturbano le distanze con ciò che amo. So che somigliano a bicchieri di sciocchi luoghi comuni, come li considererebbe chiunque soffre comunque, pur sbagliando magari.. ma chè si sbaglia a soffrire? Si può dire sì quando il dolore dimentica di riempire la pena di senso o quando pur tentenna nel rendersi conto che quei bicchieri sono brindisi di augurio anche per quei che alle feste stanno da parte, appiccicati fronte a un vetro a guardare di fuori e si ritrovano quasi dentro al disegno sul finestrone dove prendono forma i pensieri per le persone lontane ed i segreti di dentro misteriosi anche a noi. Poi tutto si rimescola nello scuro e ci si dice che in fondo è notte per tutti, ogni tanto. Bisogna scegliere quando?
C’è stato un giorno che ho deciso di dirti addio. Ci sono stati momenti di un numero stravolto di volte che ho rivissuto quel giorno, quel momento, quella voglia d’andarmene dalla tua vita dove m’accorgevo non esserci e mi faceva male. Non mi corrispondi dello stesso amore fatto d’attenzione e impegno e tentativo di rispetto per la tua realtà, è ora di farsene carico, lo riconosco, però poi tu arrivi e in punta di voce come danzando sulle mie attese vertiginose di te, in bilico mi dici soltanto che mi vuoi bene e allora non so più che fare, torno sui miei passi, mi ridefinisco contraddittoria ed infantile e riconosco la ragione in faccia. Testimonio convinta che te ne rivoglio. Non so dove sono più lucida, non so se posso capirlo, non so se c’è un ente che può decretarlo. Allora sono tutte lì in fila dietro il vetro le piccole avventure fatte di microscopici sguardi che per te non valevano forse nulla, sapevan di niente. Sono lì e aspettano che io le riconosca, imbracci la mitragliatrice di parole per spiegarti il motivo per il quale mi fai male lo stesso o quanto mi fa bene sentirti vicino. No, rimango zitta, li studio tutti quegli sguardi, ci faccio su analisi e ne scrivo in poesie, ridisegno i ritratti delle nostre sagome coi pugni negli acquerelli e ci devo aggiungere i fumetti…perché nei ricordi sono momenti zitti che di quelle parole mitragliate non hanno più voglia né intenzione. Solo di viverli, vorrei ancora. Solo viverli vorrei ancora che tu volessi. E poi si ricomincia.
Ritornano pesanti i passi di questo percorso, per me che mi trovo piccola dentro le orme del tuo stivale. Mi ritrovo impotente dentro quest’Italia così troppo grande per percorrerla più veloce quando vorrei un abbraccio vero o gli occhi, ma tuoi, per provare a chiederti che c’hai dentro: se follia, rabbia o paura. Tensione, m’han detto; sottili.
Perplessa mi dico che non devo, non devo, non devo andarmene né forse so costruire sceneggiature per i nostri incontri. Compiango il fatto che quando ho avuto modo di te non avevo scelto scenografie a dispetto dei miei convincimenti su filosofie strette. Mi ricordo di come è nato tutto, così, senza che ci aspettassimo che avrebbe odorato d’assurdo, di strano, di ma…gico mai. Sono umane le nostre intrecciate mani e vite in viaggio scelto ogni giorno. Non c’era altro che natura dentro di noi come oggi. Come negli oggi che ci passano di fianco, attutiti o disperati.
Mi appiglio a corde di pretesti sgangherati per fare braccio braccio tutta la passeggiata con le mani diventate rosse attaccandosi sbarra per sbarra di ferro. E i piedi a venti-trenta cm d'altezza dalla terra che non toccavamo neanche prima, come degl'impiccati direi adesso. Quella sofferenza braccio braccio, attenta, m’era produttiva per imparare qualcosa. Per dare forza ad una vittoria che sapeva di vita anche a 8 anni quando di vita si poteva dire come proverbio che non dovevo saperne niente. Eppure era sofferenza felice quando alla fine mi buttavo giù. Lanciandomi senza guardare nemmeno di sotto.
Così dovrei fare anche ora, lo so. Come ai giardini pubblici pieni d’infantilismo sicuro, generoso, incantato, imperfetto, decantato, distratto della propria attenzione. Me l’hai fatto capire tu tante volte: quello che c’è, c’è. Tu ci puoi giusto aggiungere la musica. Io mi confondo sempre tra realtà e illusione e non riesco a capire ch’è amore a prescindere dalla forma che non sia a cuore, al di là del colore chè non è vero che la passione è solo fuoco e pure il fuoco arde di rosso e di giallo e di blu con nero e marrone e qualche altro colore sfumato che non ci s’accorge se non si disegna.
Mi sono sporcata le dita di quei colori tante e troppe volte e qualche volta mi dico che avrei voluto cancellarne qualcuna. Mie dita che forse avrebbero potuto stringere meglio le tue senza farti scappare, facendoti sentire meglio che ero lì davvero. Mie mani che forse sarebbero state pure col profumo della mia pelle senza vernici e tu avresti capito di più con una carezza che non con tutto quel che ti facevo vedere di saper costruire trasformando i gesti in ombre o con la sabbia facendo castelli in aria, con pennelli con cui scrivere su tele grandi a farne manifesti di questo mio volerti presente, volerti con me. Avrei forse cancellato la sera in cui mi avrai riconosciuta senz'altro biascicare, sorridevo, una delle più vere, in cui sarei andata dietro a quell’impulsività che m’è propria e m’ha fatto tessere della vita favole vere. Avrei mollato tutto anche solo per un momento.
Ho dato spago ai miei costumi fino ad apparire sempre più nascosta e ridicola in questo carnevale di teste diverse, di umori confusi. Ad ‘incredibile’ volevo dare un’accezione diversa di me, in questo gioco pericoloso tra desideri da copione e quelli che tutti ti dicono di risparmiare. Mi tengo tutte le mie fragilità a solcarmi l’anima che non si può scavalcare. Non si può scolorare. Nemmeno declinare precisamente. E per questo si confonde per niente.
Ma tu ti ricordi come in giardino, solo perché trovavamo qualcosa di vero, non ci chiedessimo se s’era giusti ad esser bambini e si spalancavano gli occhi ed insieme le guance in qualcosa che aveva poco stupore:… tienila cara la meraviglia. La meraviglia di bambini, come dicono tutti nei proverbi. La meraviglia di adulti non furbi, ma veri abbastanza da dirsi sinceri come quei bambini di prima, di fronte alla vita perchè i parchi non s'accontentano di farsi guardare dai vetri. La meraviglia te la vorrei regalare ogni santo giorno che posso e non so dirti perché, solo che è ciò che voglio. Come se io ne fossi carica. La meraviglia è qualcosa che non ha niente di quel che mi puntiglia senza solletico quando ti trovo distante. Non mi accorgo mai che se t’ho trovato, già ci sei. Ed eccolo quel tanto che cercavo.
Comprendo sempre in ritardo le cose che ho, giusto in tempo per insaccarle nelle malinconie del giorno dopo. Invece oggi ti regalo la meraviglia di un niente qualsiasi, la meraviglia di quattro righe banali, qualsiasi, di sempre, che però non t’hanno mai scritto. Tu meravigliati di nuovo, se ce la fai. Io spero davvero tu abbia forza abbastanza. Ed intanto ti dono un pezzo di passione vera, ancora, che frulla libero nell’aria ed arriva fin là, sul tuo comodino insieme a quel libro che non stai leggendo neanche stasera, che sono io. Attenta a spiare, come vorrei, le tue ciglia che sfogliano le pagine del tuo… del tuo mondo… di una vita che non so fino a che punto conosco, ma che stasera mi è tutto per dirti in punta di voce soltanto che ti voglio bene. Sarà che per una volta ci ritroveremo insieme, allo stesso tempo e momento, come spesso ci sento. E. E basta. La meraviglia basta a se stessa e tu me l’hai regalata spesso, nel bene e nel soffrire che ogni tanto mi fai senza saperlo, senza che non sia sbagliato, insensato, patetico, ed io oggi ti chiedo di nuovo qualcosa, ti chiedo di saperla preziosa come questo nostro rapporto che non ha niente da recriminare né da nascondere, ma ancora tanto da costruirsi avanti. Un intreccio che non ha purezze, è sporco dei nostri colori, delle nostre imperfezioni che ci hanno raccontati, dei nostri vestiti in cui ci siamo stropicciati di notti sveglie e insonni, ognuno nelle sue. Un incontro che le lontananze le conosce bene, le gestisce male, ma da cui non ci si può risvegliare, c’è, ancora qui. Tu scolpiscilo in mente quando ti senti giù e incompreso, quando ti senti teso, quando ti senti convinto e scoperto, quando ti credi solo, quando non ti vedi libero di fingerti te stesso, quando ti sembra che non ci sia cosa che valga la pena, quando non trovi casa, quando dai anche tu troppo valore alla vita per far finta di niente, quando ti senti stanco, ma non riesci a chiudere gli occhi. Ed in ognuno di quei momenti incollami un post-it sul quaderno coi buchi di lato e con i fogli spessi, con su scritto: ‘tieni, cara, la meraviglia’. Diventerà il diario di giorni condivisi, comunque altrettanto vissuti. Rileggerlo ci metterà nostalgia dolce, senza rammarico, come scoprire un uccellino che prima si sarebbe detto qualsiasi che arriva sul tuo balcone di pomeriggio, anziché di mattino come sempre. E non ci credevi più, non ci facevi caso, ma d’incanto t’accorgi di nuovo di lui, giunto a un’ora un po’ insolita, ma sempre visibile… anche senza una festa… solo poggiando la testa su un vetro di finestra e guardando un po’ tra quelle ombre che fanno i pensieri cupi, i lamenti vuoti.
Non so fare il caffè, fai conto che questo messaggio ne accompagni uno buono e arrivino entrambi stasera. E ti dica: ‘Tieni cari i momenti che abbiamo trascorso e queste mie forme d’amore ritagliate con cartoncini di colori diversi con forme di animaletti e banali disegni, che sono segni del fatto che ci tengo, un fatto senza bisogno di sottotitoli, senza che ti spieghi perché, ma facciamocene stupire sempre, come se questi attimi non fossero fatti di niente, ma scatole di cartone impacchettate pure un po’ male, ma dove abbiamo messo dentro le nostre cose per un romanzo anche d’un due ore, il tempo d’un disco, d’una canzone soltanto, una telefonata di risate che sembrano mal spese, uno sguardo alla collina di fronte spruzzato della solitudine di una brezza bagnata. Fai come se fossero regali a sorpresa e non d’un momento soltanto e poi accatastati in un angolo perché da quell’angolo ti guardo spesso, ti riconosco addosso, ridicola come spesso mi faccio, tra profumi di ruggine e benzine che mi sembra di sentire o vivere e gli odori delle spezie di quando a casa le nonne preparavano il pesto”.
Ci ho messo troppo zucchero in questo caffè. Non saprà più di niente, come sempre.
Allora dimmi perchè non riesco ad accontentarmi di te, non riesco a non considerare imprtante l'esser felice d'una tua felicità sufficiente, non riesco a distaccarmi da tutto, a lasciar stare quel puzzle che era solo un gioco che fa come la meraviglia che ti illude per un po' e poi svanisce. Non ti meraviglierò neanche stavolta, sono sempre io, sempre qui che ti cerco e ti dico affetto, ma non si sblocca questo mio portoncino sgangherato verso un vicolo di passioni sbandate. Non si riesce ad uscirne. Si libererebbe solo recitando, scrivendo, conoscendo, abbracciando, chissà. Lì c'è questa nostra unione che non è illusione, che non è magari neanche reale, è di poco più grande di noi e sa di clochard i cui cani si annusano per strada in una stazioncina di periferia con l'asfalto umido e il lampione che dà luce come farebbe una lanterna sulla tavola. M'innervosisce la luce che balla come la voce che trema e un rapporto che se dipende da un cavo ch'è lì che con uno strappo si spezza non ci si raccapezza. Ci troveremo lì, al buio, a cercare ciechi una pezza che non completa il nostro solito puzzle e nel buio senza controllo ci troveremo le mani. Erano allacciate e tutt'il puzzle in tasca.
Mi dai emozioni che ci sono, è questo meraviglioso, ma non mi meraviglia non perchè io ceda all'abitudine, ma perchè sei d'una bellezza cui sono affezionata senza che ci si possa stupire.
Mi sono insegnata ad ammirare con viva sorpresa il fascino naturale dell'ordinario inatteso. Ho capito quante cose metto in valigia ogni giorno, quante persone ho in casa, rassicurata dalle attenzioni dei miei lettori invisibili mi hanno creduta matta. Erano loro che non vedevano dagli occhi. Prova anche tu, è divertente. Prova a non prevedere tutto il valore che hai, senza cinismi di sorta però. Tu muovi.
Io lo so che in questo foglio sono sbagliata, ma c'è sempre negli occhi la sincerità infantile che ti dicevo. Tu quell'abbraccio, ma forte, dammelo adesso, davvero.
http://www.youtube.com/watch?v=jtXb4dahI4Y
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