Autunno, chetami gli occhi.
Saltelllano impazziti come biglie d'acciaio
tra Parigi e Cinisi
intanto che si fa scuro, s'illuminano insegne
per la pianura pinball.
E vinco con le mani aperte
e c'appoggio il mento
e tengo le mani aperte
e le attraversa il vento.
Autunno, cheta i bracci agl'alberi;
che la finiscano!
Abbassino queste lor fronde arrese.
Arresta questo danzare, temporale di foglie,
spremiti in verdi e giallo e rossi e marrone,
fanne tappeto dove sfrigolare le scarpe
che mi devo asciugare.
Fanne tappeto di suoni in silenzio,
a scortare.
Concentrati, autunno,
porta il vino alle taverne, per piacere,
ché d'andar di frasca non è più tempo, te l'ho detto.
Gli insetti cercano caldo, cercano d'entrarmi dentro.
Cheta il senso di fame di noi, vili; cheta le tue zampe,
non prenderti tutto.
Sceglimi tu le foglie da raccogliere e appender in casa
e quelle accartocciate: da mordere, come salatini;
da calpestare come da bambina quando erano passi grandi da l'una all'altra.
Non sei l'estate piatta;
non sei inverno silente
nè una primavera che sboccia.
Hai il profumo del fumo di caldarroste con sale
da scartare per saper del destino.
Sei ottobre:
sei nata fragile,
hai gli occhi umidi
e mi hai donato le stagioni, tutte insieme.
25-10-11
16.16
bellissima sintesi, più diretto di altri, lo leggi d'un fiato....e ti lascia lo stesso il fiatone...
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