SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

martedì 31 agosto 2010

Il vecchio paragone della rosa

a H.

Avevo pensato al vecchio paragone della rosa
ma poi no: tu non è che hai il fiore
e la spina: in te fiore e spina
sono una cosa sola. Bisogna trovare
il fiore nella spina
e la spina nel fiore.

Perché in te è la spina che fa il fiore
restando spina – e il fiore fa la spina
restando fiore. Sei magra come un ragno,
hai labbra grandi come un’africana
e ginocchia spellate.
Degli occhi non so dire:
te li ho guardati, però non so dire.
Preferisco non dire cose a caso.

Come certi animali di boscaglia
gridi però non ti lasci vedere.
Cerchi e non cerchi: non vuoi cacciatori
né giardinieri orgogliosi e premurosi.
Se ti s’aggrotta la voce su una lacrima
agiti tutte le foglie per confondere.
Sei una pianta non classificata.

Sì, ma fuor di metafora sei anche
la bambina che dipinge bottiglie
e manda cartoline a forma di pesce,
innamorata di musicisti e artisti
e a tratti di te stessa (ma non sempre
l’amore è ricambiato): sei la donna
nata lontano, timida nei baci
e nel meravigliarsi – così forse
un poco mi assomigli
e qualcosa capisci e capisco, però
preferisco non dire cose che già sai.




Carlo Molinaro - 2010

La nausea, il mal di denti, l'amicizia, l'amore, il gol e la nave che va

Io piuttosto che la nausea preferisco un feroce mal di denti,
un mal di denti da urlare e non dormire, che neanche servono
pastiglie e pastiglione. Però l’indomani vado
dal dentista che in un modo o nell’altro
toglie il male o toglie il dente o l’aggiusta.
Io preferisco i mali localizzati in un punto:
mali onesti, precisi. La nausea invece
non so dove abita, non è in un punto del corpo,
non è neppure tutta nel corpo, è nel corpo
e nella mente e anche fuori, nell’aria, nella stanza,
nella luce intorbidita, nel fastidio che dà un movimento:
e i medici fanno finta di saperne qualcosa
ma non ci azzeccano mai, non hanno niente da togliere
né da aggiustare, fanno ipotesi, ti danno medicine
che non servono a niente. Con il mal di denti
sono riuscito a baciare in un giorno di neve
e a fare l’amore. Con la nausea non riesco
neppure a dire una cosa a un amico.

L’amicizia e l’amore sono una cosa che è bella
(dico «una cosa» e non «due cose» perché spesso non distinguo
amicizia da amore, ci sono sfumature differenti,
certo, ci sono, c’è il sesso, c’è un diverso
modo di abbracciare, ma è un po’ tutto mescolato,
secondo me è un po’ tutto mescolato),
l’amicizia e l’amore sono la cosa più bella, una cosa
che sta all’opposto della nausea, vediamo se riesco a spiegare,
non sta all’opposto del mal di denti,
sta all’opposto della nausea, perché come la nausea
non so dove abita, non è in un punto del corpo,
non è neppure tutta nel corpo, è nel corpo
e nella mente e anche fuori, nell’aria, nella stanza,
nella luce illimpidita, nella gioia che dà un movimento:
e i sapienti fanno finta di saperne qualcosa
ma non ci azzeccano mai.

Helen dice che quei pochi minuti che mi è stata intorno
dovrebbero bastarmi a sapere come sorride.
Le chiederò se lei sa come sorrido io. Io no,
non sono sicuro di sapere come sorride Helen:
i pochi minuti vengono spesso sopravvalutati
e ci facciamo le nostre immaginate – io per primo:
per i pochi minuti che mi è stata intorno Eva
sono convinto di sapere moltissimo di lei:
la sposerei, sulla base di ciò che credo di sapere
per i pochi minuti che mi è stata intorno, Eva.
E lo credo davvero, non c’è niente da fare.
Bisognerebbe invece stare molto attenti
ai pochi minuti, a questo sopravvalutare
la conoscenza di tre sguardi, cinque gesti e quindici parole.
Pensare che nelle vere storie d’amore d’amicizia
si va avanti per anni e si scava uno nell’altro
con affettuosa attenzione, con profondità,
eppure dopo anni si scopre che c’è molto
di sconosciuto ancora – lo notavamo giorni fa
io e una donna che ci amiamo a lungo.

Ma certo è sempre complicato perché
l’amicizia-amore non abita in un punto
(è l’opposto della nausea, non del mal di denti)
e quindi è una cosa che ne vedi delle parti
un po’ dappertutto, magari becchi dell’essenziale
il primo giorno, magari dopo un secolo,
e poi trovi dell’altro essenziale che è più essenziale ancora,
è tutto un andare avanti così.
Helen pensa che io dopo pochi minuti dovrei sapere
come sorride lei, io penso che dopo pochi minuti
so i pensieri più profondi di Eva, come ride e come piange,
io e la donna che a lungo ci amiamo
sappiamo di sapere di noi una parte ma non tutto,
è tutto un sapere o un pensare di sapere,
un andare dappertutto perché l’amicizia-amore
è dappertutto, è l’opposto della nausea,
e infatti quando manca l’amicizia-amore
trionfa la nausea: così almeno accade a me.

Che cosa sia l’opposto del mal di denti
adesso non saprei: forse quelle gioie precise
ma un po’ limitate, molto ben delimitate,
tipo un gol allo stadio della squadra del cuore,
che se uno è un tifoso è un godere, mica no,
ma poi già sul tram verso casa si toglie,
si toglie come un dente. Comunque questo
non ha molta importanza.

Io piuttosto che la nausea preferisco un feroce mal di denti,
ma piuttosto che un gol allo stadio preferisco
il complicato amore che non so dove abita, non so
quanto è dentro e quanto è fuori, dove prende,
che onde fa, come sale e come scende: ma che è così bello
che accetto ogni beccheggio e ogni rollìo nel mentre che
– per concludere con una figata di metafora classica –
passa la nave mia per mare procelloso
compiendo il viaggio suo
breve e meraviglioso.

Carlo Molinaro - 2010

Pronomi Indefiniti



a H.

Ti guardavo ieri al concerto di Federico,
le tue braccia sottili,
la dolcezza che in te è una traccia non svolta,
l'amarezza che è una nota a piè di pagina,
le i su cui mettere tutti i puntini,
i puntini con puntiglio, tranne
se lo decidi tu. Sei una frase
che sembra aperta ma rimane in sospeso,
chiude spirali intorno a pronomi
indefiniti.
Così anche le foto, le innumerevoli
foto che scatti a te stessa, sono
dure come un'offerta difficile,
di quelle che le perdi se stai troppo a pensarci.


Carlo Molinaro - 2010

lunedì 30 agosto 2010

Schiaffeggiami di baci, baby

"T'è rimasto dell'umido agli angoli della bocca" 
t'ha detto il mio tono sfuggente. 
Non mi hai guardata e, 
confrontandoti con le tue buone ragioni, 
hai creduto al mio solito delirio. Poi, uscendo, hai guardato lo specchio. Lui era sporco.
Ti sei andato a lavare il viso. Lo specchio è rimasto sporco. 
Tu, candido sei ri-uscito, in un modo o nell'altro, a bocca asciutta. 
"Io non t'avevo baciato", ho detto appoggiando Malizia 
sul ring della mia disarmonia dalle tue occhiaie. 
All'angolo i previdenti suggerimenti di utilizzare amore 
non più come suggestione. 
Sono segnali di attenzione che capitano sugli occhi neanche fossero moscerini alla luce. 
Tu hai fatto finta di niente e di nuovo non ho potuto darti torto. 
Pizzico le corde del tuo silenzio
e non so mettere le dita sulla tua anima come da accordi. 
Non mi laverò nemmeno la testa prima d'un'ora, mi sono detta allora. Bisogna che io rimetta 
a scrivere 
l'animo abbarbicato sul muretto del mio castello; 
il secchiello sentinella già gli dà la spalla. 
Mi costruisco tutto da sola e spesso in testa: 
non posso asciugarla e prosciugarla insieme, io.
 Facciamo come una scena al replay: 
io vado indietro coi passi e torno seduta sul materasso, 
t'affacci tu in stanza 
e mi chiedi qualcosa 
senza volere niente di me. 
T'avvicini, t'avvicini. 
Io ti cingo di braccia la pancia e m'appoggio a riposare la mente svegliata 
di poco. 
Io che quando apro gli occhi non parlo per 47-48 minuti, tranne che con mia figlia. 
Io che sveglio con me l'indigesto imbronciarsi d'ogni mattina
e se vuoi vedermi sorridere in quell'ora devi giocare in totip.
Io ti cingo d'abbraccio e m'appoggio alla tua abbondanza 
senza dirti neanche adesso che d'affetto so che me ne trasmetti tanto.
E tu per una volta senza per questo pettinarmi in capo 
mi carezzi tutte quelle mie frasi che suonano clacson 
tra il mio credere a tutto sgangherata 
ed il vagabondare disperatamente attratta da banali presagi di pezzi da ricompormi addosso 
trovati per strada, scoperti nelle loro nudità 
chè d'arte si deve pur parlare prima o poi. 
E di me che ti cingo potrebbero farne gli artisti soli il solito dipinto che non saprei colorare bene. 
E di te che mi pettini le idee folli che mi trafficano dentro, sarebbe più fantasioso disegno. 
Il diario di viaggio è dentro alla borsa dove mi han cercata altri, 
al telefono di mattina può chiamarmi solo Ric, 
ma tu sei qui e di leggermi tra le righe non t'importa 
e del telefono figurarsi 
e d'altra parte io ho finito per pensare di capire 
che cercarti dove so esattamente che non ci sei, è poco utile. 
Ho dato colazione alle mie aspettative a disarmarmi 
con la solita arma avversaria in cuore 
e ti ho forse chiesto il primo "per favore" 
senza pretendere che fossi tu a sapere 
che voglio solo 
adesso 
qui 
che mi schiaffeggi un po' di baci 
prima d'andare a lavorare. 

h.n.
10.21 del 30agosto2010

Primiera

Non lo sai, ma durerà poco. 
Con la noia nelle orecchie non ci riesco a stare. 
Ripartirò 
anche se non s'è fatto giorno, 
piuttosto sola, 
con le mie tre valigie di sogni abusati 
e un cappello in testa per quando il sole scotta e tocca 
rifugiare gli istinti in un boccale di vodka con ghiaccio 
per far respirare a dovere l'anima. 
Ho intenzione di aprire già gli occhi; 
invece sono accartocciati di sonno e di nostalgie sfatte 
come lenzuola su cui s'è fatto l'amore, 
quelle nostalgie finite delle mie mura ritrovate tutto sommato presto 
e delle metodiche c'ho inventato io 
e consolidato nel tempo. 
Ho smosso i pensieri come fa il mare pettinando i suoi ricci
quando tocca la sabbia umida di fresco 
e sembra cattivo solo se lo guardi da distante.
E ho sequestrato la penna all'orgoglio del sapermi fermare 
nell'unico modo, poi, in cui sono capace 
e t'ho abbracciato stretta per riprendermi un po' tutti gli odori di casa, 
compreso il tuo. 
Ho lasciato perdere il rubinetto dello stomaco:
sputava sangue e sudore da ricordare per forza. 
Avessi fatto in tempo a circondarti per davvero,
prima che decidessi tu di scappare, 
forse a quest'ora avrei meno da dire. 
Mi sono giocata speranze e sottintesi 
in un torneo di scopa che non si decide a concedermi mai la fortuna d'ori e premiere. 
Ebbene ora eccomi: 
sono scesa dal viale dei pensieri roventi arrovellati fra rovi di 
more che non maturano mai. 
Ora sono semplicemente a letto nel nostro letto; 
sono trascorsi giorni di brezze sottili 
che hanno accarezzato solo me come brave braccia di uomini di cui non provi gelosie, 
con cui continuerò a tradirti sempre piena di sfacciataggine, 
ma sono tornata. 
E sono pronta a vivermi tutto il colore di questo cielo terso da appanicarti e 
il frusciare continuo e non certo intenso delle auto che scorrono 
per arterie senza senso 
di sensazioni da rincorrere 
come fecero di me i rametti senza pigne 
suicidandosi 
saltando giù da alberi di lungomare.

h.n.
lunedì 30 agosto alle 08h55