SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

giovedì 20 ottobre 2011

Chiediti perchè


Delle volte mi stanco, tremendamente mi stanco a vivere nel mio mondo di carte, pescatori e suonatori di fisarmonica dove Paco m'insegna il biliardo e io mi vesto di colori diversi tutto il giorno; arrampico ulivi e faccio il vino. Quando mi sento così vorrei te vicino con un campari&gin o una tisana, su un divano o per terra. Anche in silenzio. 



Ho le mie buone ragioni: da qui ti penso sempre e adesso ho voglia di scriverti.

Quando m'incappotto d'imprevisto e ti vengo a suonare il campanello come fossi sirena tu mi inviti ad entrare, mi trascini per mano nell'ampio, caldo soggiorno del tuo quinto piano con ascensore. Ci provi banalmente ed io perdo quel po' di stima che ti ho riservato. Inizi i tuoi monologhi sulle mie fragilità ed io te ne propongo una evitando di chiederti di tacere. Tu continui ad oltranza, senza riuscire negli intenti di nessuno. E poi ci assopiamo entrambi, in un modo o nell'altro.

Oppure guardiamo un film sul divano a scomparsa e tu provi, a non provarci banalmente. Mi potresti quasi continuare a risultare simpatico quando conoscendoti meglio inizio a sentir appetito. La curiosità diviene istintivamente possesso e finisci a detestarmi. E io te. 

In entrambi i casi finiamo "insieme", ma finiamo. 
Così invece non siamo mai cominciati. Pensa che meraviglia. 

Magari, invece, passando da casa tua e scorgendo i titoli in lingua originale della tua libreria potrebbe distruggermi un'insostenibile forte attrazione e tu mi respingersti in preda al panico o al pensiero di un'altra donna.

Oppure potresti innamorarti perdutamente di me e battezzare la tua gelosia col mio nome di preda in una tempesta di dubbi che ci stenderebbe entrambi. 

Se poi mi tramuto in me stessa non ti vado bene affatto, inizi a metter su il broncio, fingerti ostacolato in qualcosa che non sai decifrare. 

A volte sto ferma e mi faccio attraversare, aspetto che passino tutte le parole e di vederle allontanarsi dalla memoria. Poi, provo a richiamarle e stuzzico solo le più affezionate che mi ritornano dentro. 
A volte penso che se un giorno mai a qualcuno importerà come vivo, davvero, e s'affamerà curioso sarà a lui e non a te che i miei quadernetti a righe rimarranno preziosi. E magari prenderà per buona questa mia bella e strana solitudine e questo amare, tutto. 
Ogni volta che hanno provato a togliermi dalle unghie le pagine mi hanno ferita. Devo poterle sfogliare e macchiare.
Non dico così come sto neanche a mia madre anche se le telefono tutti i giorni. C'è sempre quel modo di modellare i tabù come se mostrando di non cadere non si vedesse scomparire la testa, come se improvvisamente si sparisse sul serio. 
Io e i miei sguardi storti no, ci distinguiamo. Certo, quando si è tanti, occhi, è complesso mantenere la giusta attenzione. Poi oggi c'è chi non ce la fa neppure in due. 

Eppure io non sono ancora arrivata e non ho ancora perso. Mi dicono da tempo che a forza di queste stanchezze arriverà presto il giorno in cui alzerò una bandiera nuova, l'ultima, bianca e vuota come quegli occhi storti saran diventati. E, impassibile, dichiarerò impossibile tutto non per stupore, meraviglia o rimpianto, ma per cecità, inerzia. E indifferenza.
Anche tu me lo ripeti anche quando le tue occhiate mi dicono tutt'altro. 

Mi dicono, tutte le voci ingombranti, che la fragilità non si mostra, non si deve, come l'insicurezza non sta bene.
Me lo dicono e stanno zitti, ma non ascoltano ugualmente. Ecco perchè tu. 
Ecco perchè voglio far sentire a te la mia sinfonia per cui mi tocca scrivere spartito a tutta l'orchestra.
Minimale. Voglio un palco minimale e a fare il mazzo tanta penombra, tanta così. Durante la partita racconterò la mia storia di ciabatte sbattute e bronci al mattino come croissant.

Mi trovi sempre al confine tra il lasciarmi andare a questa follia e quell'altra caduta, tuffo nel vuoto che c'è.
E' un'urgenza che sento - dici bene - quella di questa passeggiata da equilibrista nel circo di animali, segatura e maschere dal sorriso sgualcito. Ma da soli è ancor più difficile persino trascorrere un'ora, figuriamoci tutto. Soprattutto, sarebbe stupido. Stupido, restarsene isolati a isolati distanti se hai capito o ti ho in qualche modo raggiunto. Stupido, non battere i pugni sul legno di questa mia croce. Non percuotere la porta bloccata, blindata. Silenziosa. Non sedersi e sedurci con una storia che ti coinvolge. 

Chiedersi aiuto è un'altra di quelle finestre dai vetri negati, quella che spero tu decida di aprire per leggermi le labbra trovandomici dietro, ora che sto qui e non ci sono momentaneamente più filtri da the.



 

Sì, io ho le mie storie, i miei sogni e tu la tua vita di impegni; non mi parli, non mi cerchi, resti lontano e tendo a perdermi, nel rimandare. Sono giunta dieci o venti volte qui restando zitta per portarti il raccolto di risposte che mi hai chiesto anche se oggi so che non devo farlo per forza. E mentre parto per uno dei miei film già ti sento annoiato e fai tutt'altro, eppure è evidente. Ti sei preso in casa una sbagliata però non mi hai mai in fondo creduta diversa. E anche oggi lo ammetto che non ho tradito me stessa nè la tua fiducia nel letto di amici. Se esci da questa tela in cui caccio coloro coi quali prendo un caffè inizierai ad odiarmi perchè la disperazione è talvolta più difficile vederla fuori che viverla impastandosi in mezzo.
Devo spiegarti che sto scrivendoti una lettera in una lingua non mia, ma lo sforzo che faccio è un delirio comune e lo puoi toccare anche tu, qui. 
Posso darti la mia natura; non voglio cambiarmi; non posso biasimarti, piccolo, ma non piangere per appropriarti della mia libertà. 
Tu e io siamo un mix acido che fredda il sangue e ci scalda in modi molto diversi. Portiamo avanti questa commedia per non dileguarci e perchè comunque non saprei fare a meno di te. Non c'è più bisogno di urlare e forse nemmeno di cambiare verso. Se diventeremo bestie d'accampamento non me lo perdonerò, non lo chiedere. 

Il giorno che hai provato ad uccidermi ti ero di fronte e ti chiedevo di comprendere qualcosa che io non ero riuscita. Tu hai sparato per paura ed io ho sventato il colpo per un soffio. Quello prima di un orgasmo. 
In apnea per un istante. Ma poi è emerso cos'era stato: mi stavo innamorando di nuovo. Mi capita spesso. Può iniziare con una camicia sdrucita e un cappello ricolmo e poi con questa gente non si sa mai come vada a finire. Certo, come stupirsi? ti sembrano tutte sciocchezze e per me sono bestemmie. Ma sei tu che rifiuti di inquadrarmi. Ti ostini a cambiarmi il ritratto in camera da letto e io appena m'accorgo riappendo le mie cornici colorate e ci aggiungo su foglietti con cui allora, stremata e offesa, t'insulto a quadretti. Provi ad ammazzarmi tutti i giorni e il mio sangue ce l'hai comunque davanti, ma non t'accontenti. Non hai più pallottole in canna, tesoro. Non c'è più tempo per giocare a chi ha vinto, scappare rincorrendosi da una stanza all'altra e appenderci a schiaffi alle mura per fare l'amore quando l'attrazione ci scorge distratti. 


Ho rotto tutte le finestre di casa, ho lanciato le stoviglie un po' ovunque, ho infilato le posate nei capelli della bambola di porcellana sulla tua poltrona. E' di là e t'invita ad uscire. 
Io ho da fare altrove. Sarò lontana per poco. Dopo, verrò a vedere come stai. E mi risparmierò un "mi dispiace". 

Mi svuoto. Mi succede ogni volta che ti guardo.
Come posso sorriderti in fotografia? Te ne ho imbucate quasi diecimila nella cassetta della posta chiusa e riaperta solo con i tuoi conti.
Vengo da te e te lo giochi al flipper, il mio sorriso.

Vedi, quello che ci è successo mi ha fatto un po' impazzire. Però un giorno forse a papà tornerà in mente quando non c'erano conigli e cappelli e allora verrà a prendermi e io gli rinfaccerò tutto in quel sorriso. Lui proverà a piangere e io gli farò di no con il dito. E andrò via ripartendo come non posso fare a meno che sia.
Trovo casa dappertutto, non ho colpe. E' il mio paradosso stonato. Vedi, Alberto vorrei ignorarti, ma m'hai consegnato le chiavi anche tu. Vorrei potessi vedere la mia collezione. Gli altri miei sposi sono tutti in terra e nonostante questo resto nei miei due stracci, come prima. Ho giusto 400 cent con me per una matita con cui legare i capelli: è la mia pagnotta di vita.
Vorrei augurarti di disilluderti un po' meglio. Sarà tutto più facile dopo, vedrai. 
Non ci riesco. Ti sto dicendo tutto un'altra volta e magari non succederà niente. Lorenzo s'è scopato l'ennesima notte di stelle che non cadono mai. Tutto questo per me non è giusto e io voglio un bel giorno scostare le tende e dirlo, per essere parte di questa poesia dalle tasche bucate che chiamano vita fin troppo veloce perchè sia vera.

Voglio rientrare nel tuo giardino di piante incolonnate. Tu puoi aiutarmi a potarne una. Devo cambiare posto a sedere, colore di capelli, odore: in questo treno friggo seduta e ho bisogno di strada anche se mi barrico in casa e mi dico che aprirò solo a te quando mi porterai la tua porta. 
Ho paura di averti sparpagliato già troppe carte e che non bastino perchè a me non è bastato giocarmi anche te. 
Vorrei compiacerti nel confidarti che come mi hai baciata tu non ha fatto nessuno, ma temo perderebbe di senso se dovessi poi dirti dell'unico abbraccio d'un altro e del sonno per mano e del motorino per i fossi a scivolare piano.

Non so che farai. Se riderai o niente, se sei ancora felice e continui a non volermi vicina di banco come ti sperticavi a suggerire l'ultima volta. Nel tuo tribunale avevi una camicia bianca e occhiali scuri. Non so nemmeno se mi hai vista, ferma, dall'altra parte della strada a osservare il tuo sorriso deficiente, ma non mi sono agitata e qualcuno ha oltrepassato la strada per chiedermi come stessi.
Io ho detto che stavo preparando il mio circo e avevo finito la segatura: avevo bisogno di sogni da bruciare. 
Poi, a casa ho bevuto un goccio, ho tirato un calcio a una sedia, mi sono addormentata per non scordare come ti avevo visto.

Ho qui un cacciavite per far girare le idee e voglio il tuo pensiero. 
Intanto che non c'eri ho camminato un po'. Parigi è lontana, ma oramai ci so arrivare. Parigi è vicina e tra un momento la potrò toccare, ma vorrei mi prendessi la mano.
E' un altro dei miei giochi in codice binario, non perdertelo. 

Eri troppo e non ero pronta. Avevo solo il gessato che t'avevo rubato dall'armadio, ma non il cappello e la pistola.
Sento che mi manchi e ho bisogno di te per riordiarmi i capricci e perchè tu mi pettini i pensieri quando sono stanca e la luna mi sorride e fa la furba.
Mi serve guardarti muovere e le tue smorfie, le desidero tutte. Devo viverti per raccontarti. 
E raccontarsela è l'unica che ci rimane, perchè la Storia sia. 
Ne avrai cento tra le mani tra le tue risposte giuste; questa, lo sai anche tu, è sincera in mezzo ai "riguardati". E' la mia bella, bella barchetta di parole che se finisce in acqua si scioglie e diventa carta da zucchero.



2 commenti:

  1. dopo de andrè vecchioni 8era nell'aria in realtà e doveva accadere)....al solito citazioni sparse che poi diventano roba tua (talvolta forse troppo tua, troppo personale e quindi inintellegibile) ma scritta al solito in modo straordinario...peccato perchè in un pezzo nel quale le fughe e i tentativi di fuga portano sempre a ritrovarsi sarebbe stato bello citare anche samarcanda

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  2. Chi può capire è chi deve capire.
    Samarcanda era troppo banale :P
    E grazie.

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