SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

sabato 15 ottobre 2011

Vengono, vanno, ritornano.


A volte ritornano;
vanno, vengono, presumendolo loro spettante.

Vanno, senza che tu possa acclarare come,
com'han fatto con la stessa camicia a arrivare. 

Vengono per giurarti che son lì per andare;
ancor'un inchino, ultimo filtro a fumare 
e poi via.

Partono e partono, arrivano
senza vedersi, poi vanno,
e la volta che son lì per davvero
nella neve non viene mai. 

Arrivano e vanno, come monete
che scambiano,
tenenendosi in tasca talora anche troppo. 

Vengono, vanno, incontro su piazza, 
poi fan per tornare,
ma vanno e non seguono
il tuo continuo passare. 

A volte, intanto che progettan d'andare,
tu al pozzo segreto del biasimo provi attinger colore,
ma mestizia è abbastanza da sempre
e d'altrettanto è fuor che codarda; tendenti all'attrarsi
son viste che copri, per tenere protette, incornici;
e incurante l'incedere incide inferendo ogni giorno di sè.

Ci sono volte che s'affacciano
a donare un'occhiata, 
quando ci si tuffa esangui e esaltati
restando in principio già all'erta,
restando; restando del tempo con te.

Certe volte mentre vieni e poi vai, t'accompagnano
cullandosi fin quando gli arrivi dinanzi
e s'accorgono
che per l'incontro debbon destarsi.

E ci son quell'altre volte che restano 
e non se ne capisce un motivo
che dipenda da te.

Credi di intuirne il profilo,
ma le ombre dispettose stupiscono
sotto il porticato che porta al museo
e vengono, vanno, ritornan fruscio.

Restano accanto, di sfuggita ogni tanto,
sembra sempre che ridano, t'accarezzano in capo,
ma senza altri perchè.

Vengono e vanno e lo fanno
in notturno,
per un loro percorso
che non abbisogna di te.

Vengono e vanno,
entrandoti in casa comunque
e ogni giorno,
filtrano e flirtano col quotidiano sapersi
senza farsi conoscere
or, mai.

A volte con un muoversi lento
impegnano tempo, quasi sognando
e intanto
d'impercettibile attrarsi
a piccole dosi s'iniettano
impressionando il profondo
che hai.

A volte sono fugaci,
vengono e vanno nel tempo d'una partita
a biliardo, tra amici;
ma senza whisky.

A volte non vanno via mai.

A volte attorno a loro è così limpido
che si fa vuoto
e in un'estate affondano
e cambiano forma, diventan corallo
e in fondo non ci sono più.

Ne inventi frattanto, t'inviti nel parco
al reincanto,
t'imbatti sbirciando
dal vetro che tien dentro il frastuono,
nel tempo d'un tuono si danno già un tono, 
tu pensi che intanto così tingono il fondo,
vengon come vanno e va bene così.

Vengono come su lastricati in ciabatte
e sciarpe al collo:
scivolano, come se non ci fosse altrove.

Vanno e non sanno
che stanno giungendo;
non vorrebbero andare,
ma sei tu che lo chiedi
ché quei loro pastelli, lo vedi,
non ti si confanno.

Arrivano e non te n'avvedi,
poi arrivano ancora,
dicon qualcosa
e ti insegnano come si fa
ad arrivare in giorni tranquilli,
sperduti, aggrapparsi a un'occhiata,
ed andarsene senza falsa pietà.

Vanno lontano una volta che si è fiutato di loro
e rifiutano ogni altra certezza
quand'è inverno e basta una brezza
d'armonica
a gelare dita e caviglie
per farne poi briglie
e non correre innanzi,
non fermare chi va.

Però qualche volta vengono di cappello straniero
e quando tornan per caso
ad affacciarsi al tuo viso, scopri sorpresa
che ti somigliano i loro giochi di luce
che si sguinzagliano in giro, coriandoli,
alchimie di cui rimane il profumo più vero,
profilo più umano,
ed è allora che passione s'inventa ed invano introduce
senz'empietà.

Restano per sempre quando avviene il miracolo
che ne concentra il respiro in qualcosa
ch'è dentro;
ma loro vengono e vanno tra città come amore
ch'è stato e domani se n'andrà.

Vanno, vengono, giocano
a prendersi, rincorrersi,
perdersi come bambini;
finchè si fermano a baciarsi
un pomeriggio intero
su una panchina cui tutt'intorno corre.

Quando vengono in amicizia
e chiacchieri alla luce dei fari di un'auto
ci si strofina in teneri abbracci
con presagio d'incauto.

Se capitano per legge e ti ci perdi,
con faccia innamorata non tradirti,
abbandona il tuo museo di resistenza
mentre abbaiano in stanza,
dopo un pomeriggio sull'erba.

Se alla fermata d'autobus di città
prendendo un pennarello rosso dalla borsa
alzi il viso e scorgi il modo
di buttar giù ciò che contieni,
sappi:
ti può capitare t'escan di bocca poesie sparse.

A volte arrivano come giro di giostra, inerme
ascolti la favola che ti raccontano;
mantengono il loro campo per una partita, una sola,
in cui ci si passa il sole come fosse una stupida palla
e si scambiano i sensi che cambiano i versi
di procaci frecce, precoci bersagli.

E le volte che s'intravedono,
da distante,
mentre non te l'aspetti,
resti ad ascoltarne il moto
in una mansarda silente di voce
per sentirti vicino a quel loro cielo.

Ci sono volte che non tornano
mai, mai, mai,
ad una camicia bianca di mattino;
neppure se cerchi triste.

Vanno, di testardo andare vanno
e poi è naturale ritrovarsi
quanto è stato ingelosirsi.

Vengono e si prendono mezze giornate a fingersi lucertole
su scale
e sere di luna in macchina a crescer come rosee
al telefono per ore.

A volte quando sei lì che con l'occhio
incroci il binario che ti fa ripartire
ti dici che non volevi scappare
però sai che non c'è più altro da dire
se non far andare.

Quando compaiono davanti al fuoco
e rompono coi pugni gli specchi
devi ascoltare il rumore che fanno,
sdraiarti sul loro letto due ore,
quindi vederne l'immagine, in arte,
mediamente sbiadire.

Certe volte l'inganno è più lieve, 
ci caschi, capisci con mano a rialzarti 
ché in fondo ti vogliono bene.

Certe volte invece si fregiano
di fregarti, fossero matti,
si fermano accanto
per tutto il tempo
che serva a servirti
finchè non ne scopri il capriccio
e romba tremendo il loro bisticcio.

Ci sono e, nel corteggiarsi a vicenda,
ne aspetti fremente l'arrivo,
infine nella pioggia non balli, tua ammenda:
appoggi la testa
ch'è china
facendo cuscino della chioma lor fina
pre scritta,
arricciata,
ad ogni buon'ora d'imbroglio privata.

Qualche volta si compromettono
in promesse, senza mostrarti le carte,
quindi si annaspa nell'atteso riscatto
che dà loro conferma e sentenzia di parte.

A volte ti guidano e sono come
abbracci
donati e vietati, tatuati
nella tempesta che arriva: guardingo li spii 
e un po' li sfidi,
poi ne diventi geloso,
ti fidi.

E riparti
in spazi a volte tanto affollati
da apprezzarne giusto una notte
su di un treno dondolati.

Misteri intensi e domande folli
di cui t'insisti nel dipingere contorni,
trasparenti, ineffabili,
con dita intrecciate a colori spugnosi
che resteran sempre primi; tamponi,
sette anni dopo torneranno buoni.

Se ti accompagnano per un giorno
appendi sguardi al finestrino del tuo viaggio
e li hai già lasciati asciutti.

Qualche volta fanno brevi comparse
tragicomiche,
con le loro serenate nude alla finestra,
ma tutt'intorno si fa cupo quando pattinano via
nel fulmineo tempo d'un flash.

Fai in tempo a scriverne il nome per tre volte,
in silenzio ti limiti a immaginare d'amarne le smorfie,
di segreto in segreto, a seguirne le mosse.

Da prima ne intravedi l'imprevisto
che ti resta incagliato tra le mani d'ogni aurora,
nel piglio appena sveglio, di ora in ora,
che ti sussurrano dalla stanza lì vicino
evidente essergli rivolto e un po' assassino, ma come gli acquerelli
vengono, confondono, sfumano sbiancando
e non tornano mai brilli.

A volte t'accorgi che esistono
per poco,
ché si è lì pronti ad andare,
solo più in tempo per l'assenza
e per scambiarsi una speranza.

Quando nascono più sei bimbo e più alta è Illusione
che si portino dietro ombre giganti e colori tanti;
stanno lì inconsapevoli, ti scrutano 
con occhi enormi, talvolta a sostare nel cuore son lenti,
poi sfuggono avanti, corrono, cambiando disegno.

In cortile se nell'aiola ne sfiori il ritratto, e non badi al contorno
la terra sgranando
apprendi di che sanno
e ti sorprendi
ad appiccicar le foglie cadute, raccolte
sui fogli di carta
e battezzando le mute, a memoria.

La bellezza è un vestito che bisogna sapere portare.
E' amuleto che devi capire a cosa abbinare.
E' un bottino che puoi guadagnare
e perdere,
che si può far chiamare 'tesoro', ma senza valore.

La bellezza è obiettivo o strumento
da imparare a suonare per averne armonie
che non potrà contenere
nè vincere
e nemmeno forzare.

Ma se c'incappi, tocca viverla tutta:
t'avvisa di sè senza fare rumore.

Per una vera, mille sono finte e si mettono lì,
tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto
una voglia di pioggia. 




(15-10-11 ore 1.07)

h.n.

2 commenti:

  1. uno sviluppo bellissimo di un testo altrui...credo che a deandrè sarebbero piaciuti i singoli versi...(forse non il tutto assommato)...bellissimo pure il suono....

    RispondiElimina
  2. il fatto che ci sia una citazione esplicita non significa che questo sia lo sviluppo di un testo altrui.

    RispondiElimina

Dicevi?