SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

martedì 6 dicembre 2011

Prima v'era primavera

Oggi che non me lo chiede nessuno. Facciamo oggi:
sloggi dai tuoi alloggi e io imparo delle cose.
Oggi imparo quelle cose che tu sai.
Tu le sai; io no. Così io oggi imparo, così poi so.
Oggi imparo quelle cose che sai
e che saprò, con oggi.
Oggi che non è importante, ma forse lo sarà poi
perchè è oggi che appoggi i tuoi appunti,
ti affacci ogni tanto, li sfoggi e poi fuggi,
ma solo per oggi e raggiungi
me in quelle cose che saprò, quelle cose che tu sai.
E non sapremo di uguali ugualmente.

Oggi imparo alcune cose che non mi chiederai di dirti
poichè tu le sai; io le saprò. E perciò
non parleremo nemmeno.
Ti chiederò la mano mostrandoti un polso
una volta imparate quelle cose
che non abbiam bisogno di dirci.
E per mano, mano a mano,
ti porterò dove sarai tu, a quel punto,
ad imparare delle cose,
poche cose che non sai; io sì.
Io non te le dirò: le imparerai.
Tu non me le dirai: non c'è bisogno, già le so.

In una di quelle giornate assolate in cui non lo chiede qualcuno,
in uno di quei pomeriggi affollati in cui non ce lo impone nessuno,
intanto che raduno un po' di rose spinose,
fangose e a digiuno di pose
inizio a dirti le cose
che mi pare opportuno - senza parlare,
quelle che nessuno ci chiede, intanto che
il mio passo precede mentre procede sul marciapiede.
Sono cose festose che raccontan di spose - senza parlare.
Le tue mani nervose sento ritrose allor il piede recede,
non si richiede una sede, ma una pausa concede,
ciascuno si siede.

C'è uno, bruno, che con mosse un po' estrose
si mette, importuno, a raccoglier mimose,
proprio qui.
Ci vede e non cede, poi intravede in noi prede e
un po' in contropiede eccede e presiede,
per ognuno intercede, ti parla di fede,
non ci si crede,
tu mi dici "succede",
lui infine s'avvede del clima che lede,
si ravvede e ricrede, provvede
a dar alle verbose sue prose dannose
delle chiose un po' ansiose, sebbene copiose.

Io confesso, dimesso, il sentirmi disperso
dipeso senz’altro dal dispetto doloso
commesso dal matto.
Deluso, rincaro offeso e dispenso il disgusto, disdegno
all’ottuso che accuso d’esser apparso, un po’ astruso,
senz’essere ammesso, con un ammasso di smorfie
smaniose, per nulla curiose, in vero chiassose,
ambiziose di figurar spiritose, giocose, scherzose,
perfin contagiose, ed invece impietose e costose per me
che stavo per dire le cose preziose e amorose
e silenziose che sai. Che so.
Come fossimo in un cinema.. d’essai. Forse no.

Amaro, astioso, corro al riparo e dichiaro che adesso ignoro
l’abuso occorso, ritorno al contesto ormai perso e visto il decorso,
giocando al contrasto, cambio discorso. T’arrivo dappresso,
derido il somaro accorso un po’ ignaro al nostro consesso,
comparso già avverso, da baro inatteso e cencioso
senza cenno d’applauso, ombra di compenso.
Conciso concludo quel chiasso e confuso e deciso
mi preparo un sospiro e ti sparo commosso, ma chiaro
che vogl’esserti caro come faro al corsaro; raro
come asso già in mano;
avaro buonsenso all’ingrosso, a buon prezzo;
ingresso in un mondo vissuto più a fondo.

Poi arrosso, arranco, convulso, sono al collasso e affosso
e quasi al decesso tu mi dici “concesso”.
Io penso “è complesso” e casso ogni eccesso
da puparo, con un gesto rischiaro l’esser mio compromesso,
che mi dici compreso e io resto
di sasso mentre rinnovi il tuo assenso
col normale entusiasmo. Scolaro, io imparo.
Al consenso cui assisto,
ho appreso ch’è tutto apposto,
ma un poco desisto
poi arreso, mi arresto:
capisco che esisto.

6-12-11
ore 19.24

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