SPIRALE CICLICA

Si corre soli. Si corre come cani senza guinzaglio in strade di paesini senza padroni. Eroi per giorni che se ne sono andati come faremo noi con le museruole sciolte, ma senza accorgerci. Ci saremmo portati bottiglie di vino rosso e penne scariche se avessimo saputo. Un cast di attori più che di eroi.

martedì 12 gennaio 2010

10.01.10 - Presunzione d'innocenza

Gite ne organizziamo spesso. Eravamo in un prato, poco fa. Un prato grande, verde. Io ero dentro la macchina non so bene perchè.. sì, stavo ascoltando musica e l'unico mezzo mi era rimasto l'autoradio perchè il piccolo stereo portatile che ho comprato per queste occasioni è sempre senza pile. Non riesco che a completare l'immagine dello stare su di un prato se non con la musica che accompagna. Ero nel sedile posteriore che è il mio posto, anche se l'auto era vuota. Mi sono prostrata dalla posizione centrale verso il cruscotto e toccavo in giro con le mani cercando i tasti della radio.
E' stato qui che ho interrotto perchè è entrata mia sorella in auto. Prima era anche lei con... quel bambino... non so come si chiami, era lì, non so se figlio di amici, no... lo abbiamo trovato lì e i bambini fanno così: non conoscono grandi formalità per fare nuove conoscenze. Tutti e due si appoggiavano sul vetro laterale dell'auto e poggiando sui finestrini disegnavano contorni come se, un foglio ciascuno, fossero pezzi di carta da lucido, aiutati dal sole. Contorni, linee, forse le gocce della pioggia del giorno prima... l'erba però non era bagnata più, neanche l'auto; l'auto precedentemente l'avevamo portata all'autolavaggio. Prima dell'addentrarla su un prato; beh non si formalizzano neanche gli adulti certe volte, per fortuna. Gli adulti erano sul prato, più in là; scherzavano, ridevano.
Si è avvicinato all'auto quest'uomo. Non ho guardato da dove arrivasse, non lo aspettavamo. Aveva un cappotto marrone un po' lungo con tasche capienti. Ha sparato, con un giocattolo, una ventosa arancione sul vetro con un foglietto attaccato, come un volantino.
Mio fratello ha tenuto sotto controllo tutta la scena, evidentemente e mentre correva qui e là si è ad un certo punto fermato: l'ho guardato e non guardava il nulla ridendo e neppure me, guardava con una faccia infastidita il signore dal cappotto marrone. Forse voleva essere l'unico artefice del disturbo ai due artisti di strada... come chiamarli altrimenti, impegnati a disegnare sui vetri di un'auto... Infatti il suo gioco era quello di piccoli dispettucci a loro carico che ne rendessero precaria la situazione creata, appoggiati sui vetri a cercare precisi contorni, forse di gocce. E fragile pure la loro eventuale ricerca di concentrazione nel disegno. Oppure mio fratello s'è infastidito per via dell'atteggiamento protettivo verso di noi e per esteso anche per il ragazzino che non sapevamo chi fosse. Neanche mia sorella, pur disegnandoci insieme, gli aveva chiesto il nome. Mia sorella è timida e piccola. Io poi non stavo giocando nè colorando, stavo in auto, ripeto, per montare su l'autoradio e un po' di musica, quindi non so proprio.
Mia sorella credo abbia aperto lo sportello mentre mio fratello...o il probabile padre del bambino, magari era il padre e non mio fratello, no, mio fratello... s'è avvicinato a quell'uomo strano col cappotto un po' lungo e ha staccato la ventosa senza quasi accorgersi nè significativamente interessarsi del pezzo di carta che teneva su e ha buttato a terra tutto. Non so se è finita, la ventosa, nel fiume. L'auto era parcheggiata al fondo o inizio che fosse del prato, trovando il suo parcheggio senza strisce di fiori, ma con quella, dal lato destro, di un torrentello di quelli che ci sono in campagna. Se guardi bene e se non ci fai caso potresti caderci dentro per via del fatto che questi fiumiciattoli sono spesso nascosti dall'erba e quasi non ci si accorge che ci sono se non si fa attenzione al flebile, spesso flebile, fruscio dell'acqua che tocca qualche foglia, lava qualche ramo a strapiombo gettato dentro il bicchiere, solo un bicchiere, che ne contengono di solito. Dentr'a un torrente simile, ma più famigliare, mia mamma mi raccomandò spesso di fare attenzione a non cadere e con i cugini e fratelli, invece, dal ponticello ci eravamo più d'una volta calati giù tanta poca era l'acqua.
Credo sia stato per l'arrivo di mio fratello impegnato in quell'istintivo gesto di staccar via la ventosa quasi in senso di sfida che mia sorella piccola è entrata in auto. E scherzava con me magari per nascondere l'emozione, non partecipare alla tensione, istintivamente anche lei, piccola e timida. Abbiamo visto tutto. Il signore era strano col cappotto in quel sole pieno, ma non sembrò adirarsi per il gesto di mio fratello nè raccogliere la sfida o la ventosa col foglietto di carta che entrambi se finiti nel fiumiciattolo avran visto la loro fine. Ho pensato a una manovra pubblicitaria un po' fantasiosa, lo dico.
Il tipo s'è messo una mano nella tasca enorme del cappotto un po' lungo e tutto marrone a sostegno dei tronchi visto che col sole già non centrava. Ha tirato fuori una pistola e questa volta s'è capito pure da ignoranti che non fosse un giocattolo. Una pistola vera. Ha messo dei bussolotti dentro e si sono sentiti rumori meccanici. Poi non ha più degnato d'uno sguardo nessuno di noi e si è fiondato sulla strada oltre il torrente... veloce.. come l'avesse aspettato tutto il tempo un fedele levriero dall'altra parte. Ci sembrava tutta un po' una favola in effetti, eppure stonava con la nostra sensazione davanti a quell'arma, di quelle mai viste e sentite prima come invece sì dentro a storie e film.
Interessati sicuramente per il protrarsi della vicinanza di uno sconosciuto presso noi bambini, si sono avvicinati presto, ma troppo tardi e lentamente, i nostri genitori a chiederci cose. Non hanno visto niente. Non sapevamo far capire tutti insieme parlando sottovoce, ma con enfasi, molto di quanto a cui avevamo assistito, eppure hanno capito. Mio padre ha lanciato solo una breve occhiata profonda verso il bosco oltre la strada e io seguendo il suo sguardo non ho visto niente. Eppure era come se fosse ancora lì, nei pressi, il criminale. Non ci ha fatto del male, ma aveva una pistola.
Ero uscita dall'auto per aggiungermi ai commenti enfatici, ma un attimo prima noi tutti, bambini testimoni, eravamo tra noi rimasti zitti. Siamo rientrati velocemente a prender posto nei sedili al cenno dei nostri genitori. Mia madre era molto allarmata, lo vedevo anche se voleva mantenere la calma. Il bambino che era con noi, ma non era con noi, non so più che fine abbia fatto, nè con chi fosse, ma mio padre non credo lo avrebbe lasciato lì da solo. Si è messo alla guida papà che di solito fa il passeggero. Io parlavo ancora con mio fratello che era mio fratello di certo ed era in auto anche lui, adesso. Siamo volati come in un film, più che in una favola: abbastanza in fretta e non sapevo dove stessimo andando e neanche gli adulti quasi certamente. Mi sembrava sempre viaggiassimo troppo lenti eppure contemporaneamente, guardandomi intorno in cerca di pallottole rotanti che dessero inizio a sparatorie, mi pareva che andando via così rapidi da quel prato da dove lui era già, a ben pensarci, scappato via, eppur visto come minato, non sarei riuscita a scorgere il criminale neanche voltandomi da tutte le parti con lo sguardo attento perchè le immagini sui finestrini scorrevano come una pellicola mandata avanti veloce. Mi sembrava che l'uomo col cappotto che fino a poco prima era effettivamente vicino a noi nella tranquillità di tutti, eccetto che del fastidio di mio fratello, fosse nei paraggi.
Insistevo: volevo chiamare la polizia. Nessuno telefonava e quando provai a farlo io mi dissero di posizionare il telefono in modo che non fosse visibile e avevo oggettive difficoltà ad avvicinarlo all'orecchio, così. Seduta in centro, dietro, non si trova neanche spazio per abbassarsi rannicchiati. Avevo già composto il numero, ma trovandomi nell'impossibilità di sentire e dunque rispondere e conoscendo già l'innumerevole serie di domande che fanno quelli della polizia per telefono, ho messo giù la chiamata. Proprio allora abbiamo visto le luci blu che roteavano e m'è sembrato per un momento di vedere anche il criminale a cavallo, preso. Invece me l'ero solo immaginato, ma il posto di blocco no. Tutta la confusione delle auto non avrebbe comunque fatto passare agevolmente neanche la nostra anche se non fossi stata proprio io a dire ai miei che potevamo cogliere l'occasione e fermarci a testimoniare. Mi sono domandata fugacemente come mai tutta quella gente, chi avesse potuto chiamare, se le macchine delle forze dell'ordine non fossero ferme lì per altri motivi, persino. Forse il bambino, nei miei pensieri abbandonato sul prato minato e sicuramente più tranquillo di qui, forse lui era riuscito a far la cosa giusta, da solo come l'avevo lasciato nei miei pensieri. O forse uno dei suoi genitori a cui sicuramente mio padre lo aveva riconsegnato, come un mazzo di chiavi o qualcos'altro di prezioso, altrimenti l'avrebbe portato con noi pure avesse significato essere in quattro nei sedili posteriori e voi poliziotti non ve ne sareste accorti perchè non ci sareste, ora, qui, perchè quando accadono i fatti non ci siete mai, come non ci siete davanti alle uscite delle scuole a vigilare sui criminali che corrono in auto e loro sì, ci sono sempre e ogni tanto tirano sotto qualcuno. In auto avremmo corso lo stesso e il bambino sarebbe stato zitto perchè si sarebbe trovato con estranei e non avrebbe avuto confidenza abbastanza, se fosse venuto in mente a lui come a me, neanche per disobbedire e chiamarvi dalla macchina senza troppe complicazioni. E voi poliziotti al massimo ci avreste fermati per una multa che non ci avrebbe tolto nessuno neppure raccontando questa storia piena di paura e adrenalina accentuata qui, poco fa, mentre cercavo di parlare con la Comandante a cui mi sono presentata un po' di soppiatto. E' ancora nei paraggi da come lo sento vicino: nessuna empatia con un killer, solo paura. Ma voi l'avete trovato? A giudicare dalle radio finalmente ad alto volume che spernacchiano ogni poco direi di no.
Ci sono volanti ovunque e non trovate un killer a cavallo, da solo, scomparso nel bosco con una pistola. Sparerà.
La Comandante stava andando via, cercava di avvicinarsi alla sua auto e salirvi se non fosse stata fermata prima ancora che da me. E' da qualche frase di quella conversazione rimandata che ho scoperto esserla Comandante e mi sono rivolta allora a lei. Con me non ha rimandato, non mi ha dato numeri del suo ufficio a cui richiamare in un 'presto' successivo almeno di un po' visto che lei era per strada e stava per salire in auto e non tornando nel suo ufficio, spero.
Mi ha portata a voi, ma prima di là ho visto... chi erano quelle persone che urlavano dentro al capannone? Cosa c'è là dentro? Urlano in coro, un sacco di voci, urlano e sbattono come delle ciotole o posate su dei ferri. E' un carcere? Qui? Protestano sbattendo sulle sbarre; sembra un tifo per un compagno criminale, mai sentito veramente fratello. Veramente tutti si sentono innocenti per un motivo o per un altro? Condannate, sempre, le pene altrui; eppur io, che non ho mai fatto niente di male, nei miei pensieri li metterei tutti in croce e poi ne assolverei qualcuno, non perchè pentito, ma forse a istinto, sbagliando molto. E riderei sotto le croci.
Non sono mica Comandante, nè giudice, infatti, io. Sì, voi vi giudico, signori poliziotti, voi vi pago per mantenere l'ordine e guardate che casino qui e il killer chissà se ha già sparato.

E' a questo punto che mi sono svegliata, penso.
Signori poliziotti, scusatemi, era solo un sogno. Me ne sono accorta adesso. Già nella denuncia in effetti avevo incontrato dubbi e saltuarie difficoltà e le avevo imputate ad innocenti confusioni dovute ad inesistenti shock. Anche voi poliziotti siete prodotti della mia mente.

Lei ora mi dirà di stare tranquilla e cercherà di impasticcarmi con qualcuno dei vostri tranquillanti che non mi lasciano per nulla serena e che non m'hanno guarito la testa. Lei, in questo posto pieno di bianco e senza purezza, mi dirà che sono pazza.

Si alzerà e andrà in bagno e poi porterà il pc dal comodino al tavolo e scriverà tutto. Ieri sera solo un bicchiere di the freddo, stamani caldo. Studia anche lei, a suo modo psicologie; è una scrittrice e il suo killer col cappotto è solo un'invenzione della sua testa. Come i poliziotti a cui denunciare un sogno o lo psichiatra a cui svelare che non esistono forze dell'ordine. La mia protagonista ha una vita felice con un uomo e una bambina piccola e la fantasia per trasformare i sogni delle sue notti, persino, in racconto. Sarà un best-seller.
La mia protagonista ha la concentrazione per lavorarci anche di mattina tra le mille incombenze a cui è richiamata, tra gli sbuffi del suo convivente e le richieste di attenzioni di sua figlia che non prevedono e capiscono che ora lei sta rincorrendo di fretta un'urgenza e la pensano ferma a non fare niente.

Io invece, io mi sono ricordata che prima avevo pure sognato mia nonna che voleva dirmi qualcosa e non me lo diceva mai e poi mio nonno, distratto, non si accorse del suo cambio di direzione e mi rivelò che dovevano tagliarle la faccia per un'operazione. A pensare mia nonna sfigurata avevo pianto sbattendomi per terra. Avevo paura. L'avrei riconosciuta sempre, sapevo e lei era già invece irriconoscibile perchè non aveva alcun timore dell'ospedale. Piangevo perchè non mi aveva voluto dire niente, piangevo pure ora che ormai sapevo ugualmente. Piangevo e mi sono svegliata davvero con una tachicardia che conosco e tre lacrime a colare dagli occhi che credo fossero vere. S'è svegliato pure il mio compagno di letto e potenzialmente finora di vita e mi ha abbracciata. Mia figlia no, non s'è svegliata.
Eppure il killer non m'ha poi dato da sveglia nessuna reazione che non fosse, con la fretta e la fantasia di trasformare il sogno in uno scritto mio, il rincorrere la memoria insieme alle palline dell'albero di natale spogliato e smontato che rotolavano per terra.
E l'incubo vero della tua assenza, nonna, non riesco a trasformarlo del tutto mai. Pure se ci metto un amore naturalmente diverso da quello improvvisato con un getto d'inchiostro e di passione per un killer a cui ora potrei vestire addosso mille storie e cento volantini nelle tasche da sparare a ventosa in ogni prato di bambini. Messaggi di fantasia.
Nel letto, nel buio, prima ancora di immaginarlo e dargli una parte in una storia notturna, prima ancora di conoscerlo nel suo cappotto marrone intonato al bosco e non al sole, mi sono chiesta, ad occhi aperti, se non fossi tu lì, nonna, in quella stanza buia, senza aloni di luce a toglierti colore e darti niente di più divino di ciò che già hai nei miei ricordi col tuo sorriso stampato e le tue parole posate. Penso che potresti sbatterle sulle sbarre della mia gabbia da cui non posso raggiungerti e farne una musica per le mie notti insonni. Fatti sentire di meno. Fatti sentire di più.

Mi sono alzata alle 11 e sono in ritardo; il pettirosso nero non so ancora se è già passato a trovarmi. Non m'ha lasciato alcun messaggio scritto nè segni di zampe a ventosa sul vetro. Mi affaccio dalle tapparelle abbassate per evitare il sole sullo schermo del pc e in faccia, mi abbasso per scorger il pettirosso se arriva, ma la coda rossa non spunta ancora e il sole ha dimenticato le gocce sui fili della biancheria. Le porterà con sè più tardi.
Solo un piccolo insetto nascosto dall'aria, mentre cercavo il pettirosso. Una mosca. Che mi ronza senza che possa sentirla e in testa mi fa rigirare un pensiero che un po' si posa e un po' si rialza e cambia posizione: nel volantino sparato dal criminale incappottato e tutt'ora, per quanto ne so, innocente e magari provvisto di porto d'armi e attento più dei poliziotti a salvare i bambini e gli adulti dalle malefatte dei criminali veri, c'è sicuramente scritta uguale uguale questa storia. Con tutte le virgole e i punti al punto stesso. E adesso è nel fiume.

Nessun commento:

Posta un commento

Dicevi?